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ITALIA JUDAICA - Direzione generale per gli archivi

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Renato Bonfil<br />

Lette col gusto di oggi, ma credo ancor più con quello di allora, si sarebbe<br />

tentati di aggiungere: l'una dilettevole ed eccitante, nella crudezza delle immagini<br />

di lotta e di sangue, l'altra sterile e noiosa, e conciliante il sonno dei giusti.<br />

Il prezzo che questi autori volentieri pagarono <strong>per</strong> mettere in atto questa<br />

dicotomia, fu, ovviamente la repressione della violenza mediatrice tra le due<br />

storie e l'eliminazione del racconto di quello che, come avrebbe detto Josèf<br />

ha-Cohèn, « ci fecero nei loro paesi, nelle loro corti e nei loro castelli ». Difatti,<br />

nel racconto di Ganz la descrizione delle <strong>per</strong>secuzioni praticamente scompare.<br />

In quel racconto, David Ganz dà addirittura una giustificazione di quella<br />

scomparsa o di quella eliminazione, dichiarando esplicitamente d'aver escluso<br />

di proposito i racconti delle espulsioni (che invece, come s'è detto, avevano<br />

fornito a Josèf Cohèn lo stimolo <strong>per</strong> la sua o<strong>per</strong>a!) <strong>per</strong> un motivo su cui Ganz<br />

preferisce tacere 22•<br />

Tutti quei libri e tutti quei rabbini in passerella non riuscivano certo a<br />

dar conto dei pogroms e dele <strong>per</strong>secuzioni. Pertanto messo di fronte alla contraddizione<br />

fra l'esigenza sentita di presentare un racconto unitario e la fonda­<br />

mentale eterogeneità dei contenuti, Ganz incorre a motivazioni non chiare<br />

<strong>per</strong> giustificare il fatto che non è riuscito a integrarli.<br />

Nello È mèq ha-Bakhàh di Josèf ha-Cohèn i libri e i rabbini sono lontani<br />

mille mi<strong>gli</strong>a; e la loro assenza, conferma quanto, credo, dovrebbe ormai<br />

presentarsi come schema interpretativo ben strutturato.<br />

Ma lo schema proposto potrebbe essere rifinito di più. Per esempio, riconsiderando<br />

<strong>per</strong> un istante quell'esigenza retorica di cui si parlava prima, a<br />

proposito di Capsali. Vigorosa in Capsali, che scrive nel primo Cinquecento,<br />

si affievolisce, pur restando presente, in Josèf ha-Cohèn, il quale, se può<br />

pretendere di avere una caratteristica di originalità narrativa, può farlo solo <strong>per</strong><br />

merito del conciso stile biblico nel quale è riuscito a ridurre le sue fonti. Ma,<br />

dopo la metà del secolo, quell'esigenza retorica praticamente scompare. Non<br />

la ritroveremo in Ghedaliàh Ibn Ya]J.ia, né in David Ganz; sarei tentato di<br />

aggiungere, <strong>per</strong> rafforzare l'argomentazione, che manca certamente nel Méòr<br />

È nayim di Azariàh de' Rossi, autore che ho accuratamente evitato di citare,<br />

non <strong>per</strong>ché e<strong>gli</strong> esula dallo schema <strong>generale</strong> proposto, ma <strong>per</strong> il carattere della<br />

sua o<strong>per</strong>a che, a mio modo di intendere, a parte il celebre racconto sul terremoto,<br />

non è più storiografia, bensì una raccolta di saggi eruditi di argomento storico.<br />

Comunque, l'idea che vorrei suggerire è che, col procedere del tempo, nella<br />

storiografia ebraica del Cinquecento verrà a mancare l'esigenza retorica, esattamente<br />

come manca nella storiografia non ebraica, e il fenomeno sarà coerente<br />

con lo schema interpretativo da me proposto. Ma c'è di più: la diminuzione<br />

di esigenza retorica è parallela all'affievolirsi da parte ebraica della tendenza<br />

all'integrazione culturale, tendenza che era <strong>generale</strong> nel Medioevo e che continuò<br />

nel Rinascimento, <strong>per</strong> essere lentamente soffocata nell'epoca della Controriforma,<br />

2 2 Zèmah Davìd, ed. BREUER, cit., cfr. nota 15.<br />

Riflessioni sulla storiografia ebraica zn Italia nel '500 65<br />

non soltanto, anzi non tanto <strong>per</strong> via della repressione imposta dall'esterno,<br />

quanto <strong>per</strong> via di una dinamica intera di ripiegamento su se stessi, tipica di<br />

un'epoca senescente, premonitrice di un'altra, nuova 23•<br />

In quel crepuscolo infuocato, la prczione c:lella realtà, sulla quale que<strong>gli</strong><br />

storiografì intendevano modellare la definizione della propria identità culturale,<br />

era in loro ancora fortemente orientata verso un rapporto di connessione con<br />

il mondo culturale non ebraico. Ma quella tendenza si stava ormai invertendo<br />

rapidamente. Nell'età barocca, la cultura ebraica e quella non-ebraica si stavano<br />

indirizzandosi verso un rapporto di disgiunzione.<br />

Per <strong>gli</strong> ebrei, questo avrebbe significato chiusura in se stessi, e volontà di<br />

accentuare e di coltivare un senso di estraneità culturale rispetto al mondo<br />

circostante, con una conseguente proiezione della propria es<strong>per</strong>ienza sodo-culturale<br />

al di fuori della realtà effettiva. Es<strong>per</strong>ienza socio-culturale che verrà modellata<br />

su una prassi devozionale, affondante le radici nel mito della kabbalàh, prima<br />

cordoveriana e poi luriana, ma <strong>per</strong>vadente ogni cosa e ogni strato del viver<br />

reale. Per <strong>gli</strong> ebrei d'Europa, la senectus di cui parliamo fu lunga e fu, tra<br />

l'altro, trava<strong>gli</strong>ata da delirio mistico.<br />

Le o<strong>per</strong>e della storiografia ebraica cinquecentesca sono dunque espressioni<br />

di un epilogo: dell'epilogo, invero assai triste, della creatività culturale del<br />

medioevo ebraico, creatività che era intesa in modo consono e parallelo alla<br />

creatività non-ebraica. La stessa sequenza delle o<strong>per</strong>e rappresenta in maniera<br />

emblematica il processo in corso, se teniamo a mente il tratto messo in evidenza<br />

poco fa, e cioè che l'avvicinarsi della fine del <strong>per</strong>iodo in cui fu viva la tendenza<br />

all'integrazione culturale coincide con l'affievolimento dell'esigenza retorica.<br />

L'o<strong>per</strong>a di Elia Capsali è in grado di presentare ancora passi di genuino valore<br />

letterario, quella di Josèf ha-Cohèn assai meno, quella di Ibn Ya]J.ìa poco o<br />

nulla. Qualunque sia, dunque, la prospettiva dell'osservazione, siamo al cospetto<br />

di altrettanti epiloghi, di altrettante « chiusure ».<br />

Riassumiamo e concludiamo: esattamente come nel <strong>per</strong>iodo precedente il<br />

Cinquecento, l'auto<strong>per</strong>cezione dell'identità culturale ebraica in rapporto di<br />

connessione con il mondo culturale non ebraico veniva a toccare solo marginalmente<br />

il campo della storiografia, essendo <strong>gli</strong> interessi culturali di tutti<br />

ebrei e non ebrei, orientati verso altre discipline, così nel Cinquecento l<br />

fioritura, particolarmente in Italia, di o<strong>per</strong>e ebraiche di storiografìa è parte<br />

integrante della ben più nota <strong>generale</strong> fioritura della storiografia non-ebraica.<br />

Quindi, il boom della storiografia ebraica cinquecentesca, particolarmente in<br />

Italia, può essere considerato straordinario solo nel senso e nella misura in cui<br />

verrà considerato straordinario il boom della storiografìa non-ebraica a lui<br />

parallela. Non un fenomeno abnorme, generato da una <strong>per</strong>cezione della propria<br />

23 Ho trattato parzialmente questo argomento nell'articolo Cultura e mistica a Venezia<br />

nel Cinquecento, in Atti del convegno internazionale « Venezia e <strong>gli</strong> Ebrei (secoli XIV­<br />

XVIII) ». Venezia, Fondazione Cini, 5-10 giugno 1983 [di prossima pubblicazione].

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