You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
130 131<br />
L’utilizzo dei boschi di faggio nell’Appennino centrale<br />
Andrea Catorci<br />
Le odierne faggete portano innumerevoli<br />
segni della storia dello sfruttamento che<br />
l’uomo ha imposto loro nei secoli. Le<br />
foreste appenniniche infatti, sono state a<br />
lungo contese tra diverse “propensioni<br />
economiche” che ne hanno profondamente<br />
alterato e modificato le originarie<br />
proprietà spaziali, ecologiche e floristicostrutturali.<br />
La più antica è connessa con la fruizione<br />
della foresta come luogo di pascolo:<br />
durante il Medioevo, nei trattati di compravendita<br />
di porzioni forestali, il valore<br />
del bosco era attribuito prevalentemente<br />
in base al numero di animali che esso era<br />
in grado di nutrire. Allo stesso modo, il<br />
Catasto Gregoriano (XIX secolo), segnala<br />
accuratamente i boschi da frutto, ovvero<br />
in grado di produrre nutrimento per gli<br />
animali domestici. Questo utilizzo, connesso<br />
con lo sfruttamento della produttività<br />
“secondaria” della foresta (ghiande,<br />
faggiole, foglie ed erbe del sottobosco),<br />
Strada forestale in ambiente di faggeta (Parco<br />
regionale dei Monti Picentini, Campania)<br />
non prevedeva il prelievo di legname se<br />
non in misura esigua e per le sole necessità<br />
delle comunità locali, le quali fruivano<br />
di questo bene in base a secolari usi<br />
comuni che derivavano direttamente dalle<br />
consuetudini medioevali.<br />
La foresta che supportava questa “economia<br />
della foglia”, poteva avere un<br />
aspetto di bosco d’alto fusto, con radure<br />
e piccole cese, in cui gli animali pascolavano<br />
nel fresco sottobosco, oppure presentare<br />
l’aspetto di “savana” (sensu<br />
Rackham), ovvero con coperture arboree<br />
poco dense, in modo da consentire lo sviluppo<br />
di un rigoglioso tappeto erboso. La<br />
cotica erbosa così originata veniva sfruttata<br />
per il pascolo nei periodi primaverainizio<br />
estate ed inizio autunno, mentre nel<br />
periodo più caldo e siccitoso dell’estate, il<br />
magro pascolo veniva integrato con la<br />
“fronda o frasca”, ovvero con le foglie dei<br />
faggi raccolte e deposte sul terreno.<br />
In molte aree dell’Appennino, inoltre, è<br />
stata a lungo praticata una particolare<br />
forma di utilizzo delle superfici forestate,<br />
il ranco, che addirittura prevedeva la coltivazione<br />
a cereali dei suoli forestali nell’anno<br />
successivo al taglio ceduo del<br />
bosco, cui seguivano la possibilità di<br />
pascolo ovi-caprino, la produzione di frasca<br />
e quindi, dopo appena 9-10 anni, il<br />
nuovo taglio.<br />
Nell’ambito di questa forma di utilizzo<br />
della faggeta deve essere annoverato<br />
anche la valorizzazione della faggiola,<br />
ovvero del “frutto” del faggio. Naturalmente<br />
la forma principale era quella connessa<br />
con l’alimentazione di suini, ovini e<br />
caprini (anche degli uomini nei periodi di<br />
carestia); ben più curiosa era invece una<br />
forma di utilizzo (abbastanza diffusa nell’Italia<br />
centrale) che prevedeva la “spremitura”<br />
delle faggiole in appositi mulini al<br />
fine di ricavare un olio combustibile di<br />
grande valore economico, praticamente<br />
inodore e con bassa resa in fumi, che<br />
ben si adattava alle necessità di illuminazione<br />
delle abitazioni signorili.<br />
Gli effetti - spesso drammatici - di queste<br />
forme d’uso, sono sicuramente da ricercare<br />
nella progressiva erosione dei suoli,<br />
con conseguente profonda alterazione<br />
della composizione floristica delle foreste.<br />
A tal proposito e limitandosi alle specie<br />
arboree, è interessante annotare quanto<br />
scriveva per il territorio camerte il botanico<br />
Agostino Reali nel 1871 sull’agrifoglio<br />
“...in tutte le nostre selve ... prosperavano<br />
abbondanti agrifogli e ve ne aveva di<br />
grossi assai, abbattuti col resto degli<br />
alberi per far legna e carbone...” mentre<br />
a proposito del tiglio afferma “...era un<br />
tempo abbondantissimo nel territorio<br />
camerte ... ma al presente si trova quasi<br />
completamente sprovveduto”. Sempre il<br />
Reali discernendo del tasso ricordava<br />
“...del grande tasseto che rivestiva la<br />
montagna di Montecavallo, ancora esiste<br />
una porzione che ci auguriamo non sarà<br />
come il restante stoltamente venduta ai<br />
legnajoli e carbonai”.<br />
Ad esiti ancora più devastanti è connessa<br />
la trasformazione del territorio avvenuta<br />
soprattutto nel corso del XVIII e XIX secolo,<br />
che ha visto numerose faggete scomparire<br />
sotto le asce degli agricoltori di<br />
montagna, che spinsero la cerealicoltura<br />
a quote oggi impensabili, in piena fascia<br />
di distribuzione del faggio. A tale riguardo,<br />
recenti ricerche sull’evoluzione dell’uso<br />
del suolo in un settore dell’Appennino<br />
Marchigiano, hanno mostrato come quasi<br />
nessuno dei boschi attuali abbia una<br />
storia che oltrepassi i 150 anni!<br />
Certamente questo dato non è generalizzabile<br />
a tutte le faggete dell’Appennino,<br />
ma fa toccare con mano il senso di una<br />
montagna interamente plasmata dall’uomo,<br />
dalla sua cultura e dalla sua economia<br />
e, per tale motivo, evidenzia l’impossibilità<br />
di comprendere gli attuali ecosistemi<br />
forestali montani prescindendo dalla<br />
loro storia e dal loro essere stati per secoli<br />
uno dei fulcri della civiltà appenninica.<br />
Margine della faggeta soggetto a forte disturbo da pascolamento (Monte Viglio, Parco Regionale dei<br />
Monti Simbruini, Lazio)