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anno 2010 - Istituto studi atellani

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transito? Quell’ego, che sottolineerebbe un egotismo non consono ad un cristiano, cosa<br />

materialmente avrebbe dato a Paolo? Dell’acqua? Del cibo? Qualche mantile? E quel<br />

presbitero per così poco, per un po’ di cibo, per qualche litro d’acqua avrebbe sentito il<br />

bisogno di tramandare (tra l’altro in maniera anonima) il ricordo del suo gesto? Se così<br />

fosse, un senso di disturbo ci prenderebbe, pensando al narcisismo dell’improbabile<br />

religioso, il quale, così facendo, avrebbe, per così dire, tradito la deontologia del buon<br />

cristiano, che lo voleva spontaneo, amorevole e discreto 8 .<br />

È vero, nell’ipotesi, che il destinatario sarebbe stato Paolo, all’epoca personaggio di<br />

spicco tra i Cristiani per quel che faceva e per come lo faceva, ma certamente non<br />

apparirebbe consono al suo insegnamento il comportamento dell’anonimo atellano.<br />

San Paolo, che personificava l’antipresunzione per eccellenza, avrebbe avuto la sfortuna<br />

d’essere oggetto d’attenzioni proprio da parte di un presuntuoso a tutto tondo.<br />

Poiché l’epigrafe, del tipo in questione cioè su marmo, per scopi divulgativi o<br />

commemorativi andava collocata sempre in qualche posto, quel improbabile atellano<br />

l’avrebbe messa come un’autonoma onorificenza sull’arco della sua porta? Su una<br />

parete della sua casa? Se i venti della persecuzione non soffiavano ancora 9 , che<br />

importanza poteva avere, in un’area a maggioranza pagana? In altri termini, per i pagani<br />

locali, che importanza poteva avere Paolo, per cui facendo sapere ad essi del gesto<br />

compiuto, ne sarebbe tornato vanto all’agente?<br />

Dalla lapide dei Paolotti è evidente com’è andata.<br />

Durante tutto il Medioevo molte città, pagi e vici h<strong>anno</strong> menato vanto di essere stati<br />

visitati dagli Apostoli Pietro e Paolo. Sono fiorite così tradizioni epicorie, speculando in<br />

modo esagerato, anche se in buona fede, su fortuite congiunture: nel nostro caso, come<br />

era inciso sulla lapide dei Paolotti, il”monimentum” era “iuxta dirutam aediculam B.<br />

Mariae de Bruna” e aveva il conforto di un’anonima leggenda popolare, che lo<br />

legittimava come memoria di s. Paolo.<br />

Invenzioni, scarsa cultura e conseguente scarsa tendenza alla riflessione, credulità<br />

popolare, intuizioni superficiali, entusiasmo di chi crede di sapere (i sapientiores di cui<br />

si fa cenno nella lapide dei Paolotti), spesso h<strong>anno</strong> portato ad affermazioni, che per lo<br />

più urtano contro le nostre capacità d’indagine.<br />

Noi, dunque, allo stato non abbiamo elementi per fare valutazioni obiettive della<br />

porzione di marmo, che riportava l’incisione tramandata. Né possiamo credere che il<br />

valore attribuito a quest’ultima poggi su elementi, non dico probabili, ma almeno<br />

verosimilmente possibili: quella lapide ha assunto valore e funzioni, che si è deciso di<br />

accreditarle dai “sapientiores” sull’onda di una tradizione, la quale, a dire il vero, pare<br />

che non faccia capo ad alcunché di credibile.<br />

Coi supporti tecnico-scientifici oggi disponibili saremmo stati certamente in grado di<br />

determinare con sicurezza innanzi tutto l’epoca del marmo, se questo fosse stato<br />

esaminabile.<br />

Il riferimento all’uso della scrittura osca per stabilire l’epoca, da solo cioè senza il<br />

concorso di altri elementi storicamente certi, non ha alcuna incidenza. Perciò è<br />

indubbiamente fragile lo spirito dell’iscrizione composta dai Frati, che, aggrappandosi<br />

comunque alla tradizione, tenta di accreditare una traccia storica da far risalire fino a s.<br />

Paolo.<br />

È chiaro che, al di là dei personali sentimenti di antipatia per il personaggio e il gesto<br />

presupposti, il testo e il “pezzetto di marmo” 10 che lo contiene v<strong>anno</strong> letti in modo<br />

storico, che, credo, non può essere quello finora conosciuto. Vediamo in breve perché.<br />

8<br />

Paolo incentrava tutta l’azione del fedele in Cristo, sulla carità e specificava che questa, anche<br />

se interpretata privandosi di tutti i beni, non consiste nella generosità.<br />

9<br />

Il culto cristiano all’epoca era praticabile, perché confuso con quello giudaco, che comunque<br />

non era vietato dai Romani.<br />

10<br />

Così lo definisce il Basile nell’opera citata, p. 367.<br />

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