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ITALIA JUDAICA - Direzione generale per gli archivi

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32 Giuseppe Sermoneta<br />

Cosa c'è dietro questa vlSlone ott1m1st1ca della storia, dietro questa fede<br />

quasi ottocentesca di del Bene nel progresso dell'Umanità? L'eco di testi contemporanei<br />

all'autore - testi che preludevano al «deismo» -, la lettura di<br />

qualche manuale di religiosità devota che intendeva dimostrare la presenza di<br />

Dio nel mondo, portando argomento dall'armonia del Creato, e dalla religione<br />

naturale, Creato che si mantiene in equilibrio conciliando le forze della natura<br />

in <strong>per</strong>enne contrasto, e religione che si manifesta nella pianificazione previdente<br />

e razionale della storia dell'umanità? Argomenti questi che nel diciassettesimo<br />

secolo, nella polemica teismo-agnosticismo tra religiosità formale e religiosità<br />

fondata sui doveri dei cuori, prendono il posto delle argomentazioni dialettiche<br />

proprie del razionalismo medievale.<br />

Oppure dovremo vedere in del Bene un « controriformista » ebreo, che<br />

intende diffondere tra i suoi discepoli e ascoltatori le argomentazioni polemiche<br />

della nuova devozione barocca, le risposte « conformiste » e fideistiche<br />

a un certo rilassamento di sapore illuministico che si avvertiva nella Ferrara<br />

del suo tempo? Ma quale interesse avrebbe potuto avere un rabbino del<br />

Seicento a diffondere le ideologie della Controriforma tra <strong>gli</strong> ebrei? Gli accenni<br />

a Tacito, all'espansione economica dell'Europa nel Nuovo Mondo, alla tolleranza<br />

e al benessere di cui godono <strong>gli</strong> ebrei tra i popoli cristiani, non ne<br />

riconducono forse l'o<strong>per</strong>a e il gusto con cui l'o<strong>per</strong>a è scritta al clima benevolo<br />

e liberale della Venezia di Simone Luzzatto? Questi <strong>gli</strong> interrogativi a cui si<br />

potrà rispondere soltanto dopo un'analisi puntuale e approfondita di quest'o<strong>per</strong>a<br />

che a tutt'oggi non è stata quasi letta.<br />

Ma la sensibilità tutta moderna di del Bene sta nel suo stile, nel suo<br />

ebraico che - in questa sede - è materialmente impossibile illustrare e<br />

restituire a chi ascolta. Del Bene propone e mette in pratica una ricerca<br />

formale raffinatissima di acutezze, di doppi sensi, di giuochi fonetici e ortografici,<br />

cesellati e incasellati uno dentro l'altro, in cui la frase procede a scatti,<br />

costringe all'interesse, violenta la comprensione, capta la curiosità e genera la<br />

meravi<strong>gli</strong>a. L'uso di tutta la letteratura ebraica a lui precedente, lo sfruttamento<br />

sistematico di ogni frase, di ogni particella e ogni vocabolo che <strong>gli</strong><br />

danno modo di esaurire tutte le possibilità retoriche della lingua ebraica, non<br />

ne fanno soltanto un virtuoso-barocco, ma un autentico moderno, sensibile<br />

al fascino dell'ambiguità della frase e alle infinite possibilità di recu<strong>per</strong>o e di<br />

interpretazione che il testo scritto acquista in mano a un lettre dotto o<br />

incuriosito.<br />

Non c'è dubbio che in pieno Seicento, nella società ebraica dei ghetti<br />

dell'Italia centro-settentrionale, un cambiamento è avvenuto; sarebbe un'er­<br />

rore di prospettiva il voler considerare Leòn da Modena un moderno e un<br />

precursore della Haskalàh ottocentesca, e - all'opposto - in del Bene, che<br />

combatte la filosofia e l'ateismo in nome della tradizione, che abbonda in cita­<br />

zioni estratte dallo Zòhar e dai commenti cabbalistici che lo accompagnavano,<br />

vedere un passatista e un antirazionalista.<br />

Aspetti del pensiero moderno nell'Ebraismo italiano 33<br />

Vero è il contrario, ed è proprio il saggio di del Bene ad indicarci l'abisso<br />

che corre tra una concezione rinascimentale sl, ma in effetti ancora profondamente<br />

medievale, e una sensibilità moderna, seicentesca quanto si vo<strong>gli</strong>a,<br />

ma dichiaratamente moderna, e paradossalmente rivoluzionaria rispetto al<br />

passato. Se in su<strong>per</strong>ficie <strong>gli</strong> interessi educativi, l'obbiettivo della conservazione<br />

della tradizione culturale e linguistica ebraica appaiono <strong>gli</strong> stessi - anzi se<br />

le dichiarazioni programmatiche di del Bene in questo senso sembrano meno<br />

a<strong>per</strong>te al mondo esterno di quanto lo sia il « modernismo » di Leòn da Modena<br />

- le motivazioni, <strong>gli</strong> atteggiamenti del primo, le strutture di pensiero che<br />

stanno in profondo, queste sì che sono realmente moderne, in quanto l'assimilazione<br />

inconscia delia cultura che lo circonda ha totalmente trasformato<br />

<strong>gli</strong> argomenti di cui si serve, il carattere del suo stile, e la religiosità che si<br />

esprime nel suo trattato. Le vecchie tradizioni di pensiero, il modo di dire<br />

le cose e di affrontare il lettore si sono rovesciate: nel barocco portato a<strong>gli</strong><br />

estremi, nella sensibilità religiosa e nelle argomentazioni « moderniste » troveremo<br />

la prova mi<strong>gli</strong>ore dell'avvenuto cambiamento col quale ha avuto<br />

inizio il nostro discorso.<br />

E se <strong>per</strong> lo storico delle vicende politiche ed economiche dell'ebraismo<br />

italiano resta difficile tracciare la linea di demarcazione tra Medioevo-Rinascimento<br />

ed età moderna (il trauma della chiusura nei ghetti e i mutamenti<br />

socio-economici che ne erano conseguiti non sono registrati, né ci <strong>per</strong>mettono<br />

di tracciare delle distinzioni nette), ben più. facile è il compito <strong>per</strong> lo studioso<br />

che volge l'occhio alla produzione letteraria, alla saggistica e alle espressioni<br />

culturali dell'epoca. Ed è qui che è possibile constatare come, tutt'a nn tratto,<br />

ci si trovi di fronte all'uomo moderno, all'ebreo moderno, che riversa in un<br />

discorso moderno e in una sensibilità moderna tutta la ricchezza del suo<br />

passato.<br />

Nel leggere il testo del del Bene ci si domanda se dietro il riferimento<br />

alla letteratura mistico-cabbalistica che e<strong>gli</strong> fa, mutuando dai testi di quest'ultima<br />

conii, prestiti ed espressioni linguistiche, e soprattutto le combinazioni formali<br />

di lettere-numeri-vocaboli 31 (che tendono a realizzare un numero massimo<br />

31 Cfr. Seggi, Casa Quinta, Porta Ventinovesima (il valore del numero «quaranta») e<br />

i giochetti combinatori riportati nella Casa Sesta, Porta Trentasettesima e Porta Quarantesima<br />

in cui i numeri, tradotti sia nelle lettere dell'alfabeto ebraico che in quelle dell'alfabeto<br />

latino, <strong>per</strong>mettono di ricavare, attraverso combinazioni, tutti i concetti fondamentali dell'ebraismo.<br />

È evidente il tentativo di rapportare le forme dei numeri e le forme delle lettere<br />

ad un'unica immagine mentale che ne esprime la verità assoluta che si cela sotto il segno<br />

significante. Valga il seguente esempio: la parola «ricco» ('asir) in ebraico, ovvero in<br />

lettere ebraiche, ha il valore numerico di 580 mentre «povero» ('anì) vale 130. Se le<br />

lettere ebraiche vengono scritte in cifre arabe, to<strong>gli</strong>endo lo zero alle cifre stesse, ricaveremo<br />

58 <strong>per</strong> il ricco e 13 <strong>per</strong> il povero. Ma sommando cinque ed otto ( = ricco) avremo tredici<br />

che equivale a «povero». Quindi, in cifre arabe, il ricco equivale al povero, anzi la sua<br />

ricchezza è fondata su<strong>gli</strong> zeri, come la povertà del povero. Morale: il ricco e il povero sono<br />

pari. E la Provvidenza mette in guardia il ricco, dicendo<strong>gli</strong>: «non credere di essere tu il

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