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guerra, di certo non è questo l’elemento di Route 181 che ha suscitato<br />
reazioni così vive.<br />
La più flagrante è stata la cancellazione dal programma all’inaugurazione<br />
del XXVI festival del film documentario, il Cinéma du Réel, a Parigi,<br />
il 14 marzo 2004, decisa congiuntamente dal ministro della cultura<br />
dell’epoca, Jean-Jacques Aillagon, e dalla direzione del Centre Pompidou,<br />
da sempre ospite di questo festival, con il pretesto che, potendo favorire<br />
“l’aumento di discorsi e azioni antisemite o di fobie antiebraiche<br />
in Francia”, rischiava di costituire una minaccia per l’ordine pubblico.<br />
In effetti la reazione di alcune organizzazioni ebraiche all’annuncio della<br />
proiezione era stata particolarmente virulenta. Buona parte della<br />
stampa accolse il film in modo altrettanto ostile (ritirato dalla serata<br />
inaugurale, esso fu poi passato nel corso della programmazione). Per la<br />
rivista “Aden”: “un miscuglio di parole di disprezzo, indifferenza,<br />
odio”. Stesso tono a “Libération”: “questo documentario israelo-palestinese<br />
mostra l’odio da una parte e dall’altra e lo stato di guerra permanente”.<br />
Perfino il critico, in genere piuttosto moderato, di “Le Monde”<br />
ci ha visto una provocazione antisemita. E il filosofo Alain Finkielkraut,<br />
per cui Sivan era “uno dei protagonisti dell’antisemitismo ebraico”, nel<br />
film ha visto “un incitamento al massacro”. Degli ebrei, ovviamente.<br />
Un viaggio di passione<br />
Route 181 è un film di passione, non di odio. Basta guardarlo con un<br />
minimo di obiettività per rendersi conto che manifesta un innegabile rispetto<br />
per la maggior parte delle persone che incontra. E se a Eyal Sivan,<br />
da israeliano, piace provocare i giovani soldati, c’è come una tenerezza<br />
nel modo di guardare questi guerrieri appena usciti dall’adolescenza,<br />
che paiono tanto sicuri di sé quanto visibilmente a disagio. È<br />
evidente che, se le testimonianze sono state selezionate, non sono comunque<br />
state manipolate. In questo film c’è dialogo, anche veemente e<br />
aspro. Non è per il perverso piacere di ricordare che la critica più ponderata<br />
può perdere il sangue freddo e un filosofo il senso della misura<br />
che qui riportiamo i suoi secchi giudizi; è per interrogarci sulle ragioni<br />
di tale violenza e per capire perché i detrattori del film abbiano rifiutato<br />
ciò che vi è detto.<br />
Alla politica di Ariel Sharon (che quando Sivan e Khleifi giravano<br />
era a capo del governo israeliano) sono state rivolte accuse ben più pesanti<br />
di quelle che Route 181 esprime; è stato mostrato più di un check-<br />
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