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tagliato, leggo libri, vedo film, incontro persone... Non è necessariamente<br />
un lavoro sul campo, riguarda piuttosto il soggetto che affronto<br />
nei suoi aspetti più generali e segue anche un’esigenza teorica. Così riesco<br />
a stabilire un punto di vista da cui far procedere la mia lettura. Per<br />
Izkor era scontato cercare Leibowitz. Nella nostra prima intervista abbiamo<br />
parlato di Masada, dei miti... Ho incontrato anche Tom Segev,<br />
che aveva appena scritto Il settimo milione, e altre persone che poi non<br />
sono entrate nel film. L’unico rimasto è Leibowitz. Anzi, la sua presenza<br />
è la condizione perché il film avanzi, Leibowitz è un po’ il marinaio che<br />
tiene la rotta, ha il ruolo del commentatore, della voce over nei film di<br />
propaganda, e Izkor come abbiamo detto è un film di contropropaganda.<br />
Leibowitz è anche il solo con l’autorità necessaria per farlo; non abbiamo<br />
le stesse posizioni politiche ma per me un momento chiave del<br />
film è quando gli chiedo se ascoltando l’inno nazionale si alza in piedi, e<br />
lui mi risponde “certo, sono parte di tutto questo”. È un’assunzione di<br />
responsabilità.<br />
Che cosa c’è di scritto e cosa è invece “improvvisato” in Izkor? Avevi deciso<br />
prima il tipo di persone che sarebbero entrate nel film?<br />
Una volta determinato il campo di indagine, lo spazio temporale, i<br />
protagonisti, nel caso di Izkor una fascia di ragazzi tra l’infanzia e l’età<br />
adulta, vado avanti. Volevo girare nella mia vecchia scuola ma non mi<br />
hanno dato il permesso, dicevano che era un film sulla propaganda, sul<br />
lavaggio del cervello... Il René Cassin invece ha accettato. Seguendo la<br />
traccia delle diverse età ho cominciato a cercare una famiglia che avesse<br />
dei figli di età compresa tra il periodo della scuola materna e quello dell’esercito.<br />
Volevo anche che fosse una famiglia nella quale la memoria<br />
era stata “insegnata”, cioè con una memoria soggettiva, non oggettiva;<br />
non volevo che ci fossero, nella sua storia, soldati morti in guerra o un<br />
rapporto diretto con la shoah. Per questo ho scelto una famiglia di ebrei<br />
orientali. C’entrava ovviamente il mio percorso politico, ma avevo anche<br />
interesse a spiegare come mai gli ebrei orientali si percepissero completamente<br />
separati dai loro luoghi di provenienza, dal mondo islamico<br />
dove sono sempre esistiti, e parlassero invece della storia europea come<br />
se fosse la loro. C’è una duplicità in questo processo: non solo si utilizza<br />
la memoria ma se ne cancella un’altra. Dopo diverse ricerche ho trovato<br />
la famiglia protagonista. Non sapevo però che Oshik la pensava in un<br />
certo modo e la sorella in un altro...<br />
Vorrei aprire una parentesi. Il più feroce critico cinematografico del<br />
mio lavoro è anche una delle persone con maggiore potere nella produ-<br />
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