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i luoghi dell'architettura - Dipartimento di Architettura - Università ...

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In questo scritto sarà mia cura volgermi<br />

alle note programmatiche attinenti<br />

al Laboratorio <strong>di</strong> Progettazione 2, sez.<br />

A, nelle quali si afferma il “primato del<br />

<strong>di</strong>segno” e si postula l’attenzione verso<br />

la sequenza delle in<strong>di</strong>cazioni teoriche<br />

che emergono dai riferimenti della trattatistica,<br />

intesa come traccia del “comporre<br />

architettura”.<br />

Nel delimitare l’ambito del nostro stu<strong>di</strong>o<br />

si afferma, con l’Alberti, che “l’architettura<br />

nel suo complesso si compone<br />

del <strong>di</strong>segno e della costruzione” ponendo<br />

inoltre attenzione alla<br />

asserzione successiva, “... si potranno<br />

progettare mentalmente tali forme nella<br />

loro interezza prescindendo affatto<br />

dai materiali”. La citazione continua definendo<br />

quel “primato del <strong>di</strong>segno”, che<br />

assumiamo, in toto, come nostro tracciato<br />

<strong>di</strong> lavoro, concepito nella mente e<br />

condotto a compimento da persona<br />

dotata <strong>di</strong> ingegno e <strong>di</strong> cultura. Nella citazione<br />

si può riconoscere l’eco <strong>di</strong> più<br />

nuove tautologie relazionate all’improbabile<br />

“eroe positivo” della viva stagione<br />

dell’idealismo al nostro inizio <strong>di</strong> secolo:<br />

a quell’intendente <strong>di</strong> poesia <strong>di</strong> cui<br />

molto si è <strong>di</strong>sputato.<br />

Nell’Alberti si può leggere una presa <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>stanza, quasi una nota inespressa <strong>di</strong><br />

biasimo, per un comporre, (un architettare)<br />

e un costruire, frutto degli artefici<br />

toscani: “una ragnatela <strong>di</strong> architettori e<br />

<strong>di</strong> ingegneri” intenti, a parole, narra il<br />

Vasari, a star “sopra il modo <strong>di</strong> voltar la<br />

cupola”, così come eufemisticamente<br />

palesato da quei consoli dell’Arte della<br />

Lana e da quegli operai <strong>di</strong> S. Maria del<br />

Fiore che ritardavano il nuovo <strong>di</strong> ser Filippo<br />

per mantenere intatta la gerarchia<br />

dei saperi corporativi, sperimentati<br />

ma tar<strong>di</strong>vi e comunque inadeguati<br />

42<br />

D O S S I E R<br />

A=f(U,B)<br />

Aurelio Cortesi<br />

alle attese della fabbrica del Duomo.<br />

Alberti poneva in <strong>di</strong>scussione l’assetto<br />

consolidato del ruolo dell’architetto, inteso<br />

come artefice, ma organico ad un<br />

sistema <strong>di</strong> produzione corporativa per<br />

proporre la figura dell’intellettuale compartecipe<br />

e protagonista del nuovo<br />

blocco <strong>di</strong> potere. È in questo senso che<br />

egli descrive l’ambito teorico attribuito<br />

alla figura “intellettuale” che il nuovo architetto<br />

incarna: l’autore che progetta<br />

mentalmente (le) forme... “prescindendo<br />

affatto dai materiali” certo, ma soprattutto<br />

si affranca dalla gestione tetragona<br />

delle corporazioni affermando<br />

un’area <strong>di</strong> intervento propriamente teorico:<br />

il “primato del <strong>di</strong>segno” consegue<br />

come area <strong>di</strong> conquistata autonoma in<strong>di</strong>vidualità.<br />

Le linee portanti del Rinascimento risultano<br />

delineate enunciando principi e<br />

teorie che riducono intenzionalmente il<br />

legame tra idea ed esecuzione in una<br />

operazione che privilegia il processo <strong>di</strong><br />

progetto astraendosi dai proce<strong>di</strong>menti<br />

tecnici consolidati della costruzione<br />

concreta.<br />

Alberti, più avanti nel testo, ci fa avvertiti<br />

dell’altro corno del <strong>di</strong>lemma: “riscoprire<br />

l’arte del costruire” inteso però<br />

come costume morale e non come processo<br />

intrinseco del progetto. Questa<br />

presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza, ancora una volta, dà<br />

senso rinnovato al campo della esecutività<br />

che assume una ulteriore autonomia:<br />

“Il <strong>di</strong>segno ne è strumento perché,<br />

al <strong>di</strong> là della scrittura architettonica dell’idea,<br />

sviluppa una sua processualità<br />

che è “forma delle relazioni e pertanto<br />

compone”.<br />

Assumiamo queste enunciazioni, al <strong>di</strong><br />

là delle tautologie possibili, per fissare<br />

il ruolo tra le teorizzazioni e le esecu-<br />

zioni delle opere, rilevando le intenzionalità<br />

dell’estensore che privilegia strumentalmente,<br />

il <strong>di</strong>segno, come fondamentale<br />

forma del pensiero architettonico<br />

tout court esprimendo “idea e<br />

forma delle cose” (Vasari).<br />

Si tratta <strong>di</strong> una strada già esplorata,<br />

anni fa, prima e dopo gli anni cinquanta,<br />

quando Ernesto N. Rogers espresse<br />

una teorizzazione in qualche modo debitrice<br />

alla trattatistica rinascimentale,<br />

privilegiando (facendosi lui stesso trattatista)<br />

il rapporto forma/funzione inteso<br />

come trasposizione dei termini <strong>di</strong> bellezza/utilità<br />

e comprendendo implicitamente,<br />

nella seconda aggettivazione, la<br />

firmitas. Un proce<strong>di</strong>mento analogo, ritengo,<br />

a quello sinteticamente enunciato<br />

nell’esor<strong>di</strong>o albertiano.<br />

Quella proposta mirava recuperare,<br />

alla cultura del Movimento Moderno,<br />

una parte della trattatistica espressa<br />

nella temperie culturale delle avanguar<strong>di</strong>e,<br />

segnando una via <strong>di</strong> riaffermazione<br />

dei valori della storia, in tempi<br />

nei quali la palingenesi era la premessa<br />

per la formulazione <strong>di</strong> nuove definizioni<br />

all’interno del rapporto <strong>di</strong> formalizzazione<br />

canonico.<br />

È la ricerca sulle evoluzioni del linguaggio<br />

architettonico che lo coinvolge<br />

in prima persona. La trattatistica in<strong>di</strong>ca,<br />

nell’arco del suo pensiero, un nodo applicativo,<br />

tra teoria e progettualità che<br />

Rogers riuscirà, nei suoi primi anni <strong>di</strong><br />

insegnamento, dal 1952 al 1955, a <strong>di</strong>ffondere<br />

dal pulpito della <strong>di</strong>sciplina Caratteri<br />

Stilistici e Costruttivi dei Monumenti.<br />

E questo programma rimarrà<br />

inalterato fino alla formulazione dei<br />

temi successivi, sulle preesistenze ambientali,<br />

riferiti alla sua propria elabora-<br />

concorso a inviti per il<br />

recupero <strong>di</strong> un antico<br />

borgo agricolo a<br />

Camerata (To<strong>di</strong>) 1991.<br />

progetto:<br />

prof. Aurelio Cortesi,<br />

arch. Marco Casamonti<br />

con<br />

Laura Andreini,<br />

Isotta Cortesi,<br />

Silvia Fabi,<br />

Giuseppe Fioroni,<br />

Emanuele Franzoni,<br />

Gristina Giani,<br />

Cristina Guerrini,<br />

Stefano Giovannozzi,<br />

Bettina Gori,<br />

Marcello Marchesini,<br />

Giovanni Polazzi.<br />

zione <strong>di</strong> progetto.<br />

La definizione degli aspetti del moderno,<br />

alla luce della problematica rogersiana,<br />

rimanda (siamo nel 1954) alla<br />

successiva elaborazione sui temi della<br />

tra<strong>di</strong>zione nazionale. Un avanzamento<br />

teorico ormai conflittuale, almeno nelle<br />

enunciazioni, rispetto alle idee consolidate<br />

del Movimento Moderno. Una in<strong>di</strong>cazione<br />

tematica che in questa sede<br />

mi limito ricordare in quanto non pertinente<br />

rispetto all’argomento che stiamo<br />

indagando, ma che richiamo per ricordare<br />

il riverbero culturale <strong>di</strong> portata<br />

generazionale del tema, -la contingenza<br />

che prende il sopravvento- rispetto<br />

agli sviluppi successivi dell’architettura.<br />

Ma a questo proposito voglio sottolineare,<br />

comunque, come Rogers perseguisse,<br />

sia nelle prime in<strong>di</strong>cazioni<br />

qui esposte, <strong>di</strong> carattere teorico, sia in<br />

quelle imme<strong>di</strong>atamente successive,<br />

più riferite al <strong>di</strong>battito cogente -quello<br />

della costruzione- una comune adesione<br />

ai temi della storia fissando, da lì, in<br />

modo riconoscibile, il percorso intrapreso<br />

dal mondo dell’architettura e<br />

che, osservato ormai a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong><br />

anni, stabilisce la sua coincidente e <strong>di</strong>rezionata<br />

strada alla progettazione della<br />

Velasca. (E poi del museo del Castello).<br />

Assistiamo ad una finalizzazione dei<br />

temi indagati; la storia, la tra<strong>di</strong>zione, il<br />

luogo, la città, volta ad una nuova pratica<br />

della progettazione, intesa questa,<br />

come “risoluzione” del momento storico<br />

attraversato. Un processo che si pone<br />

all’interno dell’assunto albertiano recuperando,<br />

tra idea ed esecuzione, principi<br />

<strong>di</strong> coerenza e <strong>di</strong> concretezza.<br />

Come abbiamo già sottolinato, la sua<br />

attività <strong>di</strong>dattica inizia mostrando -degli<br />

elementi del fenomeno architettonicole<br />

definizioni e i significati terminologici,<br />

saggiando però, <strong>di</strong> volta in volta, i<br />

limiti dei propri settori, affinché risultasse<br />

evidente -quasi una trama- la delimitazione<br />

del campo <strong>di</strong>sciplinare e il<br />

suo continuo <strong>di</strong>latarsi problematico<br />

d’orizzonte. Un testo lucido ma intrigante,<br />

funzionale alla costruzione sofisticata<br />

del paradosso: un materiale <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>o che potrebbe essere assunto,<br />

esso stesso, come base teorica per un<br />

programma <strong>di</strong> ricerca sulle “ragioni del<br />

comporre”, tentando, finalmente, una<br />

risposta non equivoca su “quale storia<br />

per la composizione architettonica”.<br />

“Struttura della composizione architettonica”,<br />

la lezione riassuntiva <strong>di</strong> tale<br />

periodo, pubblicata su “Aut-Aut”, Milano,<br />

luglio 1953, precisa le coor<strong>di</strong>nate<br />

teoriche della sua <strong>di</strong>dattica. In essa cogliamo,<br />

in nota a margine, la sua famosa<br />

formula:<br />

A=f(U,B),<br />

ove l’architettura, A, risulta funzione<br />

delle variabili: U- utilità e B- bellezza.<br />

In questa formula si può cogliere il senso<br />

positivo dei suoi riferimenti tautologici,<br />

rilevandone il cipiglio accademico<br />

e ironico assieme, misurando la sua<br />

capacità <strong>di</strong> allargare all’interno delle<br />

definizioni proposte i compiti dell’architettura<br />

e in ultima analisi dell’arte. <strong>Architettura</strong><br />

e arte intrinseci, per lui, al<br />

Movimento Moderno, beninteso.<br />

Da queste lezioni che sotto il titolo “Utilità<br />

e bellezza (Metodologia della composizione<br />

architettonica)” costituiscono la<br />

seconda parte <strong>di</strong> “Esperienza dell’<strong>Architettura</strong>”<br />

(Einau<strong>di</strong> 1958), si passa successivamente<br />

negli anni 64/65 ad un testo<br />

che mi accompagna da molti anni<br />

nella mia esperienza <strong>di</strong>dattica: mi riferi-<br />

43<br />

D O S S I E R

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