luglio agosto - Club Alpino Italiano
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» PuNTI DI VISTA<br />
Testo di luigi zanzi - docente di metodologia delle scienze storiche dell'università di pavia<br />
una lezione di storia e<br />
filosofia dell’alpinismo<br />
il cerro torres di messner<br />
Intendo, pur in breve scorcio, segnalare la straordinaria importanza<br />
culturale di un’opera recente di Reinhold Messner,<br />
il libro dal titolo Grido di pietra. Cerro Torre: la montagna<br />
impossibile, quale è ben noto ai lettori di testi alpinistici, non<br />
solo perché libro di grande successo, ma anche perché fatto<br />
oggetto di molteplici prese di posizione in un dibattito che dura<br />
da ormai più di cinquant’anni in punto al tentativo di salita<br />
della parete nord del Cerro Torre, in Patagonia, nel lontano<br />
1959, ad opera di Cesare Maestri e Toni Egger.<br />
Non intendo entrare in tale dibattito (che, a mio parere, dovrebbe,<br />
tuttavia, ritenersi definitivamente chiuso nei suoi aspetti<br />
“storici” dopo tale libro di Messner); mi propongo, invece, di<br />
evidenziare, al di fuori ed al di sopra di tale dibattito, perché<br />
tale libro torni di grande importanza anche e propriamente per<br />
il CAI, considerato, come deve essere e come sempre più si<br />
propone di riuscire ad essere, un’associazione imperniata principalmente<br />
su scopi di critica e di storia culturale con attinenza<br />
alle vicende dell’alpinismo e della salvaguardia della civiltà<br />
montana.<br />
Prima di entrare nel vivo dell’argomento, mi sia consentita una<br />
breve premessa: affinché l’elogio che si trova implicito nella<br />
considerazione che intendo fare di tale opera di Messner non<br />
sembri eccessivo, o viziato da devozione per amicizia, mi limiterò<br />
a richiamare qui, in apertura di quanto sto per scrivere, il<br />
giudizio sicuro di un’insigne letterato, critico musicale e bravo<br />
alpinista, Massimo Mila, che considerò Reinhold Messner non<br />
meno grande come scrittore che come alpinista.<br />
Per parte mia, ritengo di avere già mostrato altre volte, a più<br />
riprese, come Messner sia da considerare una personalità di<br />
riferimento cruciale nel nostro tempo, non soltanto quale straordinario<br />
alpinista (al punto che si è tentati di tralasciare ogni<br />
misura di relatività storica nel considerarlo il più grande alpinista<br />
di tutti i tempi), ma anche quale incarnazione di una singolare<br />
prospettiva di ricerca “filosofica”, nonché quale uomo di<br />
cultura capace di imprimere una sua grande impronta, anche<br />
con iniziative di grande impegno concreto (come quella dei<br />
Messner Mountain Museums) nella storia della civiltà montana<br />
e dell’alpinismo, inteso, quest’ultimo, come un’espressione di<br />
speciali esperienze umane.<br />
È lo stesso Messner che ci viene in aiuto per capire la complessità<br />
di tali suoi molteplici ruoli (dei quali vive, di fatto,<br />
anche il suo “mito”, quale è diffuso nel mondo della grande<br />
comunicazione a livello “globale”): infatti, se si compie, con la<br />
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sua guida, il decisivo passaggio mentale di ricondurre qualsiasi<br />
forma di pensiero e di attività intellettuale (anche artistica)<br />
a una concreta radice ambientale (nel caso di che trattasi, la<br />
natura “montana”, nelle sue diverse qualità di “stile di vita” a<br />
differenti livelli d’altitudine), nonché ad un suo concreto nesso<br />
con il “fare” (da cui il “parlare” riceve la propria, più significativa,<br />
fonte d’ispirazione), si comprende, allora, come Messner<br />
abbia potuto conseguire tale complessità di esiti anche “intellettuali”,<br />
in quanto maturati in stretto intreccio con differenti<br />
pratiche di vita (da quella del montanaro a quella dell’alpinista,<br />
a quella dell’“intellettuale”, con varie valenze filosofiche, storiche,<br />
artistiche).<br />
Ecco, in breve, perché a mio parere Reinhold Messner è da considerarsi,<br />
tra l’altro, anche come una delle più significative personalità<br />
culturali del nostro tempo.<br />
Fatta questa premessa, passo a svolgere alcune considerazioni<br />
su tale sua opera, ripartite in punti che ritengo di rilievo<br />
distintivo.<br />
Punto primo: questo libro realizza un intento di “storia” dell’alpinismo,<br />
con una ricerca condotta con un’impostazione critica<br />
di forte originalità e per più aspetti paradigmatica.<br />
Eccone alcuni tratti chiave. Comincio con alcune questioni<br />
“storiche”.<br />
Primo, a Messner non preme per nulla affatto raccontare azioni<br />
“eroiche” d’alpinismo; cerca soltanto di ricostruire fatti (“…<br />
cerco i fatti. Voglio essere uno storico […] Il mio interesse è la<br />
realtà”).<br />
Gran parte della cultura di cui vive il CAI è fatta di “racconti”<br />
di montagna: ma ci si chiede, quanti di tali racconti, anche se<br />
investiti del nome tecnico e neutro di “relazione”, possono considerarsi<br />
“storici”?; quanti di essi “documentano” criticamente<br />
i fatti?<br />
Torna così a porsi una domanda cruciale, che solitamente viene<br />
evitata da chi crede di poter fare la storia a parole: quali sono i<br />
fatti documentabili su tracce?<br />
Poiché vado studiando da lungo tempo come si possono trovare<br />
anche “in natura” i segni degli avvenimenti che hanno<br />
formato un ambiente, ho maturato una profonda convinzione<br />
di quanto sia difficile e complessa l’elaborazione di una<br />
“documentazione”.<br />
La natura stessa, pur senza intenzioni maligne, confonde infatti<br />
le sue tracce di varia provenienza.<br />
Nelle vicende umane avviene spesso che i desideri, le speranze,