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zione documentaria europea, Thierry Garrel, un vero commissario politico.<br />

La nostra controversia risale ad Aqabat-Jaber, quando aveva detto<br />

che avrebbe comprato tutti i film premiati al Cinéma du Réel tranne il<br />

decimo perché era il mio... Il problema era il soggetto: un film sui rifugiati<br />

palestinesi veniva considerato scandaloso. Quando stavamo preparando<br />

Izkor, il produttore incontrò Garrel. Allora non poteva dire che<br />

mi detestava, visto che non ci conoscevamo ancora, così ha chiesto una<br />

sceneggiatura, voleva i dialoghi prima delle riprese. L’idea mi divertiva,<br />

venivo da dodici anni di scuola israeliana e quindi potevo farlo tranquillamente...<br />

In un passaggio scrivevo: “La professoressa entra in classe e<br />

scrive sulla lavagna: Pasqua, festa della libertà”. Bene, nel film questo è<br />

successo davvero. In quindici anni non era cambiato niente. La componente<br />

autobiografica ci ha dunque permesso di muoverci nella scuola,<br />

sapevamo dove filmare, dove metterci durante le cerimonie – è un po’<br />

come chi è sempre andato in chiesa...<br />

Ma l’elemento centrale in ogni film è per me la ricerca di un dispositivo<br />

adatto. Quando abbiamo girato Uno specialista il dispositivo consisteva<br />

nel guardare il processo Eichmann dal punto di vista dello spettatore,<br />

nell’aula del processo in cui lo spettatore era Hannah Arendt. La prima<br />

stesura della sceneggiatura cominciava con una macchina da presa in soggettiva<br />

che entrava in un stanza, era il redattore capo del “New Yorker”.<br />

Si leggeva il testo di Arendt, che doveva essere interpretato da un’attrice<br />

(avevo pensato a Maria Schneider). In seguito abbiamo eliminato tutto<br />

questo ma il dispositivo è rimasto: quanto è intorno a noi va via, ciò che<br />

sta di fronte resta. Avevamo previsto fin dall’inizio di usare i materiali<br />

d’archivio e subito, nella fase di scrittura, ho stabilito che avremmo dovuto<br />

usarli entrandoci dentro – ancor prima di vedere le immagini del processo<br />

e di sapere se sarebbe stato possibile sul piano tecnico.<br />

Come è stato accolto Izkor in Israele?<br />

Abbiamo fatto una prima proiezione privata, dopo è stato proiettato<br />

al festival di Gerusalemme, diventando un subito un caso. Sulla stampa<br />

si è aperta una discussione molto accesa, dicevano che paragonavo gli<br />

israeliani ai nazisti... È stato vietato con la scusa che avevamo girato senza<br />

l’autorizzazione del ministero dell’Istruzione. Al tempo stesso ha cominciato<br />

a circolare nelle scuole di educazione, in quelle di cinema, nelle<br />

facoltà di sociologia, hanno scritto tantissimi saggi... In qualche modo<br />

Izkor ha avviato un processo di riflessione sulla società israeliana, anche<br />

perché risponde a un’esigenza generale di sviluppare un pensiero sulla<br />

strumentalizzazione della memoria in Israele. Oggi è diventato un rife-<br />

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