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oltre cinquecento ore di filmati in video, di cui ne sono poi rimaste trecentocinquanta,<br />
il film ne ripropone due.<br />
Già a questo punto una precisazione si rende indispensabile: non<br />
occorre aver visto interamente il materiale girato da Hurwitz per rendersi<br />
conto che non si tratta di una mera restituzione documentale di un<br />
evento. Ce ne si può fare un’idea attraverso il film di Sivan, che lo riorganizza<br />
su basi concettuali diverse. Se si presta attenzione alle singole<br />
inquadrature, ovvero alla composizione interna di Hurwitz, a prescindere<br />
dal montaggio e dalle elaborazioni delle immagini realizzati successivamente<br />
da Sivan, ci si accorge subito che già in quella sede è stata<br />
data un’interpretazione dei fatti. Interpretazione “politica”, inevitabilmente.<br />
Hurwitz spia Eichmann, di cui si è fatto un’idea. Studia perciò<br />
l’immagine del soggetto da rappresentare; ne indaga la natura banal-criminale.<br />
In che modo? Sivan istituisce con il materiale di Hurwitz una<br />
relazione serrata, interrogandosi sulle domande che questo gli pone e rispondendo<br />
con soluzioni visive discrete ma significative. La responsabilità<br />
del personaggio-Eichmann viene enfatizzata inserendo, con un effetto<br />
elettronico, l’immagine della sala del tribunale riflessa nel vetro;<br />
questa soluzione isola la postazione in cui l’imputato è rinchiuso e allo<br />
stesso tempo mostra, in maniera indiretta, il contesto: lo spazio complessivo,<br />
e complesso, del processo in corso. Su Eichmann, nelle intenzioni<br />
di Hurwitz e negli interventi successivi di Sivan, si riflettono gli altri,<br />
il mondo, le contraddizioni cui questo mondo, ferito e scoperto nella<br />
sua oscura pratica (auto)distruttiva, cerca di far fronte, giudicando,<br />
condannando, eliminando l’elemento individuale perverso e criminale.<br />
Ingenerando così l’illusione, come ha spiegato la Arendt nel principale<br />
testo scritto di riferimento di questo processo (intitolato in Italia La banalità<br />
del male, con qualche leggera variazione rispetto all’originale Eichmann<br />
in Jerusalem. A Report on the Banality of Evil, del 1963), che la<br />
responsabilità eichmanniana non sia essenzialmente una responsabilità<br />
collettiva, un effetto modulare di un progetto concepito su larga scala,<br />
comprensibile in termini scientifici solo prestando attenzione alle dinamiche<br />
della psicologia sociale. Dunque la composizione dell’immagine,<br />
sviluppandosi su due piani sovrapposti grazie all’intervento sivaniano,<br />
determina un impatto ambiguo ed emblematico: Eichmann, pur trovandosi<br />
davanti ai nostri occhi, viene ripreso, cioè filtrato, dal vetro. Il<br />
vetro lo pone non soltanto al di là di una superficie concreta, materiale –<br />
in quanto riflettente – seppure trasparente, ma anche al di là della nostra<br />
possibilità di vedere direttamente e quindi di comprendere immediatamente<br />
e appieno. Viceversa, la cornice processuale che il vetro ri-<br />
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