Un percorso montano forinese e le sue storie di vita

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gorgheggio. Viene naturale immaginare il piccolo Biagio solo in questo posto, forse intimorito, quando veniva a prendere l’acqua per suo padre e per gli altri craunari. Un ragazzino solo e impaurito in questo posto solitario. Un ragazzino, certo, ma già con tanta esperienza di vita. La carchera, ovvero la fornace per la calce La carchera è un forno per la produzione di calce costruito di solito nei boschi o nei loro pressi. A Forino se ne contavano diverse, quasi tutte di proprietà comunale, il quale provvedeva all’affitto secondo i modi consueti. Quella rimasta maggiormente nella memoria dei più anziani è quella posta all’imbocco del vallone di Bella Ficucella, la dove noi contemporanei abbiamo pensato bene di insediare un sito di stoccaggio provvisorio dei rifiuti. Il procedimento consiste nella calcificazione del calcare grossolano, detto pietra da calce, mediante riscaldamento a 800 – 900 gradi. In tal modo il calcare si trasforma in calce viva. 110 Strumenti utilizzati per la cottura della calce Si presenta in grossi pezzi bianchi che, una volta bagnati, si
igonfiano con forte sviluppo di calore, generando una sostanza bianca e untuosa che mescolata alla sabbia costituiva la malta dei muratori. La calce sospesa in acqua veniva inoltre usata come disinfettante, per imbiancare i muri e per calcinare gli alberi come protezione contro i parassiti. La sede del forno era riutilizzata periodicamente in occasione del taglio del bosco, così da sfruttare la legna ricavata nelle vicinanze per cuocere la pietra. Per ottenere la calce occorreva costruire la carchera. Una quindicina di operai si mettevano a lavorare, i più a scavare un fosso profondo tre metri per cinque di diametro, altri raccoglievano la pietra ed altri ancora la frasca e la legna. In quel fosso si lavorava per vestire le pareti con la pietra, come un muro a secco, sino al livello del suolo. Da qui si continuava ad allineare pietre sempre più grosse e generalmente lunghe per far sì che avessero più presa, anche perché il muro circolare, raggiunta l’altezza di un paio di metri, tendeva a restringersi fino alla chiusura completa. Al centro, nell’ultimo spazio che rimaneva, andava incuneata una grossa pietra a forma conica. All’interno, la parte più alta, da centro a centro, misurava circa sei metri. Il costruttore, nell’allineare le pietre, doveva avere l’accortezza di non lasciare troppi spazi. Dove le pietre non combaciavano, doveva procedere con del pietrisco per fare in modo che non ci fossero vie di fuga per il calore. All’esterno della parte superiore i vuoti venivano chiusi con la pozzolana per evitare ogni possibile entrata e uscita d’aria. “’O calore addà murì arint’”, dicevano i vecchi. Nella parte esposta a mezzogiorno, veniva lasciata ‘a vocc’ (un’apertura) che serviva per far passare la legna. Sopra quella porticina, davanti alla quale dovevano sostare in continuazione degli uomini a turni di sei ore l’uno, si costruiva la loggia, specie di pensilina fatta di frasche, paglia e altro allo scopo di riparare i fuochisti dagli elementi 111
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