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Runners World

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to. Allora mi feci da solo un piano di<br />

viaggio tremendo. Da Roma a Fukuoka<br />

in cinque scali, passando da Karachi,<br />

Nuova Delhi, Bombay e Bangkok. Due<br />

giorni di viaggio, col biglietto ridotto<br />

del cinquanta per cento grazie alla tessera<br />

universitaria. E naturalmente, addio<br />

pelliccia. Quei soldi li investii tutti<br />

nei biglietti aerei…».<br />

Fukuoka era un altro mondo. Capolinea<br />

del treno-proiettile, nel sud<br />

del Giappone, ci era passato Frank<br />

Shorter e prima di lui Derek Clayton,<br />

stampando su quelle strade un primato<br />

mondiale. In seguito ci sarebbero<br />

passati altri eroi della corsa: Wanjiru,<br />

Gebreselassie, Gharib, Kebede, solo<br />

per fare qualche nome illustre. E quello<br />

era davvero un altro<br />

mondo, anche oltre lo<br />

sport: coreografico, incantevole,<br />

con tanto<br />

di breve incontro con<br />

l’Imperatore Hirohito<br />

in persona. Pippo ne<br />

restò colpito, e anche<br />

la fatica del viaggio aereo<br />

interminabile svanì<br />

in quel luogo così diverso<br />

dai nostri. Poi, naturalmente,<br />

arrivò il giorno della corsa.<br />

7 dicembre 1975, un inverno che avrebbe<br />

cambiato molte cose. «Fu davvero<br />

una corsa a perdifiato. Frank aveva<br />

vinto le quattro edizioni precedenti,<br />

ma quell’anno non venne e mandò<br />

al suo posto Bill Rodgers. Così, toccò<br />

a Jerome Drayton, canadese, che vinse<br />

in 2:10’09”. Bill finì al terzo posto,<br />

io appena dietro di lui. E fu l’inizio<br />

di un’altra grande amicizia. Quando<br />

guardai il cronometro mi prese un entusiasmo<br />

incredibile. Sapevo che quello<br />

era un tempo che cambiava tutto, in<br />

Italia. Telefonai in Fidal, per avvisare,<br />

e percepii lo stupore, prima ancora<br />

della gioia. Posso capire che non immaginassero<br />

un finale così».<br />

Eppure, in parte era scritto. Nel tipo<br />

di preparazione che Cindolo aveva<br />

intrapreso, certamente diversa e all’avanguardia.<br />

In vantaggio sui tempi. Le<br />

doppie sedute di allenamento, i quasi<br />

quaranta chilometri di lavoro giornaliero.<br />

Le sedute ad alta quota. «Di<br />

quelle credo di poter dire, senza immodestia,<br />

di essere stato l’antesignano.<br />

Certo, mi isolavo parecchio, perché<br />

non erano in tanti a credere in quel<br />

tipo di lavoro. Ero considerato un solitario,<br />

uscivo a correre e dopo un po’<br />

In Italia, quel risultato ottenuto a Fukuoka<br />

andò subito dritto al cuore di chi<br />

sapeva di atletica. Al ritorno a Roma,<br />

Cindolo trovò la prima sorpresa proprio<br />

nell’atrio dell’aeroporto di Fiumicino.<br />

In prima fila ad attenderlo c’era il segretario<br />

generale della Fidal, mandato dal<br />

presidente Nebiolo in persona, non solo<br />

per complimentarsi: in una busta, Pippo<br />

si vide consegnare il rimborso delle spese<br />

che aveva afrontato per la trasferta.<br />

Quel “crono” lo aveva cambiato, anche<br />

nella percezione che gli altri avevano di<br />

lui. Per capire bene la portata di quella<br />

corsa irripetibile, usiamo le parole di un<br />

maestro d’atletica come Oscar Barletta,<br />

che la spiegò così: «Per capire la situazione,<br />

nel 1960 tra il primato mondiale<br />

di Abebe Bikila e quello italiano c’erano<br />

undici minuti di diferenza. Il primo atleta<br />

che segnò una netta inversione di<br />

tendenza fu un sardo coriaceo, Antonio<br />

Ambu. Ma chi ci permise di affacciarci<br />

con dignità a livello internazionale fu un<br />

ragazzo che seguii per la prima volta a<br />

un centro studentesco del Coni, a L’Aquila,<br />

nel 1963: si chiamava Pippo Cindolo<br />

ed era un talento straordinario. Con<br />

lui, nel 1975, l’eccellenza mondiale era a<br />

meno di tre minuti».<br />

I capelli lunghi, i bai, le basette da avtutti<br />

si domandavano dove fossi finito.<br />

Come quella volta a Volodalen, in Svezia,<br />

quando durante un raduno me ne<br />

uscii tutto solo per andare a correre nei<br />

boschi col sole sempre sopra l’orizzonte<br />

e finì che incrociai un alce e rimasi appollaiato<br />

su un albero per un paio d’ore,<br />

con un impermeabile addosso e l’animale<br />

sotto che intanto si era addormentato,<br />

finché non arrivarono a prendermi,<br />

Dio sa come, in elicottero… Pensandoci,<br />

è proprio in quei giorni che nacque il<br />

soprannome di “lupo dell’Irpinia”. Beh,<br />

sono di Avellino, anche se per continuare<br />

con la corsa mi ero trasferito prima a<br />

Bologna, nei Carabinieri, poi alla Panini<br />

Modena. Insomma, non mi dispiaceva<br />

che mi chiamassero così».<br />

“Una volta a Volodalen, in Svezia, uscii tutto<br />

solo per correre nei boschi e incrociai un alce.<br />

Rimasi appollaiato su un albero per un paio d’ore<br />

finché non arrivarono a prendermi.”<br />

venturiero: un moschettiere della maratona<br />

che non ha più avuto la fortuna che<br />

avrebbe meritato, come non solo il gran<br />

giorno di Fukuoka aveva dimostrato.<br />

Non era stato un exploit isolato, quello<br />

giapponese, e la dimostrazione arrivò<br />

sei mesi dopo, a Reggio Emilia. Campionato<br />

italiano di specialità, Cindolo corse<br />

praticamente da solo e vinse in 2:11’50”.<br />

Cinque secondi appena sopra il tempo<br />

di Fukuoka. A quel punto, pensare che<br />

quella grande prestazione fosse caduta<br />

dal cielo diventò impossibile. Primo,<br />

perché in maratona non s’inventa nulla.<br />

Secondo, perché quel campione che aveva<br />

superato la soglia dei trent’anni aveva<br />

lavorato duro per arrivare a quell’obiettivo.<br />

Riflettori puntati, quindi, e inizio<br />

dei giorni dannati.<br />

Poco tempo dopo la conferma<br />

di Reggio Emilia,<br />

Cindolo si presentò al via<br />

della maratona olimpica<br />

di Montreal. Era il 31<br />

luglio 1976, e per l’occasione<br />

si era nuovamente<br />

formata la “confraternita<br />

degli amici runners”: lui<br />

e i due statunitensi, Shorter<br />

e Rodgers. «Ci mettemmo d’accordo:<br />

partiamo insieme e stiamo uniti il più<br />

possibile, poi ce la giocheremo alla fine e<br />

vedrete che qualcuno sul podio ci salirà».<br />

Sì, sarebbe stato bello che Pippo avesse<br />

potuto rispettare questa strategia. Invece<br />

al decimo chilometro, mentre era accanto<br />

a Rodgers, sentì una fitta pazzesca e la<br />

sua corsa finì lì. Rottura del tendine d’Achille.<br />

Davanti, Rodgers continuò a fare<br />

il ritmo fin quasi a metà gara, in un gruppetto<br />

di sette atleti, poi Shorter, campione<br />

in carica, partì portandosi dietro il polacco<br />

Waldemar Cierpinski, che sembrò<br />

a tutti la soluzione a “Trova l’intruso”,<br />

finché a sette chilometri dal traguardo<br />

non piazzò lo spunto decisivo per andare<br />

a prendersi l’oro, piantando in asso il<br />

campione americano.<br />

Da segnalare che in quella gara finirono<br />

ai primi posti due italiani. Franco Fava fu<br />

ottavo, Massimo Magnani tredicesimo, a<br />

dimostrare che l’esempio di Pippo Cindolo,<br />

eroe sfortunato in Canada, aveva fatto<br />

breccia. Di lì a poco, la scuola dei maratoneti<br />

italiani avrebbe vissuto momenti di<br />

gloria. Ripensandoli, non bisognerebbe<br />

mai dimenticare quel 7 dicembre 1975, a<br />

Fukuoka. E quel campione a cui avevano<br />

manomesso involontariamente il cognome<br />

sulla starting list. Lasciandone intatti<br />

talento e furore agonistico.<br />

AGOSTO 2017 RUNNER’S WORLD 57

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