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Era ostinazione e rabbia. Una specie di sfida ch’egli lanciava<br />
a Nanni Pòrcina, a se stesso, alla malasorte che lo aveva<br />
sin qui accompagnato, insomma a tutto e tutti, perfino<br />
a questa porca di terra su cui penava e che suscitava in lui –<br />
lui stesso avrebbe trovato difficile spiegarlo – uno strano<br />
sentire: come un odio che si esaltasse fino all’amore, o un<br />
amore che avesse la forza e il sapore acre dell’odio.<br />
E aveva soprassalti di cupo orgoglio, in questo atteggiamento<br />
di contrapposizione e di sfida. Dite che non ce la<br />
farò, compare Pòrcina riverito? E proviamo a scommettere,<br />
forza. Volete scommettere, eh? Quello che volete, io sono<br />
pronto. Eh, voi non mi conoscete, non sapete chi sono. Ma<br />
io mi sento capace di spezzare il ferro coi denti, rompere le<br />
pietre a testate, sderenare un bue, con rispetto parlando,<br />
compare mio, al servizio e piacere vostro e della vostra casata.<br />
E ve lo proverò.<br />
Ma non è vero che sia così. Mitizza se stesso per incitarsi.<br />
Per forte che sia, gli circola pur sempre nelle vene quel<br />
sangue gramo che innumerevoli generazioni sconfitte, abbrutite<br />
dalla fatica e insidiate da antichi mali, la malaria, le<br />
privazioni, la fame, gli hanno trasmesso. Solo il “punto” lo<br />
tiene su, questa brama che si è impossessata di lui come una<br />
febbre, da quando gli hanno detto che sarebbe stato massaio,<br />
fittavolo a Serri.<br />
Fatto sta che è così che gli capita – ara che ara – di fare<br />
quel tale sogno della prima metà di novembre.<br />
Faticava quel giorno, come da mesi, in quel suo lavoro<br />
silenzioso e paziente. Arava adesso la parte della collina che<br />
degrada verso la strada per Tula, fino allo scoscendimento<br />
che chiamano “Le fosse”.<br />
Mezzo dorso di questa collina era già arato, quando il<br />
sole riuscì finalmente a liberarsi dal viluppo di nuvole che<br />
sostavano nel levante e venne fuori e illuminò vividamente<br />
la campagna, tolte alcune chiazze d’ombra che ancora restavano<br />
qua e là.<br />
Giusto quando ci fu questa irruzione della luce lui si<br />
fermò, tirando le funi di comando per fermare anche i buoi.<br />
Allora si eresse sulla persona schiacciando i pugni contro le<br />
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reni, e a occhi chiusi levò la faccia verso il sole, mentre i<br />
buoi, scuotendo le cervici, facevano che il giogo oscillasse<br />
come l’asse di una stadera.<br />
Si volse quindi a considerare il lavoro compiuto e quello<br />
ancora da compiere, intanto che con una larga pezzuola<br />
rossa si asciugava il sudore. Le ombre delle nuvole parevano<br />
concentrarsi nella parte non dissodata, mentre la parte già<br />
arata era quasi tutta nel sole, e il sole scintillava sulle zolle<br />
umide e brune, le faceva somigliare a quei coppi di paglia e<br />
fango che si fabbricano laggiù e che, dopo fatti, si mettono<br />
appunto a asciugare al sole.<br />
Continuando a strofinarsi il fazzoletto sul collo e sul viso,<br />
seguiva assorto le ombre delle nuvole. Un gruppo indugiava<br />
sulla siepe di canne lungo l’estrema bassura, come impigliate<br />
nel loro intrico; e una ancora, isolata e immobile,<br />
aduggiava la grande quercia al margine del sentiero, anche<br />
essa come frenata dalle fronde venerande. Ma le altre scorrevano<br />
libere, agili, scivolavano via sulla terra con leggerezza,<br />
agevolmente superavano alture, gobbe, muretti, mucchi<br />
di sassi, perdendosi infine oltre la selva sulle colline a levante.<br />
Cose leggere trascorrenti e silenziose: come i pensieri.<br />
Tratto forse da questo spettacolo, sollevò gli occhi al cielo<br />
a osservare le nuvole di cui le ombre erano la proiezione. Ve<br />
n’erano che, ferme sulla linea dell’orizzonte sporgevano in alto<br />
i musi arrotondati, come prode di mondi celesti rocciosi e<br />
morbidi, con intervalli di vuoti e di golfi sereni. E altre che,<br />
simili a bioccoli o interi velli di lana appena tosata, galleggiavano<br />
pigre dentro l’azzurro, spostandosi verso scirocco.<br />
Ma, scarsamente commosso dalla parte estetica e scenica<br />
di ciò che vedeva, considerava piuttosto che, così com’erano,<br />
le nuvole non promettevano pioggia, solo indicavano la direzione<br />
del vento, del resto fiacco, che le portava.<br />
“E fermatevi, figlie di cane” imprecava mentalmente “e<br />
sgravatevi, che Dio vi fulmini”.<br />
Pensava alla durezza che la terra opponeva al lavoro dell’aratro<br />
e al doppio di fatica che questo gli costava. E sfido,<br />
da quand’è che non pioveva? Da marzo, salute a noi. A che<br />
demonio servivano mai le nuvole, se non si scioglievano in<br />
pioggia?<br />
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