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nante ripetersi continuo di equilibri legati a prassi di sfruttamento seguite da<br />
prassi di sensibilizzazione e/o protezione della copertura forestale.<br />
Già dal Medioevo è possibile registrare la messa al bando di spazi forestali, utilizzati<br />
dalle comunità locali per impedire e/o limitare l’eccessivo sfruttamento di<br />
aree particolarmente ricche di foreste. In particolare fu chiaro come il mantenimento<br />
del soprassuolo forestale assicurasse la protezione di versanti e pendii<br />
particolarmente a rischio per i fenomeni franosi, proteggendo anche abitazioni<br />
e attività (in particolare l’agricoltura) delle località poste più a valle o nelle pianure<br />
sottostanti. Il XVIII secolo sorprenderà per i diversi gridi di allarme riguardo<br />
al futuro degli approvvigionamenti di legna in diverse parti d’Europa (Francia,<br />
Germania ed Austria, Svizzera ed in seguito, anche in Italia).<br />
La seconda metà del secolo è particolarmente ricca di testimonianze di ogni<br />
genere sul degrado del manto vegetale, anche sulla scorta di esperienze dirette<br />
e documentabili, come le accresciute frequenze delle inondazioni, degli<br />
smottamenti del terreno, di valanghe e di altre calamità naturali, scrupolosamente<br />
documentate dalle cronache locali. Fin dai tempi più antichi, inoltre, l’integrazione<br />
di coltivo, pascolo e “albero”, ha rappresentato un dato acquisito nei<br />
sistemi montuosi mediterranei caratterizzati da un’economia agro-silvo-pastorale.<br />
Il rapporto tra popolamento forestale e sfruttamento agricolo-pastorale va<br />
visto in una dimensione più articolata di quanto non si sia soliti credere. Particolarmente<br />
suggestivi in questo senso, gli esempi provenienti dall’Appennino Ligure.<br />
Sembra prevalere una propensione piuttosto marcata al mantenimento delle<br />
risorse boschive, attraverso metodi di<br />
sfruttamento delle risorse mai casuali,<br />
ma che rispecchiano una profonda<br />
conoscenza dei luoghi, degli strumenti<br />
e delle specie forestali coinvolte, così<br />
come riscontrato in molti altri territori<br />
montani dell’Appennino.<br />
Attività umane ed elemento biologico si<br />
integravano in maniera armoniosa, circostanza<br />
che non era frutto della<br />
casualità ma, al contrario, di un complesso<br />
processo attraverso il quale gli<br />
utenti applicavano un bagaglio di<br />
conoscenze pratiche tanto sofisticate<br />
quanto efficaci...<br />
“…rispetto alla creduta distruzione de’<br />
boschi, se sia molto tempo che sia<br />
accaduta, dirò che io conto anni 58 in<br />
circa e che sembrami averli sempre<br />
veduti quasi nello stesso stato che di<br />
128 A B<br />
129<br />
Pascoli in corrispondenza dell’orizzonte della faggeta (Monte Terminillo, Lazio)<br />
C D<br />
Alberi diversamente trattati per la produzione:<br />
A e B ceduazione da ceppaia e da polloni<br />
radical, C sgamollo o scalvatura, D capitozza<br />
presente ... li Boschi di Faggi, esistono a monti più alpestri, sono per lo più<br />
comuni per l’uso della legna fra li abbitanti, ma la proprietà e fondo è de’ particolari<br />
che talvolta vi seminano facendovi dei ronchi”.<br />
Questa affermazione del prefetto del comune montano di S. Stefano in Valle d’Aveto<br />
(datata 1806), suggerisce l’assenza di una correlazione fra la scomparsa del<br />
mantello boschivo e l’uso agricolo temporaneo del suolo forestale, il cosiddetto<br />
“ronco”, che non è altro che una delle modalità di coltura temporanea del più<br />
ampio sistema universale identificato con il “sistema agrario del debbio”. Il termine<br />
ronco (roncare = sarire, sarchiare, diserbare), può essere inteso, nell’accezione<br />
dei dialetti liguri locali, come una parcella di foresta governata a ceduo<br />
sottoposto alla cosiddetta “scalvatura”, taglio della pianta in cui venivano asportati<br />
i rami laterali rasente al fusto, per ottenere nuovi germogli e successivamente<br />
foraggio per il bestiame. Si trattava quindi di utilizzare secondo modalità multiple<br />
(agricole, pastorali, selvicolturali), le stesse parcelle di terreno senza la<br />
distruzione della copertura arborea. Nonostante queste forme di uso “integrato”,<br />
ulteriori conflitti emergeranno come risultato dello scontro tra interessi diversi<br />
nello sfruttamento delle faggete appenniniche. Numerosi studiosi hanno evidenziato<br />
difatti, la contraddittoria e non priva di forti contrasti sociali, convivenza tra<br />
la cultura del legno e quella del carbone nel passaggio tra “…la civiltà del legno<br />
e del carbone prima del Settecento alla civiltà del secolo XIX del carbon fossile”,<br />
che riguarderà la montagna appenninica negli ultimi tre secoli in particolare.