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i luoghi dell'architettura - Dipartimento di Architettura - Università ...

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Per comprendere cosa significhi far collaborare un e<strong>di</strong>ficio alla costruzione della città, basta leggere il saggio su La reggia e la<br />

città <strong>di</strong> Paolo Portoghesi 22 come quando riflette sul fatto che<br />

78<br />

D O S S I E R<br />

“il barocco, almeno a Roma, è essenzialmente arte urbana preoccupata <strong>di</strong> plasmare gli spazi esterni delle<br />

strade come spazi interni della città.”<br />

o dove descrive il Palazzo Ducale <strong>di</strong> Venezia e il modo <strong>di</strong> strutturare quella parete. 23 Oppure raccogliere (e interpretare) le<br />

considerazioni dello stesso Manfredo Tafuri, quando, trattando del teatro, si chiede:<br />

“fino a che punto le recenti lotte per il decentramento culturale e una nuova gestione pubblica della cultura<br />

stessa saranno capaci <strong>di</strong> evitare la palude del populismo e incidere in modo muovo sulla struttura profonda<br />

dell’istituzione teatrale? E fino a che punto quelle riven<strong>di</strong>cazioni, in Italia sempre più vive, sono premessa <strong>di</strong> una<br />

concezione <strong>di</strong>versa dello spazio urbano?” 24<br />

Se è vero “che per la ricerca modernista è <strong>di</strong> fondamentale importanza lo spazio abitabile,” 25 non risulta tuttavia corrispondente alla<br />

realtà che l’abitabilità dello spazio abbia costituito obiettivo centrale, dal punto <strong>di</strong> vista pratico, per l’architettura moderna. 26 Dichiarazioni<br />

a parte, come abbiamo già rilevato nel Progetto della scuola in Italia, 27 nella cosiddetta architettura moderna:<br />

“i riferimenti funzionali tendono ad essere rapidamente co<strong>di</strong>ficati, ed in posizione subalterna rispetto all’esigenza<br />

<strong>di</strong> produrre nuove sollecitazioni spaziali e ambientali”. 28<br />

La ricerca funzionale effettiva, in fondo, implica relazioni sociali. Per l’architettura moderna l’obiettivo non può essere che<br />

quello espressivo, legato alla sintesi della ‘macchina’, o all’elaborazione <strong>di</strong> messaggi relativi alla propria ‘identità’, più che<br />

alle analisi delle con<strong>di</strong>zioni abitative; alla ricerca <strong>di</strong> nuove modalità <strong>di</strong> espressione, che non alla risposta sistematica ad<br />

esigenze oggettive che pur fa parte del bagaglio culturale del Movimento Moderno. 29 Quin<strong>di</strong> la funzionalità è sostanzialmente<br />

all’insegna della metafora. La “linea analitico-razionale” 30 non trova con<strong>di</strong>zioni particolarmente favorevoli per il proprio<br />

sviluppo. Nella stessa scelta dell’industria come committente, si risolve la riduzione dell’obiettivo ad oggetti da mettere sul<br />

mercato, come espressione simbolica <strong>di</strong> modernità, e nel metodo dell’analogia la maniera <strong>di</strong> definirli. 31 E questa è un po’<br />

l’ere<strong>di</strong>tà che, questa volta nella pratica dell’ideologia dominante, il Moderno ha lasciato alla cultura degli architetti: ai valori<br />

della vivibilità viene attribuita un’importanza secondaria. Non è l’architettura che costituisce un ‘relativo’ nei confronti dell’abitabilità,<br />

ma il contrario!<br />

“Ma per caso si abita bene in una casa <strong>di</strong> Mies van der Rohe? Oppure L’urlo <strong>di</strong> Munch è per caso un quadro rilassante? Ora, l’equivoco nasce sull’architettura,<br />

perché in essa vi si abita e quin<strong>di</strong> c’è il pregiu<strong>di</strong>zio che bisogna abitare in maniera comoda e felice, ma tutta l’arte contemporanea è caricata <strong>di</strong> forti<br />

tensioni e <strong>di</strong> inquietu<strong>di</strong>ne. Ma sulla funzione bisogna pure mettersi d’accordo, perché quello che è funzionale per certi non lo è per altri” (Manfredo Tafuri.<br />

Non può esistere un valore collettivamente riconosciuto intorno a cui far ruotare il sistema della cultura, intervista <strong>di</strong> Giacinto <strong>di</strong> Pierantonio, “Flash Art” n.<br />

154, 1990, p. 92. Si noti come nella stessa intervista Tafuri fa presente i pregi <strong>di</strong> un’architettura che in<strong>di</strong>vidua “un nuovo tessuto urbano” contro “le risposte<br />

attuali” che “al contrario cercano <strong>di</strong> enucleare dei punti quasi rinunciando ad influenzare la scala urbana, accettando lo stato <strong>di</strong> frantumazione, anzi<br />

rifrantumando ancora <strong>di</strong> più”).<br />

“Maldonado cita una frase <strong>di</strong> Friedrich Dessauer: ‘Il fine dell’e<strong>di</strong>lizia non è la casa, ma l’abitare, così come il fine della produzione <strong>di</strong> locomotive non è la<br />

locomotiva, ma il trasporto’. Considerazioni <strong>di</strong> quelle che appaiono ovvie, ma <strong>di</strong> cui in pratica si finisce per tenere poco conto…” (Carlo Meolograni,<br />

L’oggetto casa, “Rinascita” 9 settembre 1977).<br />

In sostanza si identifica lo sviluppo della città con il singolo intervento ‘qualificato’ necessariamente incentrato sui ‘pieni’, affidandosi<br />

alle capacità <strong>di</strong> sintesi dell’architetto-artista. A fondamento <strong>di</strong> questa situazione che perdura fino ai nostri giorni sta la ricerca<br />

da parte dell’architettura moderna <strong>di</strong> un “linguaggio universale, comprensibile ovunque”, una sorta <strong>di</strong> manifestazione dell’Io che<br />

trova un veicolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione nelle riviste, libri, mostre, dove il critico, che tende ad isolare lo specifico oggetto-artistico che sta<br />

analizzando, viene ad assumere un’importanza determinante nella valorizzazione della forza dell’immagine che tende ovviamente<br />

ad identificarsi con un oggetto. 32 E non potrebbe essere altrimenti date le premesse idealistiche: “tutto ciò che è spirituale<br />

è superiore ad ogni prodotto naturale”; 33 l’uomo trasforma “le cose esterne su cui imprime il sigillo del suo interno e in cui ritrova<br />

ora le proprie determinazioni”. 34 L’architetto stesso si fa critico al fine della promozione della propria opera. Altrettanto ovviamente,<br />

tutt’altra cosa è l’universalità <strong>di</strong> un contesto determinato, dove a giu<strong>di</strong>care è l’abitante dello spazio, che tuttavia, al momento,<br />

non ha in pratica alcun ruolo in questi confronti a livello soprattutto internazionale sulle <strong>di</strong>spute sull’arte in quanto tale, dove il<br />

‘locale’ non ha voce in capitolo. 35 Ponendosi come arte, non ‘relativa’ ma assoluta, l’architettura si stacca necessariamente da un<br />

determinato invaso spaziale ma anche dal rapporto con le modalità con le quali viene solitamente ‘utilizzata’. 36 Che pare poi il<br />

problema della particolarità sollevato da Lucács. E, prima ancora, dal Dewey:<br />

“In primo luogo, vi è l’opposizione della conoscenza empirica a quella razionale più elevata. La prima è congiunta<br />

con gli affari giornalieri, serve agli scopi dell’in<strong>di</strong>viduo comune che non ha scopi intellettuali specializzati, e<br />

porta i suoi bisogni con un certo nesso con l’ambiente imme<strong>di</strong>ato. Questa conoscenza è <strong>di</strong>sprezzata, o almeno<br />

poco considerata, come puramente utilitaria e priva <strong>di</strong> significato culturale. La conoscenza razionale dovrebbe<br />

essere qualcosa che tocchi la realtà in modo definitivo, intellettuale; qualcosa che dovrebbe essere perseguito<br />

per se stesso, non abbassato con l’applicazione alla condotta. Socialmente la <strong>di</strong>stinzione corrisponde a quella<br />

fra l’intelligenza usata dalle classi operaie e l’intelligenza usata da una classe istruita lontana dagli interessi che<br />

concernono i mezzi della vita. Filosoficamente, la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong>venta <strong>di</strong>stinzione fra particolare e universale.<br />

L’esperienza è un aggregato <strong>di</strong> particolari più o meno isolati, e la conoscenza <strong>di</strong> ognuno <strong>di</strong> essi va fatta separatamente.<br />

La ragione concerne cose universali, principi generali, leggi, che stanno al <strong>di</strong> sopra dell’ammasso dei<br />

particolari concreti”. 37<br />

Concentrandosi sul ‘particolare’ o sul ‘locale’ 38 possiamo arrivare, in linea teorica, anche all’organizzazione del “paesaggio come<br />

un autentico para<strong>di</strong>so terrestre” sostenuta da Karel Teige. 39<br />

Note:<br />

1 Milano, E<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> Comunità, 1956, p. 178.<br />

2 Carl Stumpf, Psicologia e metafisica, Firenze,<br />

Ponte alle Grazie, 1992, p. 132.<br />

3 Ve<strong>di</strong> ad esempio il carattere <strong>di</strong> ‘allestimenti impermanenti’<br />

rilevato da Furio Colombo per le architetture<br />

moderne ( <strong>Architettura</strong> e comunicazione: costruzioni<br />

irrepetibili , “L’Architetto” n. 130, ottobre<br />

1998). <strong>Architettura</strong> come ‘comunicazione inutile’?<br />

“C’è un gran rumore per non <strong>di</strong>re niente. Come fa la<br />

televisione. Anche Popper la detestava” (sono considerazioni<br />

<strong>di</strong> Gombrich dal “Sole 24 ore” del<br />

dell’1.11.98). Tutto il <strong>di</strong>scorso si può ridurre alle attitu<strong>di</strong>ni<br />

comunicative? Quello dell’architettura “Uno<br />

tra i mille mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> comunicare” (dal Viaggio nel mondo<br />

degli animali n.29). Comunicare che in uno spazio<br />

si possono compiere determinate azioni. Mentre,<br />

per <strong>di</strong>re, per Frank O. Gehry si nota come per<br />

lui non vi sia “collegamento tra forme e funzioni dell’architettura”<br />

(Sebastiano Brandolini, “La Repubblica<br />

delle Donne” 12.10.98), la ‘ragione’ tende oggettivamente<br />

ad attaccare posizioni <strong>di</strong> questo tipo. Furio<br />

Colombo deputato DS coor<strong>di</strong>na “Le città: spazi<br />

per partecipare” al 2° Forum internazionale Verso<br />

città amiche delle bambine e dei bambini a Torino<br />

15-17 ottobre 98.<br />

Resta il fatto che nelle sperimentazioni dell’arte<br />

contemporanea si è provato veramente <strong>di</strong> tutto e, a<br />

seconda delle prospettive prescelte, paiono ancora<br />

vali<strong>di</strong> aspetti del Moderno e ad<strong>di</strong>rittura “A questo<br />

punto tornano i conti persino con la caotica rivisitazione<br />

del passato che opera il post-modernismo”<br />

(Maurizio Calvesi su “Rinascita” del 13 marzo<br />

1981), specie nel desiderio <strong>di</strong> riorganizzare completamente<br />

il <strong>di</strong>scorso “Però la rimessa in causa <strong>di</strong><br />

tutti i linguaggi può avvenire in due maniere: o in<br />

modo critico, responsabile, problematico; o in<br />

modo caotico, acritico, carnevalesco, come è il<br />

caso <strong>di</strong> certa produzione pittorica ma anche architettonica.<br />

Questo secondo modo, evidentemente,<br />

non promette nulla <strong>di</strong> buono.”<br />

4 L’estetica dell’empirismo inglese, a cura <strong>di</strong> Mario<br />

M. Rossi, Firenze Sansoni 1944, t.II, p.531.<br />

5 Anche altri corsi pare si interessino dello steso<br />

tema. Cfr. Celestino Porrino che si riferisce ai “vuoti<br />

ed il loro uso sociale”, “Archi e Colonne” A:I, n.5-6<br />

settembre-<strong>di</strong>cembre 1985, p. 11. O Franco Mancuso,<br />

quando, dopo aver preso atto che oggi la norma<br />

“non consentirebbe mai la manifestazione <strong>di</strong> un organismo<br />

urbano con la vitalità urbana <strong>di</strong> un campo<br />

<strong>di</strong> Venezia, <strong>di</strong> una piazza <strong>di</strong> Siena, <strong>di</strong> una strada <strong>di</strong><br />

Firenze” riven<strong>di</strong>ca l’importanza del <strong>di</strong>segno urbano<br />

“quando per affrontare i problemi <strong>di</strong> una città, o <strong>di</strong><br />

una sua parte, occorre partire dalla definizione degli<br />

spazi, piuttosto che da quella dei manufatti” (L’architettura<br />

tra piano e progetto, “Architetti Veneto” n. 1<br />

luglio 1990, p.16). Ma non risulta possibile la compresenza<br />

<strong>di</strong> due intenzioni <strong>di</strong>verse e magari opposte:<br />

una or<strong>di</strong>natrice dei vuoti per l’urbanistica e l’altra<br />

, l’architettura, che magari li <strong>di</strong>strugge.<br />

6 Nonostante la critica al Bauhaus (che segue) è<br />

proprio a Gropius che dobbiamo la rivalutazione del<br />

citta<strong>di</strong>no inteso come pedone: “il pedone è stato respinto<br />

contro il muro nel processo <strong>di</strong> costruzione<br />

della grande rete del traffico automobilistico che ha<br />

fatto espandere tanto esplosivamente la nostra comunità.<br />

Io sono convinto che è altrettanto se non più<br />

necessario creare ora, in aggiunta a quelle per il<br />

traffico automobilistico, reti in<strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong> traffico<br />

pedonale, separate e protette contro le automobili.<br />

Questo tracciato stradale pedonale, sovrapposto a<br />

quello automobilistico, comincerebbe e finirebbe<br />

non su un’autostrada, ma in una bella piazza, vietata<br />

alle automobili, vero cuore e centro dell’unità urbanistica,<br />

che dovrebbe servire come centro locale<br />

per il pubblico scambio <strong>di</strong> opinioni e la partecipazione<br />

agli affari comunitari.” (<strong>Architettura</strong> integrata, Milano<br />

Il Saggiatore 1963, p.206).<br />

7 Marco De Michelis, Agnes Kohlmeyer, Bauhaus,<br />

“Dossier” all. ad “Art e Dossier” n. 119, Firenze 1997.<br />

Non a caso, sulla pagina opposta del brano <strong>di</strong> Sert è<br />

riprodotta una foto <strong>di</strong> piazza San Marco a Venezia.<br />

8 “La forme devenait morale lorsqu’éteait mise à nu<br />

la fonction” (Erich Michaud, La vie moderne,<br />

Bauhaus et ‘modenisme’ , “Les Cahiers du Musé<br />

National d’Art Moderne”, n. 19,20, Juin 1987,<br />

p.132). Nel marzo 1987 “Domus” n. 681 ripubblica<br />

Struttura e architettura <strong>di</strong> Giuseppe Pagano, dove<br />

la posizione moralista/essenzialista emerge con<br />

particolare chiarezza: “per effetto <strong>di</strong> coloro che<br />

hanno sentito il problema morale dell’architettura<br />

moderna in tutta la sua vastità, si affronta la questione<br />

nella sua essenza, fino a cercare <strong>di</strong> ogni<br />

cosa la fisionomia finale, la forma-tipo, la sintesi volumetrica<br />

assoluta, anonima, prima.” (p.19,20). Anche<br />

Pagano vede l’origine <strong>di</strong> questa “Arte moderna<br />

primitiva” nei maestri nord-europei. In particolare in<br />

Henry van de Velde. Che in effetti afferma “che il<br />

nostro cervello è rimasto più sano dei nostri occhi”<br />

(Per un nuovo stile, Il Saggiatore 1966, p. 124), instaurando<br />

così una sorta <strong>di</strong> egemonia dell’‘intelligenza’<br />

(e dell’‘ingegneria’). Invece dell’oggettività si<br />

mira all’oggetto, invece <strong>di</strong> applicare principi <strong>di</strong> questo<br />

genere all’analisi oggettiva dei fatti, si trasferisce<br />

questa “logica” nella definizione dell’e<strong>di</strong>ficio. Se<br />

la situazione non potrà <strong>di</strong>venire “morale” sarà l’e<strong>di</strong>ficio<br />

al quale si cercherà <strong>di</strong> attribuire contenuti del<br />

genere. L’errore teorico è manifesto: in certo qual<br />

modo anche Lucács pone in evidenza i limiti della<br />

matrice ‘interna’ della forma del Bauhaus quando<br />

osserva (Estetica , vol.II, Torino Einau<strong>di</strong> 1970,<br />

p.1199): “Molte teorie moderne (per esempio del<br />

Bauhaus) commettono un errore teorico e pratico<br />

funesto per lo sviluppo dell’architettura proprio perché<br />

nella realizzazione oggettivo-tecnologica <strong>di</strong><br />

una costruzione, quando essa è riuscita come tale,<br />

vedono un fatto ovviamente estetico.” Eppoi, <strong>di</strong> fatto,<br />

introduce il paragone con la cupola del Brunelleschi<br />

e l’esigenza <strong>di</strong> presentare “tratti qualitativamente<br />

nuovi”.<br />

Il concetto <strong>di</strong> standard in quanto tale presenta peraltro<br />

possibilità <strong>di</strong> interpretazioni senz’altro positive,<br />

poiché risponde ad esigenze oggettive. Le Corbusier<br />

“In <strong>di</strong>fesa dello standard scriveva in Vers une<br />

architecture: ‘Tutti gli uomini hanno un medesimo<br />

organismo, medesime funzioni. Tutti gli uomini hanno<br />

medesimi bisogni’.” cita Renato De Fusco (Il<br />

progetto <strong>di</strong> architettura, cit. p. 58). È quando lo standard<br />

<strong>di</strong>venta e<strong>di</strong>ficio e forma precostituita e non garanzia<br />

<strong>di</strong> un certo livello qualitativo nella definizione<br />

delle forme che le verifiche complessive lasciano a<br />

desiderare. “Che la costruzione organica/…/della<br />

città si imponga all’elemento standard per rinnovarlo<br />

e non che l’elemento standard con<strong>di</strong>zioni la costruzione”,<br />

scrive Enzo Paci su la “Rivista <strong>di</strong> estetica”<br />

n. 1, gennaio-aprile 1956, p. 61.<br />

9 Nelle situazioni e nei margini in cui gli in<strong>di</strong>vidui<br />

vengono lasciati liberi <strong>di</strong> organizzarsi vengono fuori<br />

spesso risultati <strong>di</strong> particolare interesse. Ve<strong>di</strong> ad<br />

esempio: Handmade Houses, A Guide to the Woodbutcher’s<br />

Art, Idea Books International, London<br />

1975. La pubblicazione inizia con queste parole <strong>di</strong><br />

Sim Van der Ryn: “For some years we have heard<br />

the extravagant technological promise of housing<br />

at low cost. It has never come to pass. The answer<br />

to low cost housing, it seems to me, is to make a<br />

break with a ‘standard of living’ that makes us slaves<br />

to centralised decision-making and control, to<br />

an economy whose values are the magnitude of<br />

production and consumption. The dollar is not a reasonable<br />

measure of the quality of life or the quality<br />

of place.” In pratica, pare svilupparsi un “naturalismo”<br />

<strong>di</strong> segno opposto a quello caratterizzante la<br />

Bauhaus dove “il naturalismo formale si <strong>di</strong>ssolve<br />

nel cosiddetto Astrattismo. Questo, come è noto, si<br />

fonda sul principio dell’in<strong>di</strong>pendenza della forma<br />

artistica da ogni determinante empirica” con la relativa<br />

“impossibilità <strong>di</strong> una fabula de lineis et coloribus”<br />

scrive Argan (Walter Gropius e la Bauhaus,<br />

Torino Einau<strong>di</strong> 1051, p. 25. 26). Proprio perché il<br />

prodotto si pone come opera d’arte: “l’opera d’arte,<br />

come qualsiasi cosa della realtà, è constatabile ma<br />

ingiu<strong>di</strong>cabile.” (ivi, p. 26).<br />

10 Robert Delaunay, rip. In Robert Delaunay, Du cubisme<br />

a l’art abstrait , a cura <strong>di</strong> Pierre Francastel,<br />

Paris S.E.V.P.E.N., 1957p. 150. Un ‘descrittivo’ che<br />

in architettura ostacola o impe<strong>di</strong>sce la partecipazione<br />

alla scena urbana.<br />

11 Citato da Stefano Ray, L’architettura moderna nei<br />

Paesi Scan<strong>di</strong>navi, Bologna Cappelli 1965, p. 20.<br />

12 “L’attività progettante per eccellenza è la filosofia”<br />

“Si possono avere due concezioni dell’architettura,<br />

a seconda che essa venga o no messa in rapporto<br />

con la ideologia. Nel primo caso l’architettura è puramente<br />

un’arte per l’arte, cioè un esercizio creativo<br />

<strong>di</strong> forme, il cui substrato ideologico è un fatto<br />

preliminare personale, dell’artista; si fonde, cioè<br />

con la ‘poetica’ ispiratrice. Oppure si ritiene – e questo<br />

è il richiamo all’or<strong>di</strong>ne fondamentale del pensiero<br />

razionalista – che l’architetto, con le sue nuove<br />

forme, voglia contribuire a quello che genericamente<br />

si definisce come ‘progresso sociale’; e quin<strong>di</strong><br />

l’ideologia non è più un fatto preliminare, personale<br />

della creazione artistica, bensì qualcosa che illumina<br />

tutto il processo creativo.” (Giovanni Klaus Koenig,<br />

Meto<strong>di</strong> e limiti del progettare, “Quaderni dell’Istituto<br />

<strong>di</strong> Elementi <strong>di</strong> <strong>Architettura</strong> e Rilievo dei monumenti”,<br />

n. 6/7 Firenze LEF 1964, p. 83,84).<br />

Koenig pone il problema del rapporto tra progettazione<br />

e filosofia, la filosofia come una sorta <strong>di</strong><br />

‘scienza della progettazione’ “l’attitu<strong>di</strong>ne costruttiva<br />

e la capacità <strong>di</strong> dedurre da principî arbitrariamente<br />

posti il piano dell’universo” scrive Zino Zini prefazione<br />

ad Alessandro Mazoni, Del sistema che fonda<br />

la morale sull’utilità, Torino Paravia 1931, p. 84.<br />

Quin<strong>di</strong>, per usare le parole <strong>di</strong> Koenig, un tipo <strong>di</strong> architettura<br />

che trova nell’ideologia il fondamento<br />

della sua strategia, dandosi cioè degli obiettivi in<br />

contrapposizione al principio dell’arte per l’arte, <strong>di</strong><br />

una sorta <strong>di</strong> oggetto che si esaurisce in se stesso,<br />

non in<strong>di</strong>viduando altre motivazioni al proprio esterno<br />

(aspetto, come si vedrà, da recuperare anche in<br />

una prospettiva ‘ideologica’).<br />

13 Citato da Stefano Ray, L’architettura moderna nei<br />

Paesi Scan<strong>di</strong>navi, cit., p.82.<br />

79<br />

D O S S I E R

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