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2° parte - Udine Cultura

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L’utilizzo dei boschi di faggio nell’Appennino centrale<br />

Andrea Catorci<br />

Le odierne faggete portano innumerevoli<br />

segni della storia dello sfruttamento che<br />

l’uomo ha imposto loro nei secoli. Le<br />

foreste appenniniche infatti, sono state a<br />

lungo contese tra diverse “propensioni<br />

economiche” che ne hanno profondamente<br />

alterato e modificato le originarie<br />

proprietà spaziali, ecologiche e floristicostrutturali.<br />

La più antica è connessa con la fruizione<br />

della foresta come luogo di pascolo:<br />

durante il Medioevo, nei trattati di compravendita<br />

di porzioni forestali, il valore<br />

del bosco era attribuito prevalentemente<br />

in base al numero di animali che esso era<br />

in grado di nutrire. Allo stesso modo, il<br />

Catasto Gregoriano (XIX secolo), segnala<br />

accuratamente i boschi da frutto, ovvero<br />

in grado di produrre nutrimento per gli<br />

animali domestici. Questo utilizzo, connesso<br />

con lo sfruttamento della produttività<br />

“secondaria” della foresta (ghiande,<br />

faggiole, foglie ed erbe del sottobosco),<br />

Strada forestale in ambiente di faggeta (Parco<br />

regionale dei Monti Picentini, Campania)<br />

non prevedeva il prelievo di legname se<br />

non in misura esigua e per le sole necessità<br />

delle comunità locali, le quali fruivano<br />

di questo bene in base a secolari usi<br />

comuni che derivavano direttamente dalle<br />

consuetudini medioevali.<br />

La foresta che supportava questa “economia<br />

della foglia”, poteva avere un<br />

aspetto di bosco d’alto fusto, con radure<br />

e piccole cese, in cui gli animali pascolavano<br />

nel fresco sottobosco, oppure presentare<br />

l’aspetto di “savana” (sensu<br />

Rackham), ovvero con coperture arboree<br />

poco dense, in modo da consentire lo sviluppo<br />

di un rigoglioso tappeto erboso. La<br />

cotica erbosa così originata veniva sfruttata<br />

per il pascolo nei periodi primaverainizio<br />

estate ed inizio autunno, mentre nel<br />

periodo più caldo e siccitoso dell’estate, il<br />

magro pascolo veniva integrato con la<br />

“fronda o frasca”, ovvero con le foglie dei<br />

faggi raccolte e deposte sul terreno.<br />

In molte aree dell’Appennino, inoltre, è<br />

stata a lungo praticata una particolare<br />

forma di utilizzo delle superfici forestate,<br />

il ranco, che addirittura prevedeva la coltivazione<br />

a cereali dei suoli forestali nell’anno<br />

successivo al taglio ceduo del<br />

bosco, cui seguivano la possibilità di<br />

pascolo ovi-caprino, la produzione di frasca<br />

e quindi, dopo appena 9-10 anni, il<br />

nuovo taglio.<br />

Nell’ambito di questa forma di utilizzo<br />

della faggeta deve essere annoverato<br />

anche la valorizzazione della faggiola,<br />

ovvero del “frutto” del faggio. Naturalmente<br />

la forma principale era quella connessa<br />

con l’alimentazione di suini, ovini e<br />

caprini (anche degli uomini nei periodi di<br />

carestia); ben più curiosa era invece una<br />

forma di utilizzo (abbastanza diffusa nell’Italia<br />

centrale) che prevedeva la “spremitura”<br />

delle faggiole in appositi mulini al<br />

fine di ricavare un olio combustibile di<br />

grande valore economico, praticamente<br />

inodore e con bassa resa in fumi, che<br />

ben si adattava alle necessità di illuminazione<br />

delle abitazioni signorili.<br />

Gli effetti - spesso drammatici - di queste<br />

forme d’uso, sono sicuramente da ricercare<br />

nella progressiva erosione dei suoli,<br />

con conseguente profonda alterazione<br />

della composizione floristica delle foreste.<br />

A tal proposito e limitandosi alle specie<br />

arboree, è interessante annotare quanto<br />

scriveva per il territorio camerte il botanico<br />

Agostino Reali nel 1871 sull’agrifoglio<br />

“...in tutte le nostre selve ... prosperavano<br />

abbondanti agrifogli e ve ne aveva di<br />

grossi assai, abbattuti col resto degli<br />

alberi per far legna e carbone...” mentre<br />

a proposito del tiglio afferma “...era un<br />

tempo abbondantissimo nel territorio<br />

camerte ... ma al presente si trova quasi<br />

completamente sprovveduto”. Sempre il<br />

Reali discernendo del tasso ricordava<br />

“...del grande tasseto che rivestiva la<br />

montagna di Montecavallo, ancora esiste<br />

una porzione che ci auguriamo non sarà<br />

come il restante stoltamente venduta ai<br />

legnajoli e carbonai”.<br />

Ad esiti ancora più devastanti è connessa<br />

la trasformazione del territorio avvenuta<br />

soprattutto nel corso del XVIII e XIX secolo,<br />

che ha visto numerose faggete scomparire<br />

sotto le asce degli agricoltori di<br />

montagna, che spinsero la cerealicoltura<br />

a quote oggi impensabili, in piena fascia<br />

di distribuzione del faggio. A tale riguardo,<br />

recenti ricerche sull’evoluzione dell’uso<br />

del suolo in un settore dell’Appennino<br />

Marchigiano, hanno mostrato come quasi<br />

nessuno dei boschi attuali abbia una<br />

storia che oltrepassi i 150 anni!<br />

Certamente questo dato non è generalizzabile<br />

a tutte le faggete dell’Appennino,<br />

ma fa toccare con mano il senso di una<br />

montagna interamente plasmata dall’uomo,<br />

dalla sua cultura e dalla sua economia<br />

e, per tale motivo, evidenzia l’impossibilità<br />

di comprendere gli attuali ecosistemi<br />

forestali montani prescindendo dalla<br />

loro storia e dal loro essere stati per secoli<br />

uno dei fulcri della civiltà appenninica.<br />

Margine della faggeta soggetto a forte disturbo da pascolamento (Monte Viglio, Parco Regionale dei<br />

Monti Simbruini, Lazio)

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