luglio agosto - Club Alpino Italiano
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» EDIToRIALE del presidente generale<br />
CONTINUA DA PAG. 1<br />
Ma non deve segnare un punto di arrivo, bensì di partenza,<br />
e a quella riflessione ne deve tuttavia seguire un’altra che ci<br />
viene imposta dalla realtà attuale, in uno scenario in continuo<br />
cambiamento. Il nostro cambiamento epocale è segnato<br />
dal passaggio dall’etica dell’alpinismo (inteso come andar per<br />
monti) all’etica della montagna. Ma la montagna può avere<br />
un’etica? Certo. L’etica della montagna è determinata dai processi<br />
mediante i quali opera chiunque scelga la montagna come<br />
territorio interiore e esteriore di realizzazione di sé, e che, secondo<br />
noi, dovrebbe essere rappresentata dalle buone pratiche<br />
nella gestione del rapporto tra l’uomo e l’ambiente naturale in<br />
cui intende operare. Non dobbiamo naturalmente pensare di<br />
essere gli unici depositari di questa etica, anzi, dobbiamo saperci<br />
ricollocare anche in funzione di un pluralismo di visioni,<br />
pur rimanendo saldi nei nostri principi. Tuttavia è proprio in<br />
questa fase dei processi di utilizzazione che deve inserirsi il nostro<br />
messaggio, e ricorrendo alla metafora delle messi da seme,<br />
sono proprio questi campi incolti che devono attirare la nostra<br />
attenzione. È quindi nella produzione di una cultura mirata<br />
che dobbiamo concentrare i nostri sforzi, e proporci in modo<br />
credibile come istituzione nazionale. Per raggiungere questo<br />
risultato è necessario partire da un presupposto irrinunciabile:<br />
quello della trasparenza, cioè di far chiarezza al nostro interno<br />
per poter essere autorevoli all’esterno. Chiarezza al nostro<br />
interno significa risolvere tutte le situazioni che creano attriti<br />
e dispersioni di energie e di risorse in un quadro organizzativo<br />
rinnovato. L’impegno posto in atto negli ultimi mesi per<br />
una più attuale strutturazione della nostra realtà deve proseguire<br />
con i dovuti confronti, improntando il nostro agire con<br />
onestà intellettuale, per tradursi in uno snellimento organizzativo.<br />
Tutto ciò nella ricerca costante di adeguare, secondo le<br />
più attuali esigenze, l’offerta e la qualità di questa. Il risultato<br />
sarà tanto migliore quanto più riusciremo a superare posizioni<br />
rigide. Ciò potrà consentire, oltre che la semplificazione interna,<br />
la riduzione dei costi organizzativi a tutto beneficio dei<br />
bilanci delle attività e delle nostre Sezioni. E ancora, riferendomi<br />
all’intervento, sempre al Congresso di Predazzo, di Luigi<br />
Gaido ritengo che in questa fase, in accordo con quanto da<br />
lui sostenuto, sia importante prima che il comunicare verso<br />
l’esterno, l’individuare quali siano oggi le nostre idee e i nostri<br />
valori, per evitare il pericolo che si scivoli verso un Sodalizio<br />
dai segnali deboli. In sostanza la nostra associazione risponde<br />
alle aspettative e alle sollecitazioni odierne della collettività?<br />
Perciò, è sempre più opportuno che il CAI si assuma le proprie<br />
responsabilità come istituzione culturale. Solo così si potrà riaffermare<br />
l’autorevolezza verso l’esterno, che significa originalità<br />
nella nostra proposta culturale. Quindi nuovi orizzonti,<br />
seppure nella nostra ultrasecolare tradizione, senza storcere il<br />
naso di fronte alle suggestioni che provengono dall’esterno, e<br />
che talora in alcuni ambiti di pensiero conservatore possono<br />
sembrare sacrileghe. Dobbiamo tuttavia fare i conti anche con<br />
una cultura mediatica che da una parte svilisce e banalizza la<br />
montagna e dall’altra la criminalizza: perciò si tratta di fare<br />
una controinformazione basata su quei valori apparentemente<br />
controcorrente, ma che stanno ottenendo consensi sempre<br />
crescenti anche tra i giovani. Ciò significa, ad esempio, una<br />
partecipazione alle istanze del mondo giovanile, formata da<br />
una pratica di “comunicazione primaria” realizzata all’inter-<br />
4 | 2010 95<br />
no dei nostri organismi preposti alla produzione della nostra<br />
cultura, quindi il CAI come “laboratorio di ricerca”. Dobbiamo<br />
proseguire sulla via iniziata. L’editoriale del Direttore del CAI,<br />
pubblicato sulla nostra Rivista di marzo/aprile mi dà lo spunto<br />
per una riflessione su quelle che potrebbero essere modifiche<br />
del nostro assetto giuridico in funzione di una riorganizzazione<br />
interna della struttura. Innanzitutto va reso merito ad<br />
Annibale per la “fatica di Sisifo” di cui si è fatto carico e che gli<br />
ha richiesto un grande dispendio di energie, ma che ha consentito<br />
di superare il delicato frangente determinato dalla Legge<br />
6 <strong>agosto</strong> 2008 n.133 Art. 26 (Taglia-enti). Ma “Sisifo” non ha<br />
concluso la sua “fatica”: resta improrogabile il chiarimento, da<br />
parte dell’organo di vigilanza, per un definitivo riconoscimento<br />
del CAI, del ruolo dallo stesso svolto a favore della società<br />
civile del paese negli oramai quasi centocinquant’anni di vita.<br />
Circa il possibile futuro assetto ritengo si debba superare l’antinomìa<br />
pubblico/privato, prendendo in considerazione, previo<br />
i doverosi accertamenti di compatibilità giuridica, di un CAI<br />
articolato in diversi ambiti come connettore tra Ente pubblico<br />
non economico, azienda non profit e azienda profit. È quindi<br />
un’associazione nazionale a più settori, che usufruisce di finanziamenti<br />
pubblici/privati, laddove all’azienda non profit spetta<br />
la fase progettuale culturale e di formazione e a quella profit<br />
la base di erogazione di servizi e comunicazione. Tale configurazione<br />
agevolerebbe anche il superamento dell’accentramento<br />
decisionale in un unico luogo, rendendolo più rapido e agile,<br />
distribuendole su un livello istituzionale centrale, uno sociale<br />
territoriale e infine uno individuale operativo. Per concludere,<br />
il modus operandi per trasferire la nostra cultura e la nostra<br />
etica all’esterno nella collettività ci deve essere suggerito da ciò<br />
che è il CAI stesso, cioè dal legame tra l’istituzione nazionale<br />
e i suoi associati, come prodotto o dimensione collettiva delle<br />
identità locali, famigliari, o di semplice fruizione di servizi.<br />
Tali infatti sono i legami di appartenenza, o identificazione, del<br />
socio inteso come individuo sociale, con l’associazione. Vi è<br />
quindi una appartenenza istituzionale, nella condivisione degli<br />
scopi e dei valori, una territoriale tramite la Sezione e la “montagna<br />
di casa”, una famigliare, tramite l’azione educativa e la<br />
tradizione di famiglia, una funzionale, in quanto i servizi sono<br />
utili al raggiungimento degli scopi. Questo è ciò che fa sentire<br />
i soci parte nell’identità istituzionale. E questo è il messaggio<br />
che dovremmo far passare nella società, per quanto ci compete,<br />
facendo sì che, nel cento-cinquantenario dell’Unità d’Italia, e<br />
a pochi anni da quello del CAI, che sin dagli inizi ha operato<br />
stabilendo un legame profondo fra la propria storia e quella<br />
nazionale unitaria, gli italiani si sentano affratellati anche nel<br />
nome della montagna. Il raggiungimento di tali obiettivi potrà<br />
avvenire solo con il coinvolgimento più ampio e convinto di<br />
tutte le nostre strutture a tutti i livelli.<br />
Il grazie più sincero va quindi a quanti hanno consentito e<br />
consentono, con la loro costante dedizione, il funzionamento<br />
di Sezioni, Organi tecnici ed intero Sodalizio.<br />
Un augurio: l’amicizia trovata all’interno del Sodalizio possa<br />
ripagare in soddisfazione le fatiche di tutti.<br />
Umberto Martini<br />
Presidente Generale del <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong>