48 D O S S I E R vento al VI Convegno Nazionale <strong>di</strong> Urbanistica del 1957, Rogers dà conto <strong>di</strong> una intenzionalità progettuale ra<strong>di</strong>cata, finalizzata alla riassunzione dei termini concreti della complessità urbana. Una creatività selettiva, capace <strong>di</strong> mettere in <strong>di</strong>scussione, ogni volta, gli elementi compositivi accre<strong>di</strong>tati da tempo, così come <strong>di</strong>mostra la sequenza dei progetti della Velasca che danno ampia testimonianza del percorso intrapreso e delle sue proprie oscillazioni <strong>di</strong> tendenza. Ne consegue però la proposta <strong>di</strong> un linguaggio riconoscibile. Una invenzione linguistica, appunto, celata e forse nemmeno sperata, e se sperata, temuta. Rogers viveva il suo tempo <strong>di</strong> artista nel timore <strong>di</strong> una contrad<strong>di</strong>zione manifesta: una conflittualità interna con i propri iniziali enunciati, riferiti al rapporto forma/ funzione che si sostanzia nel proposito <strong>di</strong> riassumere, in una sola opera, il “carattere” <strong>di</strong> un’intera città. Il riferimento albertiano resta, come si vede, isolato sullo sfondo, non viene abbandonato del tutto, ma l’interpretazione del segno riassuntivo dell’architettura della Velasca si riferisce, in terra lombarda, ad una <strong>di</strong>versa connotazione della consistenza dei materiali e al senso del loro peso e spessore. Ma anche al colore mille volte variato, rispecchiato da rogge silenziose, <strong>di</strong> acque che scorrono piano nel fossato, in una terra che non consente astrazioni, se non materiche. Una <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> questa pervicace esperienza risulta possibile, anche se non esaustiva (si pensi al primato del <strong>di</strong>segno espresso nel S. Andrea <strong>di</strong> Mantova, ma non solo) ed è riferibile, come asserto, pure agli artisti <strong>di</strong> derivazione toscana alla corte dei Gonzaga e ancor più, negli artisti “minori” alla Corte milanese. La specificità lombarda, legata com’è all’uso umbratile del laterizio, ne recupera nella rappresentazione, ogni volta, il peso. La Cà Granda, il più grande ospedale mai costruito, la Cappella Portinari in S. Eustorgio, ma anche Castiglion d’Olona, testimoniano del prevalere, sul <strong>di</strong>segno, dalle con<strong>di</strong>zioni impresse dalla cultura materiale se<strong>di</strong>mentata e culturalmente espressa nelle fabbriche ancora romaniche: e questo vale tanto per il Filarete quanto per Michelozzo e per lo stesso Masolino. Comporre, <strong>di</strong>ce Rogers, “significa mettere insieme varie cose per farne una sola”. Stabilire una sintesi fra “componenti” <strong>di</strong>verse attraverso un rapporto “<strong>di</strong>alettico”. Tra le scorie incombuste va annoverata quale componente essenziale la tecnica del costruire: “Ogni atto compositivo, per il fatto stesso <strong>di</strong> tradurre l’idea nei fenomeni, implica una relazione fra le categorie dello spazio e del tempo.” L’asserzione poggia sulla formulazione teorica in<strong>di</strong>cata dal Gie<strong>di</strong>on a partire dai primi anni ’40. Lo storico (ufficiale) dei CIAM aveva scritto appositamente, per l’e<strong>di</strong>zione italiana del suo “Spazio tempo ed architettura” (Hoepli 1954), integrazioni concettuali mirate al presunto livello <strong>di</strong> elaborazione dei nostri stu<strong>di</strong>, ritenuti pencolanti fra storia e progetto. I temi sviluppati rivelano come il teorico per antonomasia dell’ortodossia del Movimento Moderno, intendesse riferirsi alla realtà italiana privilegiandone la sua storia. Atteggiamento che possiamo simmetricamente assumere per concorso per il nuovo Parlamento tedesco nell’area dello Spreebogen a Berlino, 1992 progetto: prof. Aurelio Cortesi (capogruppo) arch. Laura Andreini, Marco Casamonti, Isotta Cortesi, Giovanni Polazzi con Silvia Fabi, Laura Tartagli, Venturina capire come i CIAM percepissero la specificità dell’apporto italiano e, conseguentemente, accogliere o meno le teorizzazioni dello stesso Rogers). La messa a punto <strong>di</strong> Gie<strong>di</strong>on trova riferimento nell’auspicata integrazione tra territorio e sua tecnologia <strong>di</strong> trasformazione; un’assunzione del nostro rinascimento che privilegia la complessità delle relazioni <strong>di</strong> contesto a partire dall’analisi <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni e funzioni a grande scala: il suo proprio <strong>di</strong>segno e le innovazioni della rappresentazione, intese come impronta <strong>di</strong> riferimenti intrecciati. Una scienza con ambiti <strong>di</strong>sciplinari definiti (anche se non ancora consolidati) munita <strong>di</strong> strumentazioni e <strong>di</strong> un lessico preciso pur con la consapevolezza che gli obiettivi <strong>di</strong> fondo, appena intravisti, avrebbero tardato a definirsi. Gie<strong>di</strong>on, a maggior gloria del Movimento Moderno si è reso protagonista <strong>di</strong> una proposta culturale volta a privilegiare le strade innovative <strong>di</strong> tutte le integrazioni possibili, situandola, nel tempo, ben al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> una, necessaria, programmatica, copertura culturale dell’avanguar<strong>di</strong>a. Ruolo peraltro espletato in modo carismatico per tutto il corso della vita dei CIAM. Le in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> Rogers sulla progettazione degli elementi urbani risultano tributari ai riferimenti a grande scala del Gie<strong>di</strong>on “della storia architettonica italiana”, ma le sue in<strong>di</strong>cazioni teoriche cercano una ricapitolazione tutta interna alla trattatistica: “l’architettura ha sempre aspirato alla sintesi <strong>di</strong>alettica tra Utilità e Bellezza... le <strong>di</strong>verse proporzioni, che i due termini del rapporto hanno nella composizione architettonica, determinano il carattere stilistico delle singole opere e, in senso generico, i <strong>di</strong>- versi stili della storia dell’architettura”. La formula “mitica” delle sue lezioni teoriche, A=f(U,B), lo conduce ad assiomi che hanno la forza <strong>di</strong> slogan: “l’architettura può essere definita come l’Utile della Bellezza o la Bellezza dell’Utile” ed ancora: “Utilità e Bellezza sono gli elementi antinomici della sintesi architettonica: sono anche i protagonisti che riassumono e rappresentano vitalmente le <strong>di</strong>verse parti del suo dramma. Non esiste architettura dove questo dramma si acquieti per la nullità dell’uno e dell’altro <strong>di</strong> questi fattori; non esiste architettura al limite dei soli valori pratici, come non esiste architettura al limite dei soli valori formali”. In Rogers la sintesi invocata fra valori pratici e valori formali si concreta, in prospettiva, nell’assunzione dei termini <strong>di</strong> un fare tecnologico tutto interno al farsi progettuale. La riassunzione “del <strong>di</strong>segno e della sua costruzione” costituirà l’assorta ragione dei suoi enunciati successivi che, se pur passionali e contrad<strong>di</strong>ttori, testimoniano <strong>di</strong> una ricerca vissuta fra teoria, ideazione e <strong>di</strong>segno connaturata alla stessa materia della sua concretizzazione. 49 D O S S I E R
50 D O S S I E R concorso nazionale <strong>di</strong> idee per la realizzazione del nuovo polo espositivo bresciano unitario e integrato 1996 progetto: prof. Aurelio Cortesi con Laura Andreini, Bettina Gori, Marco Casamonti, Isotta Cortesi, Silvia Fabi, Marcello Marchesini, Giuseppina Nerli, Sebastiana Patania, Giovanni Polazzi, Nicola Santini. 51 D O S S I E R