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festazione di Peace now! e davanti al parlamento israeliano ho distribuito<br />

dei volantini che avevo fatto da solo, con la fotocopiatrice della<br />

scuola, in cui prendevo posizione a favore della disobbedienza nei Territori<br />

occupati. Quelli di Peace now! mi hanno cacciato dalla manifestazione.<br />

Lì ho capito che non eravamo sulla stessa lunghezza d’onda: c’è<br />

una differenza fondamentale tra i sionisti di sinistra e chi sionista non<br />

vuole essere.<br />

Il momento cruciale per me è stata la guerra del Libano. Nel 1981, a<br />

sedici anni e mezzo, ho lasciato il liceo e mi sono trasferito a Tel Aviv.<br />

Avevo cominciato a lavorare con la fotografia, facevo del fotogiornalismo...<br />

Hai fatto una scuola di fotografia?<br />

No, in realtà l’interesse per la fotografia è più antico. Da ragazzino<br />

adoravo la chimica, a casa avevo un laboratorio, mi lanciavo in esperimenti,<br />

esplosioni... La fotografia mi dava la possibilità di continuare<br />

con la chimica in camera oscura, realizzando, in più, delle immagini. Mi<br />

hanno regalato una macchina fotografica e così è iniziata...<br />

Il fatto che fossimo in piena guerra del Libano, durante uno dei periodi<br />

di maggiore attività politica, non era certo indifferente. Per vivere<br />

facevo lavoretti qua e là, il barman, il cameriere nei ristoranti. È stato allora<br />

che ho incontrato gli esponenti dell’estrema sinistra israeliana. Avevo<br />

diciotto anni. Allora ci fu l’episodio più terribile della guerra in Libano,<br />

il massacro di Sabra e Chatila. Sharon segna così la mia adolescenza:<br />

è il criminale per eccellenza. Non è mai cambiato, e neppure poteva farlo:<br />

continua a essere ciò che rappresentava allora.<br />

Il 17 novembre 1982, sessanta giorni esatti dopo Sabra e Chatila,<br />

avrei dovuto entrare nell’esercito: in Israele ti chiamano la prima volta a<br />

sedici anni. Già dall’anno prima avevo deciso che non avrei fatto il servizio<br />

militare, ho cominciato a cercare ogni mezzo possibile per evitarlo.<br />

Non volevo andarci, ne ero sicuro, ma da noi l’obiezione di coscienza<br />

non esiste, la sola via d’uscita è farsi credere pazzi. Così ho iniziato a fare<br />

il folle, ma avevo molta paura perché non fare il servizio militare metteva<br />

in una situazione difficile: essere riformati per ragioni psichiatriche impediva<br />

di prendere la patente, non si poteva lavorare nell’amministrazione<br />

e negli impieghi pubblici. Ma non avevo altra scelta. All’inizio raccontavo<br />

che non stavo bene, che avevo problemi familiari... Ho fatto anche<br />

delle prove per entrare nell’unità radiofonica e fotografica, nel giornale<br />

dell’esercito. Infine ho deciso di fargli credere di essere omosessuale, l’esercito<br />

allora non li voleva... Interpretavo il ruolo della “Grande pazza”,<br />

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