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i luoghi dell'architettura - Dipartimento di Architettura - Università ...

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Premessa<br />

Un <strong>Dipartimento</strong> Universitario a Venezia,<br />

un Sistema <strong>di</strong> Scuole Secondarie a<br />

Sarno ed una tesi <strong>di</strong> laurea per una<br />

Scuola <strong>di</strong> Specializzazione a Carpi: forse<br />

è soltanto casuale che i progetti qui<br />

presentati siano, pur <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso or<strong>di</strong>ne<br />

e grado, delle scuole.<br />

Ma è certo che se l’in<strong>di</strong>viduazione del<br />

carattere proprio dell’e<strong>di</strong>ficio pubblico<br />

costituisce, nella privatizzata città<br />

o<strong>di</strong>erna, uno dei problemi fondamentali<br />

per una architettura che si voglia “civile”,<br />

l’e<strong>di</strong>ficio scolastico si presta particolarmente<br />

ad approfon<strong>di</strong>re, senza un<br />

alibi cre<strong>di</strong>bile, la crisi attuale dell’architettura<br />

a farsi interprete dei caratteri<br />

collettivi della città.<br />

Forse proviene da qui - dalla particolare<br />

necessità per un e<strong>di</strong>ficio destinato all’istruzione<br />

<strong>di</strong> attingere anche ad una<br />

rappresentazione della propria natura<br />

collettiva - la tensione, comune a questi<br />

progetti, ad una certa <strong>di</strong>dascalicità rispetto<br />

al tema. Non è solo l’Istituto del<br />

Concorso (l’occasione <strong>di</strong> questi progetti)<br />

e la sua natura in fondo agonistica a<br />

costringere - positivamente, secondo<br />

noi, purché non si trasformi in uno sbrigativo<br />

avvallo <strong>di</strong> mera <strong>di</strong>versità - ad una<br />

ra<strong>di</strong>calizzazione della proposta, ad una<br />

sorta <strong>di</strong> tipizzazione, ma anche, nel nostro<br />

caso, l’evidente ricerca del valore<br />

propriamente costruttivo <strong>di</strong> una possibile,<br />

anche soltanto intuita, norma o “ regula”<br />

che vada oltre, se non contro, le<br />

aspettative stesse dell’Istituzione.<br />

Un secondo elemento comune ai lavori<br />

che si presentano è il loro cosciente e<br />

aperto misurarsi con la città antica: sia<br />

che si trovino in <strong>luoghi</strong>, ad essa interni,<br />

la cui ragion d’essere rispetto alla sintassi<br />

urbana sia stata incrinata da tra-<br />

16<br />

D O S S I E R<br />

TESTIMONIANZE: VENEZIA, SARNO, CARPI<br />

Maria Grazia Eccheli<br />

sformazioni più o meno recenti e che<br />

attendano dal progetto una sorta <strong>di</strong> risarcimento;<br />

sia che si trovino in <strong>luoghi</strong><br />

esterni in cui debba essere fondata proprio<br />

la plausibile necessità del loro stesso<br />

apparire. In entrambi i casi, tali <strong>luoghi</strong><br />

manifestano l’esigenza <strong>di</strong> un loro senso<br />

rispetto alla città intera.<br />

È proprio tale valore relazionale dei <strong>luoghi</strong><br />

che i progetti assumono come proprio<br />

elemento maieutico. In realtà si tratta<br />

<strong>di</strong> un confronto impari e quasi sempre<br />

perdente, ma che si ritiene necessario<br />

ed insostituibile perché, oltre a trasformare<br />

il processo <strong>di</strong> progetto in un appren<strong>di</strong>mento<br />

continuo dei tratti strutturali<br />

della città e a fondare le possibili norme<br />

<strong>di</strong> una sua continuazione (non necessariamente<br />

lineare), esso impone allo stesso<br />

tempo un riesame degli stessi fondamenti<br />

del progetto moderno.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista della localizzazione, i<br />

progetti per Venezia e Sarno sono tra<br />

loro complementari.<br />

Mentre la Scuola veneziana si trova all’interno<br />

<strong>di</strong> un sistema urbano <strong>di</strong> tale<br />

complessità storica e formale da aver<br />

costituito da sempre una impietosa<br />

pietra <strong>di</strong> paragone per il progetto moderno,<br />

l’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> Sarno si vede costretto,<br />

da insindacabili criteri <strong>di</strong> tecnica<br />

geologica, ad un forzato isolamento<br />

rispetto alla città <strong>di</strong> appartenenza.<br />

È tuttavia l’assunzione a tema, ancora<br />

prima della destinazione, proprio della<br />

localizzazione dell’e<strong>di</strong>ficio, vale a <strong>di</strong>re<br />

del suo necessario rapporto con l’insieme<br />

della città, a costringere ad una<br />

scelta <strong>di</strong>dattica se non <strong>di</strong>dascalica <strong>di</strong><br />

forme: la volontà <strong>di</strong> ritrovare nella <strong>di</strong>samina<br />

progettuale l’imprevista <strong>di</strong>sponibilità<br />

e necessità stessa <strong>di</strong> soluzioni già<br />

conosciute, già sperimentate e, per<br />

questo, quasi al <strong>di</strong> fuori del tempo. Si<br />

vorrebbe declinare sul luogo soluzioni,<br />

almeno intenzionalmente, definitive.<br />

A tale scopo il progetto per Venezia sceglie<br />

<strong>di</strong> misurarsi con giaciture più antiche<br />

<strong>di</strong> quelle che reggono gli e<strong>di</strong>fici che lo<br />

circondano e che ora sono sepolte sotto<br />

incre<strong>di</strong>bili volumetrie: sceglie cioè <strong>di</strong> porsi<br />

nelle con<strong>di</strong>zioni stesse dell’origine<br />

della città. Con<strong>di</strong>zioni che a Venezia,<br />

data l’“innaturalità” del sito, sono già una<br />

creazione della città e forse la spiegazione<br />

dell’inscin<strong>di</strong>bile unione <strong>di</strong> architettura<br />

e natura. Ma non si tratta <strong>di</strong> una scelta<br />

meramente archeologica: l’e<strong>di</strong>ficio si sviluppa<br />

ricorrendo agli elementi testimoni<br />

<strong>di</strong> una Venezia reale (la declinazione in<br />

acque veneziane del Palazzo, l’invenzione<br />

della “scuola” veneziana, il più evocativo<br />

tra gli e<strong>di</strong>fici della sua storia...) e si<br />

affida, alla ricerca <strong>di</strong> un principio <strong>di</strong> unità<br />

dell’insieme, alla implicita e cogente normatività<br />

<strong>di</strong> un frammento <strong>di</strong> morfologia<br />

lagunare.<br />

Sicuro <strong>di</strong> tale (faticosissima) relazione,<br />

l’e<strong>di</strong>ficio non vorrebbe <strong>di</strong>re nulla sull’attesa<br />

(ormai spasmo<strong>di</strong>ca e a cui viene ormai<br />

ridotta l’intera complessità progettuale<br />

del progetto) <strong>di</strong> un’immagine: nel<br />

senso che l’e<strong>di</strong>ficio può quasi “omettere”<br />

i suoi fronti. Ma l’omissione, com’è noto,<br />

è tutt’altro che rinuncia. In realtà il progetto<br />

affida, in un certo senso, alla città stessa<br />

il proprio compimento: demanda alla<br />

compresenza della città la risoluzione<br />

dei suoi stessi problemi.<br />

Non a caso: Venezia ha sempre conservato<br />

compresenti le leggi formali<br />

della propria crescita, non sai se causa<br />

od effetto <strong>di</strong> una straor<strong>di</strong>naria fissità tipologica.<br />

Poche città possiedono la<br />

possibilità <strong>di</strong> tale visione sincronica del<br />

proprio processo storico: i severi e<strong>di</strong>fici<br />

dei “proti” vi convivono accanto all’opera<br />

che segna il tempo, in un rapporto<br />

vicendevole <strong>di</strong> mutua e necessaria<br />

spiegazione. Il prospetto famoso <strong>di</strong> San<br />

Marco nasconde, in qualche parte vicino<br />

all’abside, gli arconi <strong>di</strong> scarico della<br />

proto-Venezia/Alessandria belliniana. E<br />

forse non è un caso che la facciata della<br />

Scuola Misericor<strong>di</strong>a rifiuti ogni “finito”<br />

– fosse anche la forma palla<strong>di</strong>ana -, rifiuti<br />

cioè ogni determinazione stilistica.<br />

Un tale <strong>di</strong>stacco dalla forma, quasi una<br />

sospettosa <strong>di</strong>fesa che può rendere ragione<br />

della “moralità” delle pietre <strong>di</strong> Venezia<br />

in<strong>di</strong>viduata da Ruskin, può <strong>di</strong>ventare<br />

un proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> logica formale<br />

che la cultura architettonica più avveduta<br />

e cosciente ha già ad<strong>di</strong>tato come<br />

soluzione possibile per un “tempo <strong>di</strong><br />

privazioni”.<br />

Il progetto si limita a creare la possibilità<br />

e una prova della legittimità stessa<br />

del proce<strong>di</strong>mento appena descritto: l’irrazionalità<br />

dei confini del lotto a <strong>di</strong>sposizione<br />

viene utilizzata per trasformare<br />

i limiti esterni in una casuale sezione <strong>di</strong><br />

una struttura interna, su cui meno esigente<br />

sia l’aspettativa <strong>di</strong> una “rappresentazione”.<br />

Nel caso <strong>di</strong> Sarno il progetto è come soverchiato<br />

dalla responsabilità che gli deriva<br />

dal forzato isolamento dalla città.<br />

L’impossibilità <strong>di</strong> istituire una qualche<br />

<strong>di</strong>alettica con l’esistente, tuttavia, non<br />

esime il progetto dal ricercare una relazione<br />

con l’antico inse<strong>di</strong>amento che sia<br />

ragione del suo stesso apparire.<br />

Data la complessità stessa <strong>di</strong> un programma<br />

che prevedeva un insieme <strong>di</strong><br />

scuole, la soluzione forse più imme<strong>di</strong>ata<br />

<strong>di</strong> un frammento <strong>di</strong> “tessuto” o <strong>di</strong> una<br />

composizione <strong>di</strong> più e<strong>di</strong>fici si sarebbe<br />

confusa con i lacerti dell’incipiente<br />

espansione: per questo la soluzione<br />

viene vista piuttosto un unico e<strong>di</strong>ficio a<br />

costituire la stessa spiegazione <strong>di</strong> questi<br />

ultimi.<br />

Di qui la scelta <strong>di</strong> evocare il para<strong>di</strong>gmatico<br />

ruolo delle certose suburbane, che<br />

nel loro orgoglioso e altrettanto forzato<br />

isolamento non<strong>di</strong>meno sono sempre,<br />

nel loro declinare segni inequivocabili<br />

d’appartenenza, una prefigurazione<br />

della città <strong>di</strong> cui costituiscono l’isolato<br />

avamposto nella campagna: Pavia,<br />

Parma, Firenze...<br />

Proviene da qui il ricorso ad una forma<br />

tipica <strong>di</strong> ogni atto <strong>di</strong> fondazione che caratterizza<br />

quei tipi <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici - compresa<br />

la loro utopica e quasi astorica idealità<br />

-, e che sembra riassumere nella sua<br />

semplicità la sacralità <strong>di</strong> ogni inizio,<br />

nella speranza <strong>di</strong> attingere ad una generalità<br />

che renda secondaria la contingenza<br />

dello stesso programma. Si<br />

tratta in fondo <strong>di</strong> una figura da agrimensori,<br />

preoccupata <strong>di</strong> istituire, o <strong>di</strong> rapportarsi<br />

con un <strong>di</strong>segno dei campi che<br />

si confonde con l’immagine stessa della<br />

città me<strong>di</strong>terranea. Ed è sorprendente<br />

che alla fine il progetto ripeta in se<br />

stesso la stessa forma dell’inse<strong>di</strong>amento<br />

della città cui appartiene.<br />

A riscattare l’e<strong>di</strong>ficio da questo a-priori<br />

formale - si tratta ovviamente <strong>di</strong> una<br />

speranza prima ancora che <strong>di</strong> un’intenzionalità<br />

- è forse la naturalezza con cui,<br />

secondo noi, l’e<strong>di</strong>ficio può rispondere<br />

alla complessità del bando (il legame<br />

con il sito, la relativa in<strong>di</strong>pendenza delle<br />

tre scuole, il ruolo comune dei servizi<br />

sovrascolastici e degli impianti sportivi)<br />

semplicemente sviluppando l’implicito<br />

or<strong>di</strong>ne tassonomico della crociera, la<br />

sua imme<strong>di</strong>ata capacità <strong>di</strong> tradurre in<br />

valore collettivo dei nessi <strong>di</strong>stributivi.<br />

17<br />

D O S S I E R

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