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Il raccolto - Sardegna Cultura

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vino appena spillato. E l’impasto che si formò, fra il grano<br />

sparso sull’aia e quel sangue, sembrò simboleggiare in maniera<br />

struggente quel ch’era stato il rapporto fra l’uomo e il frutto<br />

del suo lavoro.<br />

Pasqua Cinus, sua figlia, rimasta per sempre cieca e, da<br />

quel giorno in avanti, immemore d’ogni cosa accaduta, ignara<br />

di sé e di tutti, ridotta a uno stato di ebetudine senza rimedio.<br />

(Solo in rare occasioni, nei giorni che verranno, accadrà<br />

che qualche nome, pronunziato in sua presenza, sveglierà<br />

come echi nelle anse del suo cervello e lei allora resterà per<br />

un poco sospesa, attenta, finché i fantasmi svaniranno e riprenderà<br />

la sua bocca scioccamente a sorridere).<br />

’Ntoni Cinus, il maschio primogenito, crudelmente sconciato,<br />

inetto a avere discendenza e paralizzato agli arti, e così<br />

destinato a andare con grucce di villaggio in villaggio, di festa<br />

in festa, a far numero con quei mendicanti mutilati o storpi<br />

che sostano nei crocicchi o presso le chiese invocando la pietà<br />

degli uomini.<br />

Mariangela Siddi, la moglie, caduta in uno stato di totale<br />

demenza, la quale sarà per esprimersi, nel tempo venturo, in<br />

freddi furori con strane grida, nomi di morti e di vivi, mani<br />

ogni tanto levate al cielo, o tuffate nei capelli, e occhi spiritati<br />

pieni di continuo spavento.<br />

Infine Momo Cinus, autore di tanto male, assassino incolpevole,<br />

ridotto ancor più tristo di quanto non già fosse,<br />

strappato ai suoi luoghi e portato lontano, nei tristi stabilimenti<br />

dove vivono altri suoi pari e dove passerà giorni tetri,<br />

lunghi, vuoti, privi di senso.<br />

Incolumi invece gli altri, quanti ve n’erano, ospiti e no.<br />

In primo luogo Raffieli Pòrcina, ospite per eccellenza, il quale<br />

non patì un solo graffio, come bene si addice a un ospite,<br />

la cui persona è sacra. E via via i bastanti, i giornalieri, le<br />

donne d’aiuto, tutti quelli che, testimoni del fatto, ne avrebbero<br />

poi rivelato i particolari e tramandato il ricordo. Essendo<br />

giusto che di un fatto così restassero quelli che videro; che<br />

se no si penserebbe: ma è vero? ma è possibile?<br />

E intatte, s’intende, e immagazzinate con cura quattromilaottocentodue<br />

quadre di buon frumento, dedotta come è<br />

186<br />

giusto dal computo quella quadra che Giuanni Cinus aveva<br />

disperso, chissà perché, sulle pietre dell’aia.<br />

Di questo <strong>raccolto</strong>, anche soltanto per le sue proporzioni,<br />

ancor oggi si parla, dalle parti di Serri, a ogni ritorno<br />

d’estate, non essendo fra l’altro accaduto mai più, dopo di<br />

allora, che in un’unica azienda si producesse una così strabocchevole<br />

quantità di grano. Al punto che esso, nel comune<br />

parlare, è passato in proverbio come “il <strong>raccolto</strong> di<br />

Giuanni Cinus”, a indicare una cosa fuor di misura e oggimai<br />

insuperabile.<br />

Anzi, di un tale “<strong>raccolto</strong> di Giuanni Cinus” e delle vicende<br />

che lo accompagnarono, hanno finito per impadronirsi<br />

i cantastorie, quelli che vanno – o almeno ancora andavano,<br />

fino a pochi anni fa – in giro per i villaggi a recitare i<br />

loro cantari e che laggiù, siccome raccontano le loro storie<br />

in versi e in rima, sono detti “poeti”.<br />

Non basta: alcuni di costoro, a quanto si è poi saputo,<br />

hanno anche escogitato di chiudere la descrizione del nascere<br />

crescere e maturare del grano di Giuanni Cinus e dei casi<br />

collaterali suoi e dei suoi congiunti, con una paragoge che,<br />

riferitaci, non dispiace a noi stessi, in mancanza di meglio,<br />

riportare qui di seguito nel chiudere a nostra volta la presente<br />

narrazione; la quale, se anche potrà sembrare meno “poetica”<br />

rispetto a quei modelli, sia almeno accreditata come altrettanto<br />

veridica.<br />

E le parole son queste, traducendo liberamente dal dettato<br />

originale.<br />

Essere la sorte degli uomini, il destino di certe vite, il<br />

perché delle cose che avvengono quando parrebbe giusto<br />

non avvenissero, o di quelle che non avvengono quando parrebbe<br />

giusto il contrario, uno degli enigmi insondabili (“muri<br />

senza passaggio”) dinanzi ai quali così di frequente s’imbatte<br />

la mente dell’uomo. Essere se mai di Dio (se mai si sappia,<br />

di Dio, chi o che cosa veramente egli sia), interpretare rettamente,<br />

secondo una speciale presumibile misura sua (una<br />

“quadra” nota a lui solo) ignota a chiunque altro, tutto quello<br />

che accade, con esatta nozione di cause e di fini.<br />

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