anno 2010 - Istituto studi atellani
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A Napoli il movimento realista cominciò ad organizzarsi sin dai primi giorni della<br />
Repubblica; furono costituite Società di Realisti, che si proponevano di abbattere la<br />
Repubblica attraverso l’uccisione dei patrioti e la cacciata dei francesi. Ma le loro azioni<br />
non andarono mai oltre una sotterranea propaganda contro la Repubblica e il<br />
compimento di atti simbolici come l’abbattimento degli alberi della libertà in alcuni<br />
paesi.<br />
La riconquista del Regno, come è noto, fu opera del cardinale Fabrizio Ruffo e delle sue<br />
masse, favorito dalla ritirata dell’esercito francese al Nord dell’Italia per combattere<br />
contro l’Austria. Il ruolo giocato dai realisti si può considerare marginale.<br />
Anche in quest’area geografica furono costituiti da un avvocato napoletano, Francesco<br />
Maria Villani, vari gruppi di realisti, reclutando i capi tra la piccola borghesia del posto<br />
e la manovalanza tra i contadini.<br />
A Grumo a capo di un gruppo di circa settanta uomini furono posti Don Angelo e don<br />
Gioacchino Silvestri. Altri gruppi furono costituiti a Casandrino, a Giugliano, a<br />
Ducenta, a Trentola, ad Aversa.<br />
I patrioti dell’area aversana<br />
Pur mancando una grossa partecipazione di massa agli avvenimenti rivoluzionari e alla<br />
vita della Repubblica, l’area aversana, comunque, partecipò attivamente agli eventi<br />
rivoluzionari attraverso una folta schiera di suoi cittadini.<br />
Noi ne abbiamo censito 83; di essi 81 erano uomini e due donne.<br />
Per una parte di questi patrioti, abbiamo molte notizie che ci mettono in condizione di<br />
ricostruirne la professione, la condizione economica e familiare e le pene a cui furono<br />
condannati dalla feroce reazione borbonica.<br />
17 erano sacerdoti o monaci, 27 appartenevano alla borghesia delle professioni<br />
(avvocati, medici, ufficiali dell’esercito, impiegati e esercenti arti liberali), 16<br />
appartenevano alla borghesia imprenditoriale: commercianti, o possidenti.<br />
I ceti popolari erano rappresentati da 9 persone tra soldati, artigiani e operai di città.<br />
Come si può vedere da questi dati nell’area aversana i patrioti appartenevano per il 32%<br />
alla borghesia delle professioni, per il 25% circa alla borghesia imprenditoriale, per il<br />
25% agli ecclesiastici e per il 13% ai ceti popolari.<br />
Contrariamente a quanto spesso sostenuto possiamo affermare che nell’area aversana, e<br />
forse anche in altre province del Regno, la Repubblica non fu sostenuta solo dagli<br />
intellettuali. Un ruolo considerevole l’ebbe la borghesia imprenditoriale che non<br />
riusciva ad esprimere le proprie capacità a causa del sistema feudale che bloccava<br />
ancora l’economia ed era quindi favorevole ad un mutamento della politica economica.<br />
I ceti popolari, anche se non furono presenti con percentuali simili, di certo non furono<br />
assenti, il 13% delle condanne emesse dalla corte borbonica riguardarono proprio loro.<br />
Condanne inflitte ai patrioti<br />
Se guardiamo alle pene alle quali furono condannati i patrioti di quest’area, vediamo<br />
che:<br />
4 subirono la pena di morte: Domenico Perla di Lusciano e il cognato Giuseppe Cotitta;<br />
Francesco Bagno di Cesa e Domenico Cirillo di Grumo.<br />
Di Perla e del cognato Giuseppe Cotitta, che era il marito di sua sorella Luisa, non<br />
sappiamo molto. Ambedue avevano fatto parte della II compagnia della Guardia<br />
nazionale. Perla, afforcato al ponte di Casanova a Napoli con l’accusa di aver vilipeso la<br />
bandiera borbonica, fu il primo civile ad essere giustiziato essendo considerato uno dei<br />
più accesi ribelli. Forse era nato a Palermo nel 1765 dove il padre si era trasferito per la<br />
sua attività di mercante.<br />
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