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«Vedrai, vedrai, ragazzo mio, che battitura sarà. Hai visto<br />
come impregnano le spighe? (Ne strappava qualcuna, la mostrava,<br />
la sfaldava nel pugno, tornava a mostrarla). Foia, hanno,<br />
guarda, come femmine in calore. È affare ancora di un<br />
mese, un mese e mezzo, ed è fatta, l’annata è nostra».<br />
Lo trattava con confidenza, lo chiamava “ragazzo mio”,<br />
voleva che si sentisse, com’era giusto, cointeressato alla cosa.<br />
<strong>Il</strong> risultato era scarso, da quest’ultimo punto di vista.<br />
«Spero m’inviterete» diceva Fieli Pòrcina, per pura compiacenza<br />
«il giorno che insaccherete».<br />
«Invitarti?» il vecchio replicava. «Tu devi esserci» sottolineava<br />
quel “devi”. «Tu sei il padrone di Serri, mi pare, no?<br />
E allora. E poi con te ho un conto da regolare, proprio quel<br />
giorno».<br />
Drizzava le orecchie: conto da regolare?<br />
«Per l’amore di Dio, compare Cinus, non parliamo di<br />
padroni e non padroni. Qui il padrone siete voi, e basta.<br />
Quanto a me, quel giorno, se ci sarò, ci sarò come ospite e<br />
testimone. E poi che conto?». Lasciava per ultimo ciò che<br />
più gli premeva. «Di che genere è questo conto che dite?».<br />
«Tu sei uno» diceva Giuanni Cinus premendogli un dito<br />
sullo sterno «che non hai mai creduto veramente che avrei tirato<br />
su da questa terra questo po’ di grazia di Dio. E magari<br />
anche adesso non sei del tutto convinto. Perciò quel giorno<br />
voglio che vieni e vedrai».<br />
Respirava. Questi i conti, figurarsi. Questo il torto. Eppure<br />
anche di questo, un giorno, avrebbe serbato memoria,<br />
quando le sorti sarebbero state giocate: conti da regolare, torti,<br />
io sarò testimone. Ma per ora, va’, batteva la mano sulla<br />
spalla del vecchio e sogghignava.<br />
E ogni volta che partiva, poi, tutti i Cinus sullo spiazzo<br />
davanti alla casa, grandi saluti, grande cordialità.<br />
«Torna quando ne hai voglia, non farti scrupolo» gli<br />
gridava Giuanni Cinus.<br />
«In buonora e portatevi bene» rincalzava Mariangela. E<br />
anche gli altri, compreso Momo, agitavano le mani.<br />
Balzava a cavallo, voltava e toccava.<br />
«In buonora anche a voi, salute a voi» diceva di rimando.<br />
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E andando si ripeteva quegl’ignari, affettuosi, commiati: non<br />
farti scrupolo; portatevi bene. Eh no? Come no?, si diceva.<br />
Avvenne.<br />
Lei ne aveva adesso, a distanza di due ore dal fatto, una<br />
memoria remota e dolente.<br />
E stupore.<br />
Questo, dunque.<br />
Giaceva supina sul letto, gli occhi sbarrati nel buio,<br />
schiacciata da uno spaventoso silenzio. Non “voci”, questa<br />
volta, non ombre. <strong>Il</strong> sonno stesso di Momo, per una volta, affatto<br />
silenzioso.<br />
Questo.<br />
Come quando, a volte, lo sguardo è perduto nel vuoto,<br />
incollato a un oggetto, un qualcosa, una macchia sulla parete.<br />
A che pensi? A nulla. E realmente il pensiero si è come incantato:<br />
un granello di polvere è entrato in una delle tante dentate<br />
sfere e tutto il meccanismo è bloccato. Ma il quadrante segna<br />
quell’ora, quel minuto, quel secondo, come un tempo<br />
pietrificato, avulso dal tempo vero e in tal modo pervenuto a<br />
una specie di eternità.<br />
Lei così. Immobile. La mente inchiodata a un punto:<br />
quel punto. <strong>Il</strong> fatto ridotto a tanto: sintesi e idea. <strong>Il</strong> resto<br />
nebbia. Né sapeva neppure quando accaduto, se oggi, ieri, o<br />
duemila anni fa. E che importa, del resto? Semmai dal punto<br />
(la mente come la superficie di una lavagna) prendeva a<br />
svolgersi a un tratto una specie di spirale, prima lenta, poi<br />
rapida, poi ancora più rapida, fino a quando diventava velocissima<br />
e vorticosa, un turbine. E lei nelle spire di questo, lei<br />
come puro pensiero. E nel vortice, col moto, dopo essere<br />
stata attirata e succhiata fino al centro del cerchio, fino al<br />
fondo dell’imbuto, a un altro determinato momento, per<br />
moto inverso e centrifugo, era sfrombolata lontano. Indi di<br />
nuovo il punto, di nuovo la coda di serpe che ne sgorgava,<br />
la spirale che si scriveva sul fondo della lavagna, la girandola<br />
che se ne alzava, e il volo, e l’impatto.<br />
Questo?<br />
Era “vergine” solo di nome, ora. Non era dunque più lei?<br />
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