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prendeva la serie di articoli, è stato tradotto in ebraico solo di recente ed<br />

è stato considerato non soltanto antisionista ma in un certo senso addirittura<br />

una sorta di negazione dell’Olocausto. La Arendt, oltre a mettere<br />

in dubbio la legittimità del processo per il modo in cui era stato celebrato<br />

in Israele, attribuiva gran parte della responsabilità di quanto era<br />

successo durante l’Olocausto all’eccessiva obbedienza della leadership<br />

ebraica del tempo. La dichiarata adesione di Sivan alle tesi della Arendt<br />

screditarono automaticamente lui e il suo film agli occhi della maggioranza<br />

di quegli israeliani che erano coinvolti nel dibattito accesosi attorno<br />

a Uno specialista. Sentir dare a Sivan dell’ebreo antisemita non era<br />

una rarità.<br />

In secondo luogo, con o senza Hannah Arendt, Adolf Eichmann<br />

non emergeva dal film come un mostro assetato di sangue bensì come<br />

esempio tipico di quella figura che i tedeschi chiamano Schreibtischtäter,<br />

il megacriminale burocrate che usa la penna, invece della pistola, come<br />

arma mortale. Oltre a essere molto più difficile da spiegare, questo genere<br />

di criminale non suscita automaticamente negli spettatori la netta<br />

repulsione dovuta. È molto più facile odiare un criminale quando la<br />

sua descrizione corrisponde all’immagine banale del “cattivo”. Molti<br />

israeliani che videro le foto di Eichmann o i cinegiornali a lui dedicati<br />

nel 1961 provarono un certo imbarazzo nel vedere quell’uomo anziano<br />

e scialbo seduto nella cella di vetro di un tribunale di Gerusalemme.<br />

Per il pubblico della generazione seguente, le sequenze scelte nel 1999<br />

da Sivan furono ancora più deprimenti: come aveva potuto un personaggio<br />

tanto mediocre perpetrare lo stermino di gran parte degli ebrei<br />

d’Europa?<br />

C’è una scena che Sivan ha usato brillantemente per colmare la distanza<br />

tra il pubblico e l’immagine di Eichmann: i tre giudici iniziano<br />

un’intensa discussione con Eichmann in tedesco, estromettendo l’interprete<br />

che traduceva in ebraico, per capire le ragioni di una delle sue decisioni<br />

letali. Di colpo lo spettatore riesce a cogliere la familiarità che<br />

prevale fra queste quattro persone, una familiarità creata dalla lingua<br />

comune e dal loro comune ceto di provenienza, la borghesia tedesca.<br />

Ovviamente, rispetto a gente cresciuta in una tradizione culturale diversa<br />

i giudici godono di una posizione migliore per capire gli atteggiamenti<br />

di Eichmann nei confronti degli ebrei; per i giudici l’enormità del crimine<br />

è ancora più evidente che per chi è cresciuto in un ambiente diverso,<br />

ma per lo spettatore medio la scena difetta non soltanto di drammaticità<br />

ma dell’intensità emotiva generalmente associata al crimine inaudito<br />

di annientare sei milioni di ebrei per via della loro presunta inferio-<br />

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