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Aspetti e problemi della storiografia israeliana<br />

Guido Valabrega<br />

Silica è morto. Questa volta è un nome strano, non è un italiano ma noi lo ricordiamo<br />

lo stesso perché ha lavorato con noi. Pochi l’hanno conosciuto, appariva<br />

ai nostri congressi, arrivava e partiva ma non si faceva notare. Ascoltava,<br />

guardava, criticava cercando sempre di portare negli altri la sua stessa forza di<br />

volontà, una volontà decisa a vivere e a conquistarsi la vita. Aveva delle idee<br />

molto precise, e una visione così rigidamente dritta delle cose, che a molti faceva<br />

paura, forse soltanto perché non erano capaci di seguirlo. Un rivoluzionario<br />

silenzioso, che se ne è andato combattendo a Gerusalemme: un altro posto<br />

vuoto, che sarà molto duro riempire.<br />

da “Hechaluz”, giornale per la gioventù ebraica, Milano, 20 luglio 1948<br />

Colgo l’occasione di questa breve ricerca su alcuni aspetti della storiografia<br />

israeliana per ricordare, come si vedrà con qualche attinenza, la figura di Silica,<br />

di cui non credo di avere mai saputo il nome anagrafico: Silica, in romeno,<br />

è ovviamente Silice, cioè la dura pietra di biossido di silicio. Lo conobbi<br />

bene nel periodo 1946-1948, quando profugo – displaced person, secondo<br />

la terminologia ufficiale degli alleati – giunse con altri giovani al centro<br />

di raccolta di Avigliana, nei pressi di Torino, attraverso molte vicissitudini,<br />

dalla Romania, originario, mi sembra, della città di Iasi o Jassy in Moldavia.<br />

1 Ad Avigliana erano stati riuniti, in base a delle scelte che in larga misura<br />

sfuggivano al controllo invero poco rigoroso delle varie autorità, folti<br />

gruppi di giovani e giovanissimi ebrei provenienti dall’Europa orientale: erano<br />

rigorosamente organizzati dal movimento “Hashomer Hazair” (La giovane<br />

guardia), radicato in Palestina nella confederazione del “Kibbuz Arzì”<br />

(Collettivo territoriale), di ispirazione sionista-socialista e in quel tempo filosovietica,<br />

che sarebbe confluita nel gennaio 1948 nel Mapam (sigla di Partito<br />

operaio unificato). Per comprendere lo spirito tipico dell’Hashomer Hazair,<br />

con la vivace volontà di rottura con i convenzionalismi “borghesi”, con<br />

l’oggettiva superficialità d’analisi e con in più il senso di sfacelo, di fine d’ogni<br />

regola prestabilita e di speranza nell’avvenire che s’era determinato con<br />

* L’ansia di gestire adeguatamente un argomento impegnativo e articolato in molti corollari e la difficoltà<br />

a vedere con un minimo di tempestività saggi, articoli, interventi e recensioni hanno fatto sì che l’esigenza<br />

di omogeneizzare i dati tipografico-editoriali non sia stata pienamente risolta. Impegnandoci per il<br />

futuro a correggere le lacune, tentiamo di spiegare quella che può apparire l’incongruenza più marcata. Talune<br />

opere, stampate in Israele in lingua ebraica, recano anche un titolo in inglese: a esso ci siamo attenuti<br />

appunto quando è riportato. Altre hanno solo il titolo in ebraico: in questi casi, per non appesantire il testo<br />

con il problema della trascrizione dell’ebraico in caratteri latini, abbiamo dato solo la traduzione del titolo<br />

in lingua italiana. (Originariamente pubblicato in “Studi piacentini”, 22, 1997.)<br />

1 Sulla persecuzione degli ebrei di tale centro durante la Seconda guerra mondiale si veda G. Reitlinger,<br />

La soluzione finale, il Saggiatore, Milano 1962.<br />

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