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dell’Unione europea. Nel nostro caso, per ragioni non legate alla scienza economica,<br />

ci sarebbe senza dubbio bisogno di più sovranità e di più confini.<br />

Questo danneggerebbe necessariamente le potenzialità di crescita? Preso atto<br />

della situazione di conflittualità, sarebbe realistico prevedere che una maggiore<br />

sovranità, soprattutto per quanto riguarda i confini, possa assicurare migliori<br />

possibilità di stabilità politica e contribuire quindi a un miglior funzionamento<br />

delle economie. Recenti discussioni fra economisti hanno rafforzato<br />

l’opinione che non solo le esigenze politiche ma anche considerazioni economiche<br />

giustifichino la creazione di confini. Non esiste solo un trade-off tra sovranità<br />

e prosperità ma anche una relazione complementare che giustifica la<br />

creazione di confini per ragioni economiche. Non si tratta di situazioni che gli<br />

economisti definirebbero “ottimali” ma piuttosto second best, dato che dal<br />

punto di vista teorico riflettono non le condizioni ottimali che condurrebbero<br />

al massimo di prosperità possibile ma condizioni realistiche quando sia impossibile<br />

conseguire il massimo. È importante notare che spesso considerazioni<br />

di questo genere sono invocate per giustificare interventi derogatori ai meccanismi<br />

di libero mercato, per esempio a favore di politiche protezionistiche<br />

per settori industriali nascenti. 29 Il fatto di non avere posto in maniera esplicita<br />

la questione dei confini in generale e del loro statuto in particolare ha impedito<br />

una necessaria valutazione dei vantaggi provenienti da “buoni confini”,<br />

con punti di passaggio efficienti. Naturalmente, i confini intralciano la<br />

circolazione dei beni e dei fattori di produzione ma, mentre in alcuni casi sono<br />

di grande ostacolo, in altri lo possono essere molto meno. Dato che, sino a<br />

tempi molto recenti, nessuna delle due parti pensava che ci sarebbero stati<br />

confini economici, non ci si è data pena di riflettere sulla loro natura. Le attuali<br />

discussioni sul muro ignorano le ripercussioni economiche negative di<br />

una divisione unilaterale. La conclusione che confini stabiliti congiuntamente,<br />

con specifici e ben organizzati punti di passaggio, potessero essere al servizio<br />

degli interessi di entrambe le parti è stata raggiunta dal Comitato per la<br />

discussione dei principi di un accordo economico definitivo tra Israele e l’Autorità<br />

palestinese, presieduto da Avi Ben-Bassat. Il comitato fu istituito nel<br />

1999 per preparare i negoziati economici da condurre parallelamente agli incontri<br />

di Camp David. Le sue conclusioni, recentemente pubblicate, ci permettono<br />

quindi di valutare alcune considerazioni avanzate dai politici israeliani<br />

prima della seconda Intifada. La relazione del Comitato Ben-Bassat esprimeva<br />

una nuova posizione dal punto di vista economico, sebbene le sue<br />

raccomandazioni non siano ufficiali né definitive. 30 Il mutamento concettuale<br />

fondamentale è rappresentato dalla preferenza per un confine commerciale<br />

legale e ben definito e dal rifiuto di “unione doganale”.<br />

Fra gli esperti internazionali che si occupavano del conflitto israeliano-palestinese<br />

ha iniziato a prevalere l’idea che considerazioni di ordine politico ed<br />

economico suggerissero la creazione di confini. Particolarmente influente è<br />

stato il vasto progetto di ricerca del 2002 della Banca mondiale, Long Term<br />

29 A. Arnon, J. Weinblatt, Sovereignity and Economic Development. The Case of Israel and Palestine, cit.<br />

30 Il rapporto del Comitato Ben-Bassat è stato pubblicato in The Annual Report of Israel’s Revenue Administration,<br />

Israel Revenue Administration, Jerusalem 2002-2003, pp. 489-627.<br />

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