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due gruppi distinti – e che in tal modo ci si mondasse di tutte<br />
le impurità – la polvere che dà prurigine, il sudore, il fortore<br />
– connesse alla fatica ultima del cogliere il frutto annuale<br />
e ricorrente della terra. Dopo di che, risciacquati ma, si<br />
vuol dire, con un senso di “purgazione” e rinnovo che non<br />
era soltanto del corpo, si riprendeva intonando canti la via<br />
del ritorno.<br />
Questo dunque, voleva l’uso. Ed è da questo che Pasqua<br />
aveva tratto ispirazione per il suo piano. Attendere l’ora (il<br />
quando) che i giovani e le ragazze – e lei con queste – fossero<br />
entrati in mare e, per suo conto, avanzare nell’acqua nera<br />
fino al nero perfetto (il come).<br />
Se, fra i tanti modi presi in esame, analizzati e poi scartati,<br />
aveva finito per scegliere questo, due soprattutto erano<br />
stati i motivi. <strong>Il</strong> primo, più dichiarato, era questo: che, per<br />
questa via, così pensava, lei sarebbe arrivata al traguardo senza<br />
violenze, senza infierire su sé, ma anzi in maniera talmente<br />
dolce, talmente insensibile, che lei “neppure se ne sarebbe<br />
accorta”. Aveva paura, già lo si è visto, non pure dell’incontro,<br />
ma del modo di questo incontro. E una soluzione così,<br />
le toglieva questa paura. Quanto all’altro motivo, esso era<br />
più vago benché avvertito pur sempre: e consisteva nel desiderio<br />
di giungere all’appuntamento, chissà, in uno stato di<br />
purificazione e redenzione: come se l’acqua del mare, cioè,<br />
tutto lavasse via, e colpe, debolezze, abbandoni, sozzure, tutto,<br />
fossero anch’essi sciacquati e cancellati, prima che “essa”,<br />
l’ignota, venisse e le dicesse, sottovoce: andiamo.<br />
Aveva già preso parte un’altra volta, quand’era ancora in<br />
Baronia, a un bagno di mare così, e il ricordo che ne serbava<br />
le era servito – nei giorni che seguirono la sua decisione – a<br />
figurarsi le mille volte in tutti i particolari quello che sarebbe<br />
avvenuto. “Per abituare il cuore” si diceva.<br />
La visione del mare, anzitutto. Le onde provenienti dal<br />
largo sotto la luna. Non alte arruffate e rabbiose, ma lunghe,<br />
continue, e che si frangevano sulla sabbia dolcemente (così<br />
ricordava dell’altra volta, così sarebbe stato, secondo lei, anche<br />
stavolta). Le terminazioni di esse, sinuose, curve come<br />
labbra, avanzanti all’improvviso quasi a ghermirti, per gioco,<br />
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i piedi. I risvolti di schiuma, ampi e arabescati, come ricami<br />
di lenzuola da sposa. <strong>Il</strong> suono che le onde facevano, una specie<br />
di incessante innumerevole baciamento, e insieme di invito:<br />
vieni, vieni.<br />
Questo è il quadro. E poi lei. Lei che si spoglia con le<br />
compagne sulla battigia. Lei che, lasciate sulla spiaggia le vesti<br />
(e con esse ogni cosa: legami desideri rimpianti rimorsi,<br />
tutto), nuda e bianca si avvia verso il mare. Lei che, prima di<br />
entrare in acqua, chinata giù, tuffa la destra nel mare, come<br />
in una enorme sterminata acquasantiera, e si segna, così si fa.<br />
Lei infine che avanza, ancora con le compagne, nell’acqua,<br />
piano piano: l’acqua al polpaccio, al ginocchio, alla coscia, all’addome<br />
(i brividi anche, riusciva a rappresentarsi, in questo<br />
sforzo di “abituare il cuore”), e poi più su, alle anche, al seno,<br />
infine alla gola, che era solitamente – per gente come quella,<br />
del tutto inesperta del nuoto – il limite da non oltrepassare.<br />
E lì si sarebbero infatti fermate le compagne, con piccoli gridi,<br />
bbrrr!, e sbuffi e risa, principiando a dondolare nell’acqua<br />
nera e argentea, qua e là fosforescente, i loro corpi bianchi<br />
lattiginosi, che la vaga trasparenza avrebbe come slungati e<br />
resi flessuosi, intanto che i maschi, nell’altro settore, ben più<br />
strepitando fra loro e sguazzando e facendo dell’acqua un’immensa<br />
gazosa di schiuma, avrebbero fatto sentire, appunto<br />
all’indirizzo delle ragazze, i loro bramiti di maschi.<br />
Lei, no, invece, non si sarebbe fermata. Avrebbe continuato<br />
a avanzare. Non proprio nuotando, ché non era capace,<br />
ma galleggiando in qualche modo, muovendo le braccia,<br />
le gambe, bastava questo. E avrebbe cercato di portarsi (ancora<br />
il ricordo dell’altra volta) in quella via luminosa, larga,<br />
incredibile, che stampa la luna sul mare. L’avrebbe a ogni costo<br />
raggiunta, doveva, voleva. Perché era lì, solo lì, in quella<br />
via spettacolosa che partiva diritta e lucente perdendosi all’infinito,<br />
che si sarebbe lasciata infine afferrare.<br />
Afferrare? Non afferrare: abbracciare. Chiudere gli occhi.<br />
Concedersi: eccomi, prendimi! Come con “lui”, l’ultima volta.<br />
Perché così, certo, sarebbe stato. Una specie di amore. Un<br />
venir catturata da braccia di innamorato, dolcemente, amorosamente.<br />
E sentire lo stesso smemoramento, stordimento,<br />
ubriacamento magari, che aveva provato con “lui” l’ultima,<br />
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