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incolpevole bestia che aveva sotto, e vale a dire l’asino, lo toccava<br />
di verga sul collo e di calcagno sotto la pancia, quasi fosse<br />
proprio l’asino l’incarnazione della Bestia maledetta e perversa,<br />
che poi lui, sta’ a vedere, con tutta sicurezza veniva<br />
cavalcando per la strada di Sinniri.<br />
Ma intanto quel pensiero, appena affacciato, rispuntava.<br />
Già, come mai quel bel tomo di Fieli Pòrcina non si era fatto<br />
più vivo da un pezzo a Serri? Tuttavia non si curò di dare alla<br />
domanda una risposta. Dopo tutto, bah, è affar suo, si disse,<br />
a me che me ne viene? Lo saprà lui, il perché.<br />
Tranquillo, come uno che si è posta una domanda, in<br />
fondo casuale e oziosa, e per nulla se ne turba, mentre a cavallo<br />
del proprio asino se ne va, passo passo, in pace.<br />
E viceversa, proprio a quell’ora, sulla strada per Serri, tutta<br />
un’altra direzione, Fieli Pòrcina aveva effettivamente a che<br />
fare, in qualche modo, coi pensieri di Giuanni Cinus. Era,<br />
cioè, in compagnia di sua figlia, Pasqua Cinus, fiore di grano.<br />
L’aveva raggiunta – lui a cavallo – lungo la strada di Serri,<br />
che andava a spese. Sola.<br />
«E dove vai madre mia?».<br />
Dall’alto dell’arcione (il cavallo che rampava), giuntole a<br />
ridosso lanciato, e di colpo fermatosi. Bravure dei cavallerizzi<br />
di Arcangia, famosi nelle feste patronali per come montano<br />
alla brava i cavalli corridori.<br />
Lei si era scansata e voltata, tutt’occhi, per il momentaneo<br />
sgomento che il cavallo potesse travolgerla. E lo guardava ora<br />
di sotto in su a bocca aperta, quel viso acerbo di donna e di<br />
bambina che la pezzuola bianca chiudeva tutto attorno, come<br />
in cornice.<br />
La stessa cosa di quando lo aveva finalmente ravvisato<br />
sul palco, dopo la scena del ballo, alla festa del Rimedio:<br />
«Vustè!» disse. Come se lo vedesse sprizzare dalla terra o<br />
calare da una nuvola.<br />
Non lo aveva più visto da allora, un tempo per lei lunghissimo,<br />
e tante cose erano passate nell’animo suo, che avevano<br />
lui per oggetto. E da lontano l’invocava: vieni, vieni (ora<br />
non fingeva più con se stessa), e non veniva. E ora eccolo qui<br />
all’improvviso, baldo sul suo cavallo, e bello come Sant’Efisio<br />
benedetto. La sua meraviglia scaturiva da questo.<br />
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«Io, sì» lui diceva ridendo. «E chi, se no? <strong>Il</strong> mio fantasma?».<br />
<strong>Il</strong>are e sciolto. Passati, naturalmente – e oggimai dimenticati<br />
– i fumi di quel giorno. E con essi, chissà, anche per<br />
lui, tante altre cose: esitanze, inibizioni. Da quella scena del<br />
ballo nella quale lui, fumi o non fumi, vedendola tutta stordita<br />
e smarrita, aveva capito che il frutto era proprio maturo<br />
e fatto, molte delle ragioni che dicevano no, erano venute<br />
meno. E se non era partito subito ventre a terra per Serri era<br />
perché, a parte l’incertezza di poterla trovare sola, residuava<br />
in lui, se mai, quel tanto di indolenza ch’era proprio della sua<br />
indole e che chiamano, là, malas intrangias, cattive viscere.<br />
Ora anche questo non c’era più. Cadeva o non cadeva questo<br />
frutto dall’albero? Certo che cadeva, eccolo che cadeva.<br />
La sorte, anzi (poiché anche stavolta l’incontro era predisposto<br />
dal caso) si sarebbe detto che glielo facesse, il frutto, rotolare<br />
fra i piedi. Infatti quando, poco prima, sopravvenendo<br />
alle sue spalle, l’aveva scorta da lontano, si era detto che il<br />
giorno ormai era venuto, che il frutto era lì per terra, non restava<br />
che chinarsi a raccattarlo. E lui, ebbene, questa volta si<br />
chinava. Per questo lui era allegro.<br />
Lei no, invece, non lo era. Da quel giorno del ballo –<br />
poca che ne aveva già prima – non aveva avuto più pace. Riguardo<br />
a lui come riguardo a se stessa. Egli l’amava, non l’amava,<br />
che voleva da lei? E lei, a sua volta, cosa voleva? Non<br />
capiva più, non si capiva più. Sbalordiva di sé, per quello che<br />
le succedeva. Ancora pochi mesi prima lei era diversa, assolutamente<br />
diversa. Spensierata, aperta, allegra come un uccello.<br />
E ora, invece. Da quando aveva conosciuto costui, aveva tanto,<br />
nella sua testa, macinato pensieri (il paragone lei lo faceva<br />
col grano nella mola azionata dall’asino, quando entra nella<br />
tramoggia e subito l’ingranaggio lo afferra e lo stritola riducendolo<br />
in farina, che se la tocchi, difatti, è ancora tiepida,<br />
per il travaglio di questo stritolamento) quanto mai in tutti i<br />
giorni e gli anni fino allora vissuti. E sempre in quell’alternanza<br />
che si è più indietro veduta, la quale però non riguardava<br />
soltanto il fatto se lui l’amasse o no, ma tutto un insieme<br />
di cose, era diventata una condizione sua propria, il suo<br />
modo d’essere, sebbene per altro verso non le mancasse né<br />
animo, né decisione, né ostinazione. Si sentiva felice infelice<br />
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