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ITALIA JUDAICA - Direzione generale per gli archivi

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26 Giuseppe Sermoneta<br />

Dunque, quanto Leòn da Modena si propone è di contribuire con un trattato<br />

pratico, con un manuale, alla diffusione di un'atte che, divenuta ormai<br />

di moda da tempo nel mondo che circonda la piccola compagine ebraica della<br />

Venezia seicentesca, acquista un sapore di novità, se diffusa in ebraico tra un<br />

pubblico che ancora leggeva l'ebraico, e che, mettendola in pratica, si sarebbe<br />

riallacciata, consciamente o inconsciamente, alle regole mnemoniche e ai numerosi<br />

consi<strong>gli</strong> « medicinali » che trovava nel Talmùd e in tutta la trattatistica<br />

ebraica medievale 22 •<br />

Queste pagine aprono uno spira<strong>gli</strong>o sulla cultura e sul baga<strong>gli</strong>o culturale<br />

di Leòn da Modena, i cui aspetti fondamentali, del resto, appaiono in altri suoi<br />

scritti e traspaiono dalle sue lettere; l'analisi delle sue fonti e <strong>gli</strong> scopi dell'autore<br />

rivelano de<strong>gli</strong> interessi e un atteggiamento mentale che sono ben lontani dall'essere<br />

moderni. E il maestro veneziano, vissuto nella generazione immediatamente<br />

seguente a quella di un Botero, di un Sarpi, di un Boccalini, e contemporaneo<br />

di un Simhàh Luzzatto, ci appare un po' arretrato rispetto ai tempi, un po'<br />

altmodisch e ancora molto legato al passato, anche se questo passato coi suoi<br />

contenuti non era poi cosi lontano. Comunque, la diffusione dell'opuscoletto<br />

- fatta con evidenti scopi pratici che saranno ancora attuali tra <strong>gli</strong> « illuministi<br />

» ebrei dell'Europa orientale dell'Ottocento -, dimostra ancora una volta<br />

"' che la recezione di elementi culturali provenienti dal mondo circostante, da parte<br />

delle comunità ebraiche dell'Italia centro-settentrionale e da parte dei loro portavoce<br />

più noti - all'epoca della loro più bella fioritura - avviene sempre con<br />

un certo ritardo, e rispecchia delle concezioni che andavano ormai spegnendosi<br />

nel mondo non ebraico col quale vivevano in simbiosi e, in pari tempo, in opposizione.<br />

«figure mentali », e dal Lèv ha-'Arièh prese spunto la poesia estemporanea ebraica (epitalami,<br />

sonetti celebrativi ed encomiastici ecc . ... ). Ma mentre <strong>gli</strong> stilisti, i prosatori e i poeti ebrei<br />

del Sei-Settecento trassero fuori dalle pagine del trattato <strong>gli</strong> esempi, costruendo i loro rebus,<br />

i loro emblemi significanti e i loro indovinelli, fondandosi sulle regole del da Modena,<br />

dimenticarono il sostrato psicologico e ideologico - medievale e rinascimentale - su cui<br />

era costruito il trattato stesso, e dimenticarono l'intento dell'autore, che si limitava ad<br />

offrire ai suoi contemporanei uno strumento destinato al buon uso della memoria e alla<br />

tecnica dell'apprendimento.<br />

Per il genere letterario de<strong>gli</strong> enigmi e dei rebus in poesia e in figura nella letteratura<br />

ebraica in Italia del Sei-Settecento, cfr. l'importante studio di D. PAGIS, Baroque trends in<br />

Italian Hebrew poetry as reflected in an unknown genre, in questo volume, pp. 263-277.<br />

22 Leòn da Modena si rifà esplicitamente alla tradizione mnemotecnica della letteratura<br />

ebraica antica e medievale, riportando il Talmùd (Lèv ha-'Arièh, Porta Prima, cap. 2, Porta<br />

Seconda, cap. l, pp. 18-19), l'Efodì (ibid., cap. 3) e la Misnàh (ibid., cap. 8). L'autore era<br />

stato educato secondo i metodi tradizionali che venivano praticati <strong>per</strong> rafforzare la memoria<br />

naturale. Cfr., ibid., Porta Prima, cap. 8, p. 15: «fino all'età di tredici anni sono stato<br />

abituato a mangiare carne bovina e una fetta di pane intinta nell'olio d'oliva ogni mattina;<br />

come conseguenza in gioventù ebbi una memoria fortissima, su<strong>per</strong>iore a quella dei miei<br />

coetanei».<br />

Aspetti del pensiero moderno nell'Ebraismo italiano<br />

Volgiamoci ora a Jehudàh del Bene e ai suoi «indefinibili» Seggi della<br />

Casa di David. Indefinibili in quanto è impossibile inserire lo scritto in un preciso<br />

genere letterario; il volumetto non contiene né una raccolta di prediche, né<br />

di consi<strong>gli</strong> morali, né si propone di svolgere una tesi filosofica coerente, o di appoggiare<br />

le proprie considerazioni a mo'- di· commento al testo del Pentateuco,<br />

cosa questa molto frequente nella saggistica ebraica dell'epoca. Quella di del<br />

Bene è una causerie dotta, è un saggio, nel senso che oggi siamo soliti dare al<br />

termine. E, come tale, già così si pone come espressione di un gusto moderno,<br />

come espressione colloquiale, come presentazione di una idea o di una serie<br />

di spunti che - grazie all'uso di particolari accorgimenti retorici - sono<br />

volti a conquistare il favore del pubblico, interessarlo, captarne l'attenzione,<br />

convincerlo su<strong>gli</strong> argomenti di maggior attualità, in cui autore e auditore, autore<br />

e lettore si stanno dibattendo.<br />

Si è detto - all'inizio di questo discorso - che il trattato di del Bene<br />

ha in comune con quello di Leòn da Modena l'intento pratico, lo scopo di dare<br />

dei consi<strong>gli</strong> che favoriscano l'apprendimento. E, effettivamente, uno de<strong>gli</strong> argomenti<br />

principali del saggio è quello di risve<strong>gli</strong>are nei giovani il gusto e il piacere<br />

di studiare l'ebraico e di coltivarlo 23• Ma quanto diversi sono <strong>gli</strong> accorgimenti<br />

proposti, quanto è ampio il divario tra i due nel porgere la materia e nello<br />

svolgere il proprio discorso! A differenza della linearità del Cuor del Leone,<br />

del Bene procede facendo una serie infinita di digressioni in un contorcimento<br />

tutto barocco di considerazioni, inserite una .nell'altra con lo scopo di illustrare<br />

l'importanza dello studio dell'ebraico che, ai suoi tempi, sta ormai <strong>per</strong>dendo ter-<br />

23 Seggi della Casa di David, Casa Seconda, Porta Nona, f. 21 v.-28 v. Il capitolo<br />

è dedicato <strong>per</strong> intiero a considerazioni sia pratiche (del Bene fa il punto sulla conoscenza<br />

e lo studio dell'ebraico alla sua epoca, sul come ricondurre i giovani a studiarlo e ad<br />

appassionarsi alle infinite possibilità retoriche riposte nella lingua santa ecc . ... ) , sia teoriche<br />

(l'eccellenza dell'ebraico rispetto alle altre lingue, l'uso di giuochi di parole, la brevità e<br />

la prolissità nella prosa in genere, le capacità stilistiche che avevano dimostrato <strong>gli</strong> autori<br />

ebrei italiani, rispetto alle sciattezza dello scrivere, caratteristica de<strong>gli</strong> askenaziti ecc . ... ).<br />

Una descrizione molto calzante della graduale recessione dell'ebraico rispetto all'italiano,<br />

a f. 24 r.: «chissà se non sia stato <strong>per</strong> questa ragione (l'abbandono dell'ebraico) che divenni<br />

marinaio e capitano, <strong>per</strong> governare l'aspetto retorico della nostra lingua, che sta naufragando<br />

nel mare di queste incertezze? Forse sono stato destinato a condurla nel tranquillo e<br />

desiderato porto di cui ha bisogno in quest'epoca, in esilio, <strong>per</strong> riportare a casa tutti i<br />

dis<strong>per</strong>si che si aggirano in queste provincie, tutto ciò che è stato scritto, firmato e scolpito<br />

in un'altra lingua, che non è la lingua santa? Perché anche i giovani, che <strong>per</strong> natura sono<br />

spinti a studiarla, vengono dissuasi dai loro padri a intraprenderne lo studio e vengono<br />

mandati ad apprendere la lingua di un altro popolo. Così la lingua del popolo ebraico è<br />

scacciata via da dentro il popolo stesso ... impoverita, giace in un angolo, è divenuta strana e<br />

forestiera tra i nostri fratelli, mentre l'italiano è ben compreso, trova sostegno dovunque<br />

ed è trasmesso da padre in fi<strong>gli</strong>o con solerzia e <strong>per</strong>severanza. Così l'italiano è a capo e<br />

l'ebraico in coda, anche se molti bravi studenti sarebbero adatti e portati <strong>per</strong> natura ad<br />

apprendere con facilità la piacevolezza e la purezza dell'ebraico. Invano, in quanto i loro<br />

padri li spingono a studiare un'altra lingua, che <strong>per</strong>mette loro di vivere me<strong>gli</strong>o in mezzo ai<br />

popoli».<br />

27

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