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Il regime di chiusura e il ritorno all’unilateralismo: 1994-2000<br />

Coloro che firmarono il Protocollo di Parigi prevedevano un aumento dell’integrazione<br />

tra le due economie, ma la realtà fu quella di una separazione crescente<br />

e unilateralmente imposta. Dopo che l’accordo fu siglato, fu introdotto<br />

un numero sempre maggiore di restrizioni riguardanti la libertà di movimento,<br />

ivi inclusi i flussi di merci e lavoratori e, persino, la mobilità all’interno dei<br />

Territori occupati. Motivazioni di carattere politico e relative alla sicurezza<br />

vennero avanzate per giustificare le restrizioni introdotte e applicate da Israele.<br />

Senza cercare di sondare le intenzioni israeliane, il risultato fu un “regime<br />

di chiusura” – sia interno sia esterno – assai lontano da quell’apertura prevista<br />

dal Protocollo di Parigi. 20 Quindi, il regime economico de facto tese ad avvicinarsi<br />

a quello di una separazione imposta. Un importante cambiamento riguardò<br />

il settore pubblico. L’accordo ad interim condusse alla creazione di<br />

un’autorità pubblica – inizialmente nota come Autorità palestinese provvisoria<br />

per l’autogoverno e poi semplicemente come Autorità palestinese – che era<br />

responsabile di tutte le questioni di carattere civile e di alcuni aspetti legati alla<br />

sicurezza. Il finanziamento dell’Autorità palestinese sarebbe dovuto derivare<br />

da una limitata tassazione locale, da trasferimenti da Israele e da generosi<br />

aiuti provenienti dall’estero. Gli accordi internazionali per il sostegno furono<br />

stipulati subito dopo la firma degli Accordi di Oslo e la Banca mondiale avrebbe<br />

dovuto svolgervi un ruolo centrale. 21 Lo spirito dell’accordo non si<br />

materializzò mai. La possibilità di un rapido sviluppo in Cisgiordania e nella<br />

Striscia di Gaza di conseguenza svanì. Il violento conflitto tra Israele e i palestinesi<br />

oscurò le trattative che erano in corso tra le due parti, contribuendo ad<br />

attenuare le speranze di prosperità economica. Si pensava che l’economia sarebbe<br />

riuscita a porre fine alla reciproca ostilità, almeno stando alle opinioni<br />

dei fautori del Nuovo Medio Oriente come Shimon Peres. I rapporti stilati<br />

dalle organizzazioni internazionali hanno mostrato che la strategia di sviluppo<br />

fallì soprattutto nei primi due anni dopo la firma del Protocollo di Parigi. 22<br />

Le frequenti chiusure e la sostituzione dei palestinesi con lavoratori stranieri<br />

condussero a una profonda trasformazione nella struttura delle relazioni<br />

tra le economie israeliana e palestinese. Il numero di lavoratori palestinesi in<br />

Israele crollò: prima degli accordi ad interim del 1994, il 30 per cento della<br />

forza lavoro palestinese della Cisgiordania e più del 40 per cento di quella di<br />

Gaza era impiegata in Israele. Nel 1995-96 la percentuale dei lavoratori della<br />

Cisgiordania calò sino al 18 per cento e quella di Gaza al solo 6 per cento. Di<br />

conseguenza, i salari pagati ai lavoratori provenienti da Territori occupati diminuirono:<br />

le rimesse da lavoro in Israele crollarono da più del 30 per cento<br />

del Pil a circa il 20 per cento in Cisgiordania, mentre a Gaza si passò dal circa<br />

20 I. Diwan, R.A. Shaban (a cura di), Development under Adversity? The Palestinian Economy in Transition,<br />

The World Bank, Washington 1999; World Bank, Long Term Policy Options for the Palestinian Economy,<br />

The World Bank, West Bank and Gaza Office, 2002.<br />

21 World Bank, Developing the Occupied Territories: An Investment in Peace, cit., 93.<br />

22 A. Arnon, J. Weinblatt, Sovereignity and Economic Development. The Case of Israel and Palestine, in<br />

“Economic Journal”, 111, 2001, pp. 291-308; I. Diwan, R.A. Shaban (a cura di), Development under Adversity?<br />

The Palestinian Economy in Transition, cit., capp. 1-4.<br />

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