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Il raccolto - Sardegna Cultura

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po’ perché gli sembrava, chissà, di dar troppo nell’occhio,<br />

era trattenuto da una specie di rispetto umano. E, certo,<br />

quello di venirsene in sella a un asino a reclutare braccianti<br />

non era propriamente un fare da massaio.<br />

Ma in fin dei conti uno non si giudica esclusivamente<br />

dalla cavalcatura. La parte che fa, è quella che conta. Anzi,<br />

nel contrattare, lui pignoleggiava anche un poco, tirava di<br />

prezzo, s’impuntava; insomma, non voleva sfigurare, cosa<br />

credevano?<br />

Senza dubbio era singolare e anche piuttosto comico vederlo<br />

arrivare su quel palafreno, smontare, assicurare la bestia<br />

al palo e, con aria d’importanza, mettersi a marcanteggiare.<br />

Tu, come ti chiami, vuoi fare “un quanto” di giornate<br />

a sarchiare? Perché no, e quanto? Tanto. Uhm, e dove? Come<br />

dove: da me. Sottolineava indicibilmente quel “da me”,<br />

e più che mai gonfiava il petto e induriva la mascella; ancora<br />

un po’ e gli spuntavano fuori i bargigli, come al tacchino.<br />

Così c’era ora, questa novità dei braccianti, nella tenuta.<br />

Non era più Giuanni Cinus a perdercisi dentro, solo come<br />

un cane.<br />

Lavoravano a squadre di sei, una di fronte all’altra, partenti<br />

dagli opposti bordi del campo e dirette a incontrarsi<br />

nel mezzo.<br />

E becchettavano così di conserva la terra, con quell’attrezzo,<br />

la marretta, che è quasi nient’altro che manico, ha<br />

solo una piccola lingua in cima, ma alacre e tagliente e, dopo<br />

qualche giornata d’uso, tale che pare d’argento.<br />

Lavoro cane anche questo, altro che, alla sera hai da sentire<br />

che mani e che schiena e che reni. Eppure, a tirare la<br />

“scalata” era sempre lui, il vecchio, che pure avrebbe potuto<br />

limitarsi a sorvegliare. La chiamano così, i contadini, “scalata”:<br />

ed è il ritmo che riesce a tenere ciascuna squadra, regolato<br />

sul passo dell’uomo di punta, in gara con quelli della<br />

squadra antagonista. E lui appunto era quello che tirava la<br />

“scalata” per la sua squadra, trascinandosi dietro gli altri e, di<br />

riflesso – per ragioni di “punto” – la squadra opposta. E tirava<br />

davvero alla diavola, era difficile tenerne il passo, e difatti<br />

gli dicevano, mezzo ridendo mezzo imprecando: «Eh, ma<br />

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così ci farete rompere le ossa, in capo a un paio di giri; e che<br />

ci avete in corpo, le dimonia?».<br />

Quanto alle donne, la vita alla fattoria continuava a essere<br />

quella di sempre: la cura della casa, la lana, il focolare, la<br />

cura del cortile, le grandi biche quindicinali del bucato e,<br />

soprattutto, la eterna ricorrente interminabile fatica del pane.<br />

La quale durava sostanzialmente da un capo all’altro della<br />

settimana, la domenica esclusa, per poi ricominciare e durare<br />

e finire e ricominciare da capo. Eccola, infatti: il lunedì<br />

mondare il grano (cosa che là dicono “purgare”), lavarlo,<br />

farlo asciugare; il martedì, recare le corbe al molino centimolo,<br />

bardare l’asino, bendarlo, legarlo alla stanga e sorvegliare<br />

l’opera sua; il mercoledì, “spollinare”, un lavoro di<br />

braccia spalle mani e fiato, che consiste nello scernere, prima<br />

col setaccio poi con lo scuotimento di appositi panieri, il<br />

fiore dalla semola e questa dal cruschello e questo dalla crusca<br />

vera e propria; il giovedì lavoro leggero, predisporre la<br />

“mensa”, le “scivelle”, l’acqua e lavare il sale; il venerdì preparare<br />

la legna per il forno e, dopo il tramonto, togliere il<br />

lievito dal bagno d’olio e seppellirlo in una palla di pasta; il<br />

sabato, infine, alzarsi alle due di notte e finalmente intraprendere<br />

la confezione del pane, poi lasciarlo “riposare”, poi<br />

cuocerlo, poi sfornarlo, mettere nella madia quello per casa,<br />

nelle bisacce e nei tascapani quello per gli uomini, nelle ceste<br />

di canna quello d’orzo per i cani. E riposarsi il settimo<br />

giorno come Domine Dio.<br />

La differenza se mai era che Pasqua, la quale pure attendeva<br />

assieme alla madre a tutti questi lavori con la stessa cura<br />

di sempre, si sentiva tuttavia come straniata da essi e, in<br />

genere, da ciò che la circondava. E la ragione era che Fieli<br />

Pòrcina, dopo il fatto della sorgente, sembrava avesse deciso<br />

di punto in bianco di disertare Serri. Lo si era visto fuggevolmente<br />

alla Candelora (diceva che andava a maschere, era<br />

tempo di carnevale e allegria; voleva divertirsi, diceva; e a lei,<br />

Pasqua, boh, parole affatto usuali, come se non fosse memoria)<br />

e ancora una o due volte, sempre di passata, durante<br />

febbraio. Poi addio.<br />

Da principio lei, come si è visto, non aveva dato grande<br />

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