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Il raccolto - Sardegna Cultura

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«E quando ti rivedrò, vorrai? Allora vorrai?».<br />

«Aspetta di rivedermi» disse, ridendo e tornando al tu.<br />

Si era alzata, sfuggendo alla sua presa, e avvicinata al cavallo.<br />

E mentre ancora lui la inseguiva, era saltata in sella<br />

d’un balzo, senza appoggiarsi alla staffa: un roteare di gonne,<br />

una giravolta e hop-là.<br />

«Vuoi che ti prenda in groppa così ti risparmi un pezzetto<br />

di strada?» lo scimmiottava. E godeva di vederlo così imbambolato.<br />

Ma poi si tirava indietro, si metteva lei in groppa, perché<br />

lui potesse montare in sella, il maschio, il cavaliere, era lui.<br />

Toccando di tacco e avviandosi, lui domandava:<br />

«E allora, Vostra Mercé, dove vuoi che ti porti?».<br />

«A Serri» lei gorgheggiò «portami a Serri».<br />

Come annunciasse una meta favolosa. Serri, infatti, come<br />

tutti sanno, era una città di cristallo e d’oro.<br />

102<br />

VIII<br />

SPIGHE<br />

Non si sa come avviene. Ma dal cincinno del fiore scorre<br />

la misteriosa virtù fin nell’occulto di quella prigione piccolissima<br />

nella quale poi il seme prende corpo e sostanza. Accade<br />

allora che la tunica si gonfi – la veste di ciascun chicco – e<br />

poiché numerosi sono i chicchi d’ogni singola spiga, questa<br />

intumesce e reclina, sempre più, via via che la gravezza del<br />

peso l’opprime e l’affatica.<br />

Questo non si produce in un giorno soltanto, naturalmente.<br />

È lenta cosa e bisogna aspettare. Ma un giorno, verde<br />

che è ancora e le barbe tutte tese, si vede che la spiga pende<br />

in giù, il suo collo si flette in giù, è un atto di pudicizia per<br />

quella maternità vegetale che la spiga nasconde, le ariste stesse<br />

sono come ciglia vereconde di occhi di sposa incinta.<br />

Di questa verecondia, di questo universale spettacolo di<br />

pudibonda modestia, Giuanni Cinus aveva certo motivo di<br />

rallegrarsi. Diavolo, era cresciuta sin troppo la canna; ci sarebbe<br />

mancato che alla fine le spighe riuscissero vuote. Può<br />

capitare, ah. La beffa di certe annate: un rigoglio magnifico<br />

della pianta fino alla cima, ma poi la spiga vuota: un campo<br />

di paglia e di pula. E sarebbe stato un bell’affare.<br />

Perciò si rallegrava che la fecondazione fosse avvenuta al<br />

momento giusto e fosse la spiga ingravidata a dovere. E soppesava,<br />

per saggio, questa o quella spiga, avanzando per il campo.<br />

Avanzava come in un mare. <strong>Il</strong> mare, all’aprirsi, crosciava,<br />

levavano le canne e le foglie, ma specialmente le barbe, un<br />

suono vagamente metallico, raschioso, gradevole. Egli allungava<br />

la mano, afferrava a caso una spiga, la palpava, stringeva.<br />

<strong>Il</strong> ventaglio delle barbe frusciava nella mano, i dentelli da sega<br />

delle barbe s’incagliavano nel ruvido della pelle opponendo<br />

resistenza, ma lui veniva al sodo, alla corposità dell’ingrano,<br />

misurava, stimava.<br />

103

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