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2° parte - Udine Cultura

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1° anno <strong>2°</strong> anno 3° anno 4° anno 5° anno 6° anno 7° anno 8° anno 9° anno<br />

Ipotesi di utilizzazione di un appezzamento forestale in Appennino Umbro-Marchigiano nel XIV secolo;<br />

dopo la ceduazione viene eseguita la semina dei cereali, poi il bosco viene pascolato e infine, in più<br />

riprese, sottoposto ad utilizzazione di frasca per il foraggio<br />

Fortemente degradate risultavano difatti quelle faggete che servivano alla produzione<br />

nel tempo di grandi quantità di carbone per fornaci e fonderie, setifici e<br />

vetrerie, configurandosi come cedui molto densi e con turni di quindici-venti<br />

anni, non avendo alcuna necessità di alberi a chioma ampia, né di sottobosco.<br />

Tale sfruttamento contrasterà necessariamente con le pratiche selvicolturali<br />

tradizionali sviluppate dalle comunità locali, alle quali spesso non rimarrà che<br />

un terreno sterile per l’eccessivo numero di carbonaie che in passato il bosco<br />

ha dovuto sopportare. Nelle diverse cronache della seconda metà del Settecento<br />

difatti, molti indicheranno proprio nella fame di carbone una delle cause<br />

prevalenti della devastazione delle foreste. In particolare per tutto il Mezzogiorno,<br />

molto forte risulterà l’impatto dello sfruttamento da carbone a carico delle<br />

faggete, come documentato per ampi distretti dell’Appennino Abruzzese. In<br />

ampi territori appenninici, l’uso diversificato della risorsa forestale determinerà<br />

la differenziazione tra boschi cedui e boschi di alto e medio fusto, i primi destinati<br />

al taglio per legna da ardere, i secondi soprattutto a divenire materia prima<br />

per costruzioni civili, militari, navali oltrechè per l’artigianato.<br />

Va precisato però, che l’impiego diffuso del taglio cosiddetto “a capitozza”,<br />

estremamente comune nelle faggete di tutta la montagna appenninica, rappresenterà<br />

una perfetta integrazione del sistema bosco-pascolo, attraverso la fissazione<br />

dei saperi caratteristici nell’uso tradizionale dell’albero da <strong>parte</strong> delle<br />

popolazioni montane. In questo senso le faggete - ripensando ai secoli passati<br />

- possono essere lette come “pascoli alberati”, facendo nostro il modello delle<br />

“savane” mediterranee descritto da Rackham, in un cambiamento radicale di<br />

prospettiva che interpreta la foresta non unicamente come danneggiata dal<br />

pascolo, ma come contesto antropo-geografico nel quale trovano integrazione<br />

processi zootecnici di produzione e riproduzione e risorse foraggere, modello<br />

comune in tutta la montagna mediterranea.<br />

■ Conservazione e gestione del paesaggio vegetale<br />

Alcune faggete appenniniche sono habitat individuati come prioritari dalla<br />

Direttiva 92/43/CEE (meglio nota come Direttiva Habitat). Con l’aggettivo<br />

“prioritario” la Direttiva definisce quegli habitat che rischiano di scomparire dal<br />

territorio degli Stati membri della Comunità Europea e per la cui conservazione<br />

la Comunità ha una responsabilità particolare.<br />

Nell’allegato I della Direttiva, che riporta i “Tipi di habitat naturali di interesse<br />

comunitario la cui conservazione richiede la designazione di aree speciali di<br />

conservazione”, al punto 92 (Foreste mediterranee caducifoglie) sono elencati<br />

come prioritari i “Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex” (codice 92.10) e<br />

i “Faggeti degli Appennini con Abies alba e faggeti con Abies nebrodensis”<br />

(codice 92.20). Nel rispetto della Direttiva, questi habitat sono pertanto inclusi<br />

in Siti di Interesse Comunitario (SIC) e per essi sono previsti specifici piani<br />

di gestione.<br />

In generale, i problemi e i principi della gestione forestale sono simili per le<br />

faggete e per le altre foreste caducifoglie. Occorre però distinguere la silvicoltura<br />

naturalistica dalla conservazione dell’ecosistema forestale, due tipi di<br />

gestione con diversi obiettivi: il primo è finalizzato principalmente alla produzione<br />

di legname, anche se portato avanti secondo i principi dello sviluppo<br />

sostenibile e prevede diversi usi collaterali; in ogni caso rimane un’attività<br />

economica come l’agricoltura e la pastorizia, da svolgersi nel territorio destinato<br />

a questo uso. Invece, la conservazione dell’ecosistema forestale<br />

dovrebbe essere condotta soprattutto in territori adeguatamente protetti<br />

(parchi e riserve) e dovrebbe essere fondata sul mantenimento della biodiversità<br />

e dell’integrità ecosistemica. Si fonda sul monitoraggio del dinamismo<br />

forestale naturale (privilegiando la protezione dei boschi cosiddetti “vetusti”)<br />

e prevede soltanto piccoli interventi per correggere alterazioni prodotte direttamente<br />

o indirettamente dalle attività umane.<br />

L’attuale estensione delle faggete appenniniche sicuramente supera i minimi<br />

storici che queste formazioni hanno raggiunto in epoche passate, quando il<br />

grado di deforestazione delle montagne era notevolmente più elevato di quello<br />

attuale. Le fotografie d’epoca parlano chiaro: quando sono disponibili<br />

immagini scattate nel XX secolo si rimane spesso sorpresi da paesaggi brulli<br />

e semidesertici in aree che oggi sono coperte da faggete. Ciò è la naturale<br />

conseguenza del fatto che le attività pastorali sono state in gran <strong>parte</strong> abbandonate<br />

a vantaggio di altri lavori che risultavano più redditizi o per lo meno<br />

più desiderabili in certi momenti storici, caratterizzati dall’inurbamento di<br />

massa soprattutto nelle aree planiziali.<br />

Di fatto, lo sfruttamento ed il prelievo incontrollato del legname e la diffusione<br />

della pastorizia sono stati molto più impattanti nel passato di quanto lo siano<br />

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