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i luoghi dell'architettura - Dipartimento di Architettura - Università ...

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LA PROGETTAZIONE DEGLI SPAZI<br />

PUBBLICI NEL RAPPORTO CON LA SCUOLA<br />

‘LE DUE VERITA’ - CONSIDERAZIONI DI CARATTERE GENERALE<br />

Progettare un ‘polo’ (il cannone <strong>di</strong> J. L. Sert e i due contesti)<br />

72<br />

D O S S I E R<br />

Mauro Mugnai<br />

Il tema della progettazione <strong>di</strong> questo ‘polo’ si è inteso <strong>di</strong> prenderlo in considerazione facendo riferimento al concetto <strong>di</strong> ‘tipologia’,<br />

tipologia <strong>di</strong> uno spazio. Alla ricerca <strong>di</strong> come strutturare in senso unitario degli spazi esterni, vivibili, abitabili dal citta<strong>di</strong>no inteso<br />

come pedone; progetto, quin<strong>di</strong>, essenzialmente finalizzato alla definizione <strong>di</strong> un ‘involucro’ per il pedone-abitante. E, <strong>di</strong> conseguenza,<br />

in<strong>di</strong>viduazione delle quantità minime in<strong>di</strong>spensabili per realizzare un assetto significativo: “Nel minimo spazio, il massimo<br />

della qualità…”, potremmo utilizzare come slogan, parafrasando una pubblicità della Sony (che poi aggiunge: “È Sony e si<br />

sente”, a cui potremmo contrapporre: È un polo e si vede! Se in effetti è vero, come scrive Richard Neutra nel suo Progettare per<br />

sopravvivere 1 che “l’architettura/…/la pianificazione dell’ambiente sono in complesso ‘omnisensoriali’” ci si rivelano attraverso<br />

“tutti i sensi”, in fase <strong>di</strong> progettazione siamo praticamente costretti ad utilizzare soltanto la vista, anche se il termine ‘vedere’ non<br />

pare rendere conto più <strong>di</strong> tanto della partecipazione ad un determinato assetto spaziale).<br />

“ARCHITETTONICA. In generale l’arte <strong>di</strong> costruire in quanto suppone la capacità <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nare i mezzi al fine e il fine meno importante a quello più<br />

importante” (Nicola Abbagnano, Dizionario <strong>di</strong> filosofia , UTET 1993).<br />

“L’architettura come arte della delimitazione<br />

Certamente l’architettura è, più <strong>di</strong> ogni altra, l’arte della delimitazione e della ripartizione spaziale/…/Potremmo allora convenire che l’architettura è propriamente<br />

costituita da una spazialità, interna ed esterna al tempo stesso, una spazialità che, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quella della scultura, anziché “inserirsi” nello spazio,<br />

lo comprende e lo delimita dall’interno e dall’esterno, e lo rende al tempo stesso spazio abitabile in tutte le sue <strong>di</strong>verse accezioni.” (Gillo Dorfles, Il <strong>di</strong>venire<br />

delle arti, Torino, Einau<strong>di</strong> 1959, p. 133,134) “non ci stupirebbe che in un futuro non troppo lontano i nuovi centri urbani cercassero <strong>di</strong> sposare un rinnovellato<br />

‘senso della facciata’ con quella ricerca d’una prospettiva pluri<strong>di</strong>mensionale propria <strong>di</strong> molta architettura d’avanguar<strong>di</strong>a. Questo dovrebbe permettere anche<br />

una pacifica convivenza tra e<strong>di</strong>fici antichi e nuovi, senza che si giunga ad un eccessivo stridore stilistico e prospettico.” (ivi, p.149,150). “Eppure oggi, a<br />

<strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> pochi decenni, ci accorgiamo che anche il rigorismo bauhausiano è superato, ci accorgiamo cioè che il <strong>di</strong>vorzio così assoluto tra le tre arti non<br />

aveva, e non ha, una reale ragion d’essere, che anzi è forse solo con la re-immissione <strong>di</strong> pittura e scultura che si potrà vivificare anche l’architettura.” (ivi,<br />

p.152). “immettere nell’architettura l’elemento cromatico oltre che sotto l’aspetto dell’opera pittorica anche sotto quello più elementare ma altrettanto efficace<br />

della cromatizzazione <strong>di</strong>retta dell’e<strong>di</strong>ficio.” (ivi, p.152) “Solo riagganciando l’arte alla scienza e alla filosofia, se non è più ammissibile <strong>di</strong> riagganciarla alla<br />

magia e al rito, sarà possibile restituirle una vasta base <strong>di</strong> comunicatività.” (ivi, p. 290).<br />

“Sarà giusto e “moderno” riaccettare il concetto <strong>di</strong> decorazione nel senso inteso da Sullivan (ossia come facente parte integrante della “funzione” <strong>di</strong> un<br />

e<strong>di</strong>ficio), e non certo nel senso <strong>di</strong> qualche tralcio <strong>di</strong> glicine o <strong>di</strong> altre superfetazioni ornamentali appiccicate alle pareti nude d’una costruzione a imitazione<br />

dei fasti (e nefasti) dell’Art Nouveau.” (Gillo Dorfles, La modernità è da inventare, “l’Arca” n. 5 1987, p. 2).<br />

“In questo sforzo del movimento moderno, a me pare che si possano ravvisare – sostanzialmente – due sentieri alternativi: il primo è quello degli architetti<br />

che si concentrano nello stu<strong>di</strong>o “dei pieni”: textures , involucri, effetti plastici e così via, intendendo l’architettura come un problema <strong>di</strong> volumi e <strong>di</strong> spazi<br />

interni. Il secondo sentiero è quello degli architetti che – partendo da volumi programmaticamente poveri (case popolari costruite in serie ecc.) – si sono<br />

concentrati essenzialmente nello stu<strong>di</strong>o “dei vuoti”, degli spazi interposti tra quei volumi elementari, intesi come una sorta <strong>di</strong> “mattoni urbanistici” della<br />

nuova città e della nuova figuratività. Per motivi vari, fino ad oggi il primo sentiero è risultato molto più praticato e suggestivo del secondo, ma le cose<br />

potrebbero anche rovesciarsi, domani, e la ricerca <strong>di</strong> “monumenti spazio, come in ogni altra epoca umana, <strong>di</strong>venire <strong>di</strong> nuovo intelligibile alla comune<br />

comprensione <strong>di</strong> tutti gli uomini: come capita per altre manifestazioni artistiche, soprattutto musicali e letterarie ma anche plastiche e figurative.” (Francesco<br />

Tentori, “Casabella” n. 453, <strong>di</strong>cembre 1979, p.52).<br />

“tel dessin d’un volume cubique pourra être vu comme la limite externe d’un solide que nous percevons du dehors ou comme l’entourage d’un espace que<br />

nous percevons du dehors ou comme l’entourage d’un espace que nous percevons de l’intérieur. Dans ce cas ambigu, la consigne qui pourra être donnée,<br />

in<strong>di</strong>rectement, au sujet percevant, de voir la forme ‘en sailli’ ou ‘en creux’, décidera de la solution qu’il adoptera.” (Noël Mouloud, La peinture et l’espace ,<br />

PUF, Paris 1964, p.32).<br />

… “le opere i cui spazi portano un contributo <strong>di</strong> benessere alla vita della popolazione e favoriscono l’incontro degli uomini, hanno un loro fondo che può<br />

definirsi politico e sociale anche perché spostano i termini architettonici da una concezione <strong>di</strong> casta intellettuale o specializzata a quelli <strong>di</strong> una corale<br />

partecipazione/…/Io mi sono domandato più volte perché mai tante celebrate opere <strong>di</strong> architettura lasciano in<strong>di</strong>fferente o scontento il pubblico e che cosa<br />

occorrerebbe fare perché esso si avvicinasse all’architettura <strong>di</strong> oggi senza i pregiu<strong>di</strong>zi e le reticenze che, spesso ironicamente, <strong>di</strong>mostra. Perché è certo<br />

che quanto più una costruzione sembra interessante per i tecnici, i critici e gli uomini <strong>di</strong> cultura, tanto più è incomprensibile per i non ‘competenti’. Mentre<br />

a noi i grattacieli <strong>di</strong> Mies rivelano un giuoco sapientissimo <strong>di</strong> rapporti e molte altre cose ancora che lo<strong>di</strong>amo, al pubblico in generale paiono gabbie o prigioni;<br />

e mentre per noi la Chiesa <strong>di</strong> Ronchamp è un fatto plastico e molte altre cose da me<strong>di</strong>tare, per il pubblico è una forma strana o non una Chiesa; e così via<br />

(Giovanni Michelucci, Riflessioni , “La Casa” n. 6, p. 219).<br />

“Il terzo grande ostacolo all’autoconoscenza umana è – almeno nelle nostre culture occidentali – un’ere<strong>di</strong>tà della filosofia idealistica. Sorge dalla bipartizione<br />

del mondo nel mondo esterno delle cose, che per principio è senza valore per il pensiero idealistico, e nel mondo interno del pensiero umano e della<br />

ragione, a cui soltanto vengono riconosciuti valori. Questa bipartizone è cara alla superbia spirituale dell’uomo e sostiene in maniera gra<strong>di</strong>ta la sua<br />

avversione ad accettare che il suo comportamento sia determinato da cause naturali.” (Konrad Lorenz, L’aggressività, Milano Euroclub 1978, p.283)<br />

“In che consista l’essere scostumato: quali atti sieno spiacevoli a que’ co’ quali si usa. Si <strong>di</strong>vidono questi secondo il numero delle potenze dell’anima, alle<br />

quali si può render noia. Il che acciò che tu più agevolmente apprenda <strong>di</strong> fare, dèi sapere che a te convien temperare ed or<strong>di</strong>nare i tuoi mo<strong>di</strong>, non secondo<br />

il tuo arbitrio, ma secondo il piacer <strong>di</strong> coloro co’ quali tu usi, ed a quello in<strong>di</strong>rizzarli: e ciò si vuol fare mezzanamente: perciò che chi si <strong>di</strong>letta <strong>di</strong> troppo<br />

secondare il piacere altrui nella conversazione e nella usanza pare piuttosto buffone, o giuocolare, o per avventura lusinghiero, che costumato gentiluomo:<br />

si come per lo contrario chi <strong>di</strong> piacere, o <strong>di</strong> <strong>di</strong>spiacere altrui non si dà alcun pensiero, è zotico e scostumato e <strong>di</strong>savvenente. Adunque con ciò sia cosa che<br />

le nostre maniere sieno allora <strong>di</strong>lettevoli, quando noi abbiamo riguardo all’altrui e non al nostro <strong>di</strong>letto; se noi investigheremo quali sono quelle cose, che<br />

<strong>di</strong>lettano generalmente il più degli uomini, e quali quelle che noiano; potremo agevolmente trovare quali mo<strong>di</strong> siano da schifarsi nel vivere con esso loro, e<br />

quali siano da eleggersi. Diciamo adunque, che ciascuno atto che è <strong>di</strong> noia ad alcuno de’ sensi; e ciò che è contrario all’appetito; ed oltre a ciò quello, che<br />

rappresenta alla immaginazione cose male da lei gra<strong>di</strong>te, e similmente ciò che lo intelletto have a schifo, spiace e non si dee fare.” (Giovanni della Casa,<br />

Galateo ovvero de’ costumi, Firenze Le Monnier 1949, p.30-31).<br />

Su “Mattina” del 14.10.97, Condono, tutto da rifare. A rischio chi ha già pagato, si dà notizia <strong>di</strong> una legge del 1939 che all’articolo 15 elenca una serie <strong>di</strong><br />

violazioni dei vincoli paesaggistici, ambientali, geologici e simili. La finanziaria dell’anno scorso ha previsto un regolamento per questa legge e dovranno<br />

così essere riviste tutte le pratiche <strong>di</strong> condono e<strong>di</strong>lizio.<br />

“Senza concetti non c’è universalità o oggettività: non c’è forma: forma non può essere che lo eidos, l’idea, il concetto (la lezione inconsunta dei greci): e ‘immagine’ e<br />

musicalità e simili appartengono, per se stesse, all’or<strong>di</strong>ne dello imme<strong>di</strong>ato o soggettivo o sensibile o particolare che si <strong>di</strong>ca.” (Ignazio Ambrogio, dalle Note alla Critica del<br />

gusto <strong>di</strong> Galvano della Volpe, in G. Della Volpe, Opere, 6, E<strong>di</strong>tori Riuniti, 1973, p. 463). Potrebbe quin<strong>di</strong> essere, dovrebbe quin<strong>di</strong> essere l’’idea’ <strong>di</strong> un rapporto con un utente<br />

esterno, l’idea della strutturazione <strong>di</strong> un ‘vuoto’. L’idea della strutturazione <strong>di</strong> un ‘contingente’. NON la rappresentazione <strong>di</strong> un ‘u n i v e r s a l e’.<br />

“L’idea è, per se stessa, un universale: e nel campo artistico l’universale è il niente. S’io <strong>di</strong>co pianta, intendo tutte le piante, cioè nessuna pianta concreta. S’io <strong>di</strong>co<br />

capitano, intendo tutti i capitani e nessun capitano. Il filosofo e lo scienziato, gli speculatori puri, si partono appunto dagli universali od arrivano agli universali. La<br />

scienza e la filosofia hanno per oggetto l’universale. L’artista guarda anch’egli all’universale; ma all’universale limitato, oscurato, vorrei <strong>di</strong>re spezzato nella realtà.”<br />

(Eugenio Donadoni, L’Anima e la Parola, vol. II, Società E<strong>di</strong>trice Dante Alighieri, Milano, Roma, Napoli 1915, p.20). Dire scuola, non <strong>di</strong>ce niente. Dire quella piazza<br />

vuol <strong>di</strong>re mettere in grado gli abitanti <strong>di</strong> utilizzare quello specifico spazio. Se una pittura ha valenze universali può essere utilizzata per determinare uno spazio, ma<br />

l’oggetto che ha in sé la determinazione non collaborerà mai alla costruzione <strong>di</strong> uno spazio esterno. Idea, quin<strong>di</strong>, sì, ma <strong>di</strong> un ‘vuoto’.<br />

“L’unica via possibile, abbiamo detto, è <strong>di</strong> pensare fino in fondo il funzionalismo” (Jan Mukarovsky, Il significato dell’estetica , Torino, Einau<strong>di</strong> 1973, p. 385).<br />

“L’indagine formale sull’architettura non potrà mai riferirsi ad uno spazio in astratto, ma al modo in cui sarà stata accusata e risolta la in<strong>di</strong>spensabile<br />

esternità-internità dell’e<strong>di</strong>ficio. Nelle modalità della formulazione si recupera allora la chiave stessa della spazialità, <strong>di</strong> cui si è inteso investire l’immagine.<br />

- Ma occorre rifare tutta la storia dell’architettura! - esclamò sgomento Cortese.<br />

Perché non dovrebbe essere rifatta? Postillò Carmine/…/Comunque, Cortese, per questa famosa storia dell’architettura, che è pur da rifare, si dovrà tenere<br />

presente una <strong>di</strong>scriminazione inevitabile/…/E questa <strong>di</strong>scriminazione riguarda il modo col quale ci si sarà rivolti all’architettura, se prevalentemente immaginandola<br />

come un interno o in esterno. Che poi questa prevalenza non sia occasionale, ma investa <strong>di</strong> volta secoli <strong>di</strong> storia, sarà facile rendersene conto,<br />

solo che ci si rivolga, con un colpo d’occhio, alla successione storica <strong>di</strong> certe forme architettoniche.<br />

- E allora si scoprirà, - <strong>di</strong>sse, caricato, Carmine/…/che lo spazio interno è dei retrogra<strong>di</strong>, lo spazio esterno dei progressivi” (Cesare Bran<strong>di</strong>, Eliante o<br />

dell’<strong>Architettura</strong> , E<strong>di</strong>tori Riuniti, 1992, p. 264, 275).<br />

“E che cos’è dunque la città, se non una grande esposizione permanente?/…/I Vetrinisti son degli artisti, allo stesso titolo degli architetti, degli scultori e dei<br />

pittori che abbelliscon la grande casa nella quale viviamo; anzi son i soli pittori <strong>di</strong> pareti, oggi che l’affresco e il graffito all’aria aperta son quasi scomparsi”<br />

(Giuseppe Prezzolini, America con gli stivali , Vallecchi, 1954, p.520-521).<br />

“La decorazione è ritmo; in essa si nasconde lo stesso arcano che regna nella metrica del poeta. Parte dominante dell’architettura del Novecento ha<br />

operato allo stesso modo del poeta che si è scoperto a scrivere allontanando da sé la metrica: l’uno e l’altro hanno cercato <strong>di</strong> togliere la maschera al<br />

mondo, convinti <strong>di</strong> trovare la sostanza, e in questo hanno rischiato il nulla e molto spesso hanno rischiato <strong>di</strong> portare a compimento la totalizzazione eticopolitica<br />

dell’Ottocento” (Roberto Masiero, Elogio della decorazione contro la superficialità , “Rassegna” n. 41 1990, p. 23).<br />

“Non esiste alcunché <strong>di</strong> più <strong>di</strong>rettamente emozionante per l’occhio <strong>di</strong> un artista che l’arredamento interno <strong>di</strong> quel che negli Stati Uniti si chiama un appartamento ben<br />

ammobiliato. Il suo <strong>di</strong>fetto più comune è la mancanza <strong>di</strong> armonia. Noi parliamo dell’armonia <strong>di</strong> una camera come parleremmo dell’armonia <strong>di</strong> un quadro, perché ambedue,<br />

la camera e il quadro, sono egualmente sottomessi a quei principi indefettibili che sorreggono tutte le varietà dell’arte, e si potrebbe quasi <strong>di</strong>re che le leggi con le quali<br />

giu<strong>di</strong>chiamo le qualità principali <strong>di</strong> un quadro sono sufficienti per apprezzare l’armonia dell’arredamento <strong>di</strong> una camera” (Edgar Allan Poe, cit. da Giuseppe Bartolucci,<br />

Edgar Allan Poe pioniere dell’arredamento, “ Arte Club” n. 20, 1964, p. 57). Aggiungiamo il seguito (da: Edagar Allan Poe. Oeuvres en prose traduites par Charles<br />

Baudelaire, Gallimard 1969, p. 972): “Il y a quelquefois lieu d’observer un manque d’harmonie dans le caractère des <strong>di</strong>verses pièces de l’ameublement, mais plus<br />

généralement dans leurs couleurs ou dans leur modes d’adaptation à leur usage naturel. Très-souvent l’oeil est offensé par leur arrangement anti-artistique. Les lignes<br />

droites sont trop visiblement prédominantes, trop continuées sans interruption, ou rompues trop rudement par des angles droits. Si les lignes courbes interviennent, elles<br />

se répètent avec une uniformité dèplaisante. Par une précision outrée, tout l’aspect d’une belle chambre se trouve complétement gâté.”<br />

Sempre <strong>di</strong> Baudelaire sono da notare i richiami ad una concezione dualistica dell’arte (da Baudelaire Critique d’art suivi de Critique musicale, Paris Gallimard<br />

1992): “Plus l’art voudra être philosophiquement clair, plus il se dégradera et remontera vers l’hiéroglyphe enfantin; plus au contraire l’art se détachera de<br />

l’ensegnement et plus il montera vers la beauté pure et désintéressée. L’Allemagne, comme on le sait et comme il serait facile de le deviner si on ne le savait pas,<br />

est le pays qui a le plus donné dans l’erreur de l’art philosphique.” (p.259) “La dualité de l’art est une conséquence fatale de la dualité de l’homme” (p.345)<br />

“De tous les arts ou, plus exactement, de totes les techniques susceptibles d’atteindre parfois à l’art, c’est peut être l’architecture qui inspire au public le<br />

plus de timi<strong>di</strong>té, alors que c’està propos d’elle, par excellence, qu’il importerait le plus u’il eût des avis. Il a des réaction, des abstensions - sourtout des<br />

abstensions - rarement des avis. Les hommes se sentent et se <strong>di</strong>sent volontiers profanes en ce domaine où ils ne devraient pas l’être, puisq’ils sont bien<br />

forcés d’être les usagers de l’architecture et que toute leur vie en dépend. (Jean-François Revel, Les “progrès” de l’architecture, Peut-on parler de <strong>di</strong>vorce<br />

entre le public et les pionniers de l’architecture depuis en siècle?, “Connaissance des Arts”, n, 95 1960, p.87).<br />

“La <strong>di</strong>cotomia stu<strong>di</strong>ata qui appare <strong>di</strong> un significato e <strong>di</strong> una portata fondamentali per comprendere pienamente il comportamento verbale e il comportamento<br />

umano in generale” (Roman Jakobson, I poli metaforico e metonimico, in Saggi <strong>di</strong> linguistica generale , Milano, Feltrinelli, 1994, p.42).<br />

73<br />

D O S S I E R

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