luglio agosto - Club Alpino Italiano
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» scienza e montagna<br />
A cura di jacopo pasotti<br />
A proposito di vulcani<br />
Trent’anni fa "esplodeva" il monte St. Helens in America; confronto<br />
con il vulcano che oggi fa tanto parlare in Europa<br />
era il 18 maggio del 1980<br />
quando una nube ardente<br />
di lava e gas spazzò via la<br />
vegetazione e la fauna e ridusse<br />
in sterile deserto 600 chilometri<br />
quadrati (il lago di Garda ed il<br />
lago Maggiore messi insieme)<br />
di boschi e praterie. un fiume di<br />
detriti roventi, circa 3 chilometri<br />
cubi di pomici e ceneri vulcaniche<br />
coprirono come un tappeto,<br />
case, scuole, aeroporti. tanto<br />
che l’anno dopo il territorio era<br />
ancora nient’altro che polvere<br />
e pietre. “l’intero mondo conosciuto<br />
a colori, ora appariva grigio”,<br />
rievoca tom hinkley biologo<br />
forestale della università di<br />
Washington. ora l’università (il<br />
vulcano giace nello stato di Washington)<br />
ha chiesto ai suoi spe-<br />
1<br />
cialisti di mostrare al pubblico il<br />
risultato di tanti anni di studio<br />
sulla eruzione del Monte St. helens<br />
per celebrare il trentennio.<br />
Gli scienziati incontreranno il<br />
pubblico statunitense per spiegare<br />
cosa succede alla vita dopo<br />
un disastro naturale di quelle<br />
proporzioni.<br />
l’esplosione del vulcano fu anticipata<br />
da movimenti e tremori<br />
del terreno. Malgrado ciò<br />
l’eruzione provocò 57 vittime, la<br />
distruzione di 250 abitazioni, e<br />
180 chilometri di strade. l’intera<br />
cima della montagna venne<br />
lanciata fino nella stratosfera<br />
sollevando una nube densa, tra<br />
fulmini e continue esplosioni. lo<br />
stratovulcano, un colosso quiescente<br />
di 2950 metri di altitudi-<br />
1» La vita ritorna. Oggi il territorio<br />
del Monte St. Helens è un parco<br />
naturale protetto. Foto©Università di<br />
Washington // 2» La densa nube di<br />
vapore e ceneri che accompagnava<br />
l'eruzione del 1980. Foto©USGS<br />
ne, fu in un istante decapitato,<br />
ed ora forma una caldera a ferro<br />
di cavallo di 2550 metri. così,<br />
mentre il vulcano Eyjafjallajokull<br />
continua a far parlare di sé<br />
ed entra di forza nella storia europea,<br />
oltre l’Atlantico il monte<br />
St. helens è un esempio di come<br />
un evento naturale importante<br />
rimanga tenacemente inciso<br />
nella memoria di un paese.<br />
ho chiesto ad alcuni ricercatori<br />
americani di ricordare cosa accadde<br />
e quali studi sono stati<br />
fatti per capire come si riprende<br />
un territorio che ha subito<br />
una eruzione vulcanica. john<br />
Edwards, professore emerito<br />
di biologia, è stato tra i primi<br />
a visitare il sito dopo l’eruzione.<br />
“ciò che ci colpì fu la zona<br />
prossima al vulcano, dove ogni<br />
pianta ed animale furono uccisi<br />
dall’onda d’urto della eruzione”,<br />
dice. “Gli insetti ed i ragni<br />
mostrarono le loro incredibili<br />
doti evolutive, i terreni detritici<br />
vulcanici vennero colonizzati da<br />
una armata di ragni paracadutisti<br />
che in quei terreni trovarono<br />
la mecca”. Molte specie di ragni,<br />
infatti, colonizzano nuovi territori<br />
trasportati dal vento, appesi<br />
a fili di seta prodotti da loro<br />
stessi. Alcuni individui giungevano<br />
da foreste e zone agricole<br />
distanti almeno 50 chilometri<br />
4 | 2010 86<br />
dal vulcano. “Piovono ragni!<br />
dicevamo scherzando tra noi”,<br />
ricorda Edwards, “ne atterravano<br />
al ritmo di uno al giorno per<br />
ogni metro quadro. Anche gli<br />
insetti che non sopravvivevano<br />
avevano un ruolo importante,<br />
trasformandosi in cibo o compost.<br />
In una estate produssero<br />
quasi un etto di biomassa, necessario<br />
per fare crescere i primi<br />
vegetali.”<br />
Più lontano, nelle aree coperte<br />
dalle ceneri le cose andarono<br />
diversamente. un duro colpo<br />
lo subirono gli abeti adulti,<br />
mentre i più giovani riuscirono<br />
a riprendersi. “nella zona<br />
raggiunta dall’onda d’urto, gli<br />
alberi vennero tutti abbattuti”,<br />
spiega hinkley. “Più oltre, invece,<br />
gli alberi furono coperti di<br />
polveri che rimasero appiccicate<br />
per anni alle foglie (gli “aghi”)<br />
schermando la luce del sole<br />
neccessaria per la fotosintesi.<br />
Gli abeti giovani però producono<br />
annualmente, in percentuale,<br />
un numero maggiore di<br />
foglie rispetto agli alberi adulti.<br />
Giunta l’estate riuscirono quindi<br />
a compensare le foglie ricoperte<br />
di cenere aumentando la produzione<br />
di nuovo fogliame. Gli<br />
abeti adulti non riuscirono in<br />
questo e perirono a migliaia.”<br />
All’inizio, secondo hinkley ed i