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Il raccolto - Sardegna Cultura

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la veste, come la rimetterei? Mi sono lavata già i piedi, come<br />

tornerei a insudiciarli?”.<br />

Era scesa già con quest’animo, forse.<br />

E adesso, a riessere ancora con lui, lì rannicchiata, in<br />

quel nido, e l’odore del grano, e la luna (proprio da quella<br />

parte sbatteva la luna), il suo cuore non tenne, fu pazzo, cieco<br />

e pazzo.<br />

Come quei fringuelli ai quali bruciano gli occhi con aghi<br />

arroventati, poi li mettono per richiamo su un albero, dentro<br />

una gabbia, e loro cantano. È inverno e cantano, sono straziati,<br />

infelici e cantano, rovesciano in canto, ciechi come sono,<br />

la loro pena.<br />

Press’a poco così, lei, giunta a quel punto.<br />

La stessa singolarità di questo (il primo) incontro notturno.<br />

L’urto del suo sentire col sentire affatto diverso di lui, da<br />

provocare in lei una specie di lacerazione, di dolore, di muto<br />

grido: neanche adesso, dunque, comprendi? La pietà per se<br />

stessa, struggente. La pietà, anche, per lui, per un lui ricreato,<br />

redento, foggiato per assurdo sul richiamo di poco fa, quel<br />

verso lamentoso della volpe affamata (o in amore?). E mettici<br />

pure l’impulso a stordirsi, dimenticarsi, in quell’ora stregata.<br />

E infine qualcosa che non è niente, una gratuità, ed è tutto.<br />

Che vuoi da me, Fieli Pòrcina, che vuoi sapere? No, caro,<br />

non darti pensiero di questo, il tuo aiuto non serve, non<br />

ne ho bisogno, non ho più bisogno di nulla. Sta’ tranquillo,<br />

tutto è a posto, tutto è sul punto di essere consumato. Guarda:<br />

sono forse io in pena? Al contrario, mi vedi. Sono serena,<br />

perfino allegra, certo devo essere anche un po’ matta, un po’<br />

ubriaca, con questa luna, non te ne accorgi? Lo so: dovrei<br />

cacciarti, mandarti via, trattarti da quel birbante che altro<br />

non sei, Fieli Pòrcina, dolcezza mia. Ma non posso non voglio<br />

e neanche m’importa, questa è l’ultima volta, l’ultima,<br />

che ti guardo, ti tocco, amore mio.<br />

Lui stralunava. Non è che quelle parole lei le dicesse realmente,<br />

no. Ma la morbidezza e dolcezza che erano in lei e che<br />

da lei emanavano ne traducevano così il senso che a lui pareva<br />

davvero di intenderle. E stralunava. Era venuto qui per<br />

tutt’altro, non questo. E si trovava al contrario approntato<br />

questo, un incontro così, un convegno d’amore?<br />

162<br />

Fu lei, effettivamente, a un dato momento a attirarlo.<br />

Cosa che mai era accaduta prima. La prima volta. L’ultima<br />

volta. “Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se incontrate il<br />

mio diletto, ditegli che io languisco d’amore”.<br />

E che cosa avrebbe fatto, lui, ora, lei sembrava sollecitarlo,<br />

Fieli Pòrcina cuore mio specchio d’oro, cosa farai.<br />

Guardava inebetito, vicinissimo che l’aveva, il viso di lei.<br />

Nel riflesso della luna, bianco come la luna. Che avrebbe fatto?<br />

Gli si comunicava, gli si contagiava, un po’ dell’insania<br />

che era in lei.<br />

Qualcosa che avrebbe ricordato tutta la vita. Sarebbero<br />

passati anni, decenni. Si sarebbe sposato, avrebbe avuto figli,<br />

soddisfazioni, contrarietà, il bene e il male che la vita può<br />

dare. Si sarebbero sovrapposte, nella successione dei giorni,<br />

immagini e sensazioni infinite. Ma mai avrebbe dimenticato,<br />

né mai più ritrovato, fra le proprie esperienze, esperienza<br />

così. Questo abbandono, questa dazione, derelizione totale.<br />

Questa donna che sperperava, che scialacquava l’amore.<br />

Questo fiume senz’argini né anse né foce. Questo corpo che<br />

bruciava (o era l’anima?) e queste mani, labbra, viso, che<br />

sprigionavano mai conosciute dolcezze, delicatezze, ardori,<br />

furori, tramortimenti, resurrezioni, acqua di fonte e metallo<br />

in fusione. “Ricopritemi di mele, seppellitemi di fiori, perché<br />

languisco d’amore”.<br />

Fin quando, in lei, la tensione durata troppo, l’ubriacatura<br />

e quel turbine, si scioglievano infine in pace, dapprima<br />

prendeva a piangere del tutto silenziosa, ancora sorridente,<br />

poi veramente rompeva in singhiozzi, che cercava vanamente<br />

di soffocare, intanto che lui (gli ansimi!) tuttora lottava<br />

col demone.<br />

E appunto questo udiva Momo, lì vicino, trasecolato:<br />

un pianto e un ansimare.<br />

Inchiodato a due metri da lì, sempre carponi, udiva<br />

questo. Pasqua, era, senza alcun dubbio, che singhiozzava.<br />

Tal quale quella notte, si disse subito. Mentre l’ansimo,<br />

con altrettanta certezza, era di uno che incrudeliva sopra di<br />

lei, quello per il quale lei s’era mutata, quello che la faceva<br />

soffrire.<br />

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