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Pronubo è il vento, lui solo. Nella spiga che va formandosi,<br />
essi sbucano dall’involucro di quelli che saranno poi i chicchi,<br />
come tanti sonaglini. Quanto più carica è di vita, più la<br />
spiga se ne agghinda e se ne imbellisce, a guisa di un ninnolo<br />
che getti lateralmente zampilli. Allora il vento come un bambino<br />
s’impadronisce di questi ninnoli e, secondo il capriccio<br />
suo, con delicatezza o rudezza li scuote. Così si compie il rito<br />
nuziale del grano e, da fiore a fiore, il commercio sessuale dello<br />
scambio del polline.<br />
Hanno soltanto che, essendo così fragili, durano un tempo<br />
incredibilmente breve. Un giorno, due giorni. O quanto?<br />
Ed ecco per tutte le chine, a Serri, il grano metteva fiore.<br />
Distesa enorme, fiori infiniti. Venti, trenta per ogni spiga;<br />
quante saranno state le spighe? E bisognava ben credere che<br />
gli zefiri dell’aprile – i putti dalle gonfie gote, alati, galleggianti<br />
nell’aria, che si vedono nei vecchi atlanti – avessero lavorato<br />
a dovere per produrre un così vasto, diffuso, simultaneo<br />
risveglio.<br />
Nessun paragone possibile fra lo spettacolo che offriva oggi<br />
l’ingenuità di questi fiori, e la rossa carnale opulenza ostentata<br />
fino a due settimane prima dai fiori dei papaveri. E non<br />
l’apparenza soltanto. Portavano promesse diverse: questi l’inganno,<br />
la droga, la mistura che smemora e adduce fantasmi;<br />
quelli il seme che nutre, la farina, il pane.<br />
Ma non è a queste cose, s’intende, che pensava Giuanni<br />
Cinus, mentre saliva quel pomeriggio per la strada di Sinniri,<br />
grama e infossata, a cavallo dell’asino. Pensava piuttosto che<br />
da questi cincinni, fra poco, hai da vedere che ingrano.<br />
Veniva dalla campagna di Tula, l’ovile delle pecore, in<br />
“parte di sole”. La strada che percorreva sprofondava in quel<br />
punto di almeno tre braccia, rispetto al piano della campagna:<br />
una spaccatura del banco argilloso, la quale si trasformava,<br />
durante i rovesci d’acqua, nel letto di un torrente. La ripa, a<br />
filo della trincea, era ben più alta della testa di un uomo a cavallo<br />
di un asino. Dalla sponda di destra, per lui che veniva in<br />
su, incominciava il possesso. E appunto su questa ripa, non<br />
essendo bisogno di siepi, veniva a morire la distesa del grano.<br />
Perciò il grano, a lui che l’osservava dal basso, appariva, su<br />
quello zoccolo di terra rossa strapiombante, eccelso, ancora<br />
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più alto di quanto non fosse in realtà, e così impetuoso nello<br />
spingersi fin sullo scrimine, da far temere che un po’ un po’<br />
traboccasse. Certo non sfuggivano, ai suoi occhi esercitati,<br />
sulla costa delle spighe, quei pallidi diafani fiori. Ed era proprio<br />
da loro che misurava l’ingrano.<br />
«Hài, tvrr!» diceva incitando la bestia.<br />
Incitava anche se stesso.<br />
Coraggio, si diceva, coraggio. Vedrai che ce la farai; devi<br />
farcela, al punto in cui siamo. E dove lo trovi, dimmi, un grano<br />
che butta così? Se viene come promette, nel grano potrai<br />
affogarci, te lo dico io. Davvero ti si è rovesciato il destino.<br />
Ancora una volta si ricordava (ora gli era abituale) il sogno<br />
della mattina di novembre. Piano piano ogni cosa accadeva<br />
come l’aveva immaginata: lo spuntare dei germogli, l’incannato,<br />
e ora le spighe e questi fiori. E che cosa di meglio,<br />
che “stoccata” poteva desiderare, più di così? Sembrava che il<br />
destino altro pensiero non avesse che di realizzare la sua visione:<br />
togliere via via le cose dai regni del nulla e farle succedere.<br />
Con lui, beninteso, a fargli da levatrice, perché, perdio, non è<br />
che lui se ne stesse con le braccia incrociate, a aspettare che<br />
succedessero, ah. Domandare alle sue spalle e alle sue reni.<br />
Di nuovo guardava in su, di nuovo la speranza gli cresceva<br />
di dentro come un lievito (quella palla di pasta, tenuta<br />
in serbo nella madia, che giusto è detta “crescente”).<br />
Se tiene, Cristo, se appena tiene, ne riparleremo al momento<br />
di contare le quadre. Pensava a Nanni Pòrcina, e a<br />
quell’altro ciondolone del figlio, Fieli Pòrcina (che chissà, a<br />
proposito, com’è che non s’era più visto, da qualche tempo, a<br />
Serri) il quale, anche lui, tz!, faceva l’incredulo, si dava le arie<br />
di uno che ci va cauto, in fatto di previsioni, con tutti i suoi<br />
se e i suoi ma. Bene, bene, al <strong>raccolto</strong>, a riparlarne, quando<br />
sarebbe stato il momento di levare e insaccare.<br />
Se tiene, naturalmente. E qui sputava e faceva le corna<br />
contro il malocchio e l’influsso del Maligno, che ci mancherebbe<br />
anche questa. Crepa, tie’, Mala Bestia, diceva mentalmente<br />
rivolto al Maligno. <strong>Il</strong> quale proprio così: “Bestia”, è<br />
detto in lingua nostra, alla maniera della Scrittura: la Bestia<br />
per antonomasia, la Bestia dell’Apocalisse. E frattanto batteva<br />
colpi su quest’altra assai più concreta, mansueta e del tutto<br />
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