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anno 2010 - Istituto studi atellani

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collaboratori destinati ad eseguire opere da lui progettate, come lascia intuire l’uso di<br />

uno stesso modello per l’Incoronazione della Vergine messo in opera a Capua, a<br />

Giugliano e a Napoli, espediente che spiegherebbe anche la differente qualità delle tre<br />

tele già notata dalla Restaino 22 . Perché non pensare allora che la Natività di Giugliano,<br />

in cui la <strong>studi</strong>osa era propensa a vedervi la mano del maestro piuttosto che di Domenico<br />

Lama, potrebbe essere stata eseguita proprio dal Lama, forse un collaboratore fidato del<br />

Forlì capace di muoversi in piena autonomia nel mercato artistico partenopeo. Simile<br />

alla maniera di Giovan Vincenzo è la definizione dello spazio, organizzato in ampi<br />

ambienti chiusi, caratterizzati da imponenti edifici all’antica in cui si svolgono le scene,<br />

e anche il modo di rendere gli effetti di luce, concentrata in primo piano in modo da far<br />

emergere dal fondo in penombra le figure, elementi presenti anche nella Presentazione<br />

al tempio di Capua, dove ancora una volta siamo di fronte alla presenza di una mano<br />

diversa dal Forlì, ma stilisticamente molto vicina alle formule del maestro 23 . Non è poi<br />

da escludere che Domenico Lama possa aver collaborato al fianco del Forlì anche a<br />

Capua e nel Duomo di Napoli, e che possa essere identificato con il Giovan Domenico<br />

Lama che nel 1617 eseguì due dipinti per la cappella di Santolo Manzolo nella chiesa<br />

della Pietà dei Turchini, ancora in loco, ma totalmente illeggibili, e dove Battistello<br />

Caracciolo nello stesso <strong>anno</strong> si impegnava per lo stesso committente ad eseguire la<br />

Trinità Terreste 24 .<br />

volere del cardinale Decio Carafa, come ricorda la scritta posta sullo stesso soffitto in cui è<br />

segnata anche la data 1621. CESARE D'ENGENIO CARACCIOLO, Napoli sacra, Napoli<br />

1624, p. 7 ci dice in più che il cardinale aveva finanziato l'opera costata 14000 scudi, e che nel<br />

1624 i lavori stavano per concludersi. Ulteriori notizie sull’inizio dei lavori sono in ROBERTO<br />

DE STEFANO-FRANCO STRAZZULLO, La Cattedrale di Napoli. Storia, restauri, scoperte,<br />

ritrovamenti, Napoli 1974, p. 33; FRANCO STRAZZULLO, Restauri del Duomo di Napoli tra<br />

‘400 e ‘800, Napoli 1991, pp. 47-48. Delle dieci tele napoletane a Giovan Vincenzo Forlì<br />

spetterebbero l’Adorazione dei Magi, l’Apparizione di Gesù risorto alla Vergine,<br />

l’Incoronazione della Vergine e l’Ascensione (Restaino, op. cit., p. 51 nota 64), a Giovanni<br />

Balducci l’Adorazione dei pastori, la Resurrezione e la Pentecoste (SILVANA MUSELLA<br />

GUIDA, Giovanni Balducci fra Roma e Napoli, in «Prospettiva», 1982, 31, p. 43), mentre<br />

l’Annunciazione, la Visitazione e la Circoncisione sono state inizialmente ricondotte ad un’unica<br />

mano che Pierluigi Leone de Castris identificava in un anonimo collaboratore del Forlì, e ne<br />

fissava l'esecuzione intorno al 1621, la stessa anonima mano a cui la Restaino collegava tra<br />

l'altro anche la Presentazione al tempio di Capua (PIERLUIGI LEONE DE CASTRIS, Avvio a<br />

Francesco Curia disegnatore, in «Prospettiva», 1984, 39, p. 23 nota 35; RESTAINO, op. cit., p.<br />

50 nota 58 e p. 51 nota 64). Alla luce di nuovi ritrovamenti documentari sappiamo che la<br />

Circoncisione è opera del pittore urbinate Flaminio Allegrini, il quale il 6 settembre 1622<br />

ricevette un saldo di dieci ducati, pagatogli da Marco Antonio Ferraro, per aver compiuto quel<br />

dipinto (ANTONIO DELFINO, Documenti inediti tratti dall’Archivio Stato di Napoli e<br />

dall’Archivio Storico del Banco di Napoli, in Ricerche sul ‘600 napoletano, 1993, p. 22). Lo<br />

sfumato dolce e la resa atmosferica luminosa che emergono dall'analisi della tela indirizzano<br />

verso l'aggiornata pittura di Federico Barocci, mentre tutt'altro linguaggio appare sia<br />

nell’Annunciazione che nella Visitazione prodotte sicuramente da un altro pittore, che mostra di<br />

avere in comune con il Forlì lo stesso gusto per l’impostazione della scena in ampi edifici<br />

all’antica.<br />

22 C. RESTAINO, op. cit., p. 51 nota 63.<br />

23 V. PACELLI, op. cit., pp. 88-89 notava la differenza di stile nel dipinto e ne ipotizzava<br />

l'esecuzione da parte di una mano gravitante nell'orbita di Filippo Vitale. La Restaino (op. cit., p.<br />

50 nota 58), supponeva che l’anonimo pittore fosse più incline verso la maniera del Forlì.<br />

24 S. CAUSA, op. cit., pp. 185, 353.<br />

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