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luglio agosto - Club Alpino Italiano

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» PuNTI DI VISTA<br />

In primo luogo: qualsiasi cima va relativizzata nel tempo, non<br />

solo per i differenti suoi assetti metamorfici (in dipendenza,<br />

ad es., di formazioni di ghiaccio, di crolli di roccia, ecc.), ma<br />

anche per le differenti culture e tecniche di differenti epoche<br />

dell’“alpinismo”.<br />

Il Cerro Torre del 2005 e del 2008, di Ermanno Salvaterra, di<br />

Rolando Garibotti, di Alessandro Beltrami, di Colin Haley, non<br />

è quello del 1959 di Cesare Maestri e Toni Egger, né quello del<br />

1970 di Cesare Maestri.<br />

In secondo luogo: le “possibilità” alpinistiche con riguardo<br />

ad una vetta variano nel tempo. Varia, pertanto, la “misura”<br />

di esse: quale si può mettere a punto solo per “tentativi” (è<br />

qui la radice dell’importanza del saper “tentare” ciò che pare<br />

“impossibile”).<br />

Il cerro Torre giudicato “impossibile” al tempo di Lionel Terray<br />

è oggi “possibile”, ancorché “estremo”.<br />

Così stando le cose, se ne cavano due importanti conclusioni:<br />

prima, le misure dell’“impossibile” sono storiche, e diventano<br />

un criterio per giudicare la concreta “fattibilità” di una cima in<br />

una data epoca (così ciò che è “storicamente” impossibile per<br />

il Cerro Torre del 1959 non è la montagna in sé, ma il modo<br />

con cui Maestri pretende di essere salito); seconda, lo storico è<br />

irresistibilmente attratto dalla ricerca critica della “documentazione”<br />

di tali “possibilità” di fronte alle sfide di fatti che si<br />

prospettano come possibilità immaginate, ma non documentate<br />

(come nel caso di Mallory all’Everest nel 1924 o di Cesen nel<br />

1990 al Lhotse).<br />

In terzo luogo: le vette più rilevanti come sfide nel gioco della<br />

ricerca del “possibile” nell’“impossibile” si trovano, da un punto<br />

di vista “alpinistico”, ad “avere un passato”, fatto anche di<br />

tentativi falliti, tanto più “grandi” nel loro significato, quanto<br />

più capaci di aprire nuovi orizzonti di ricerca di superamenti<br />

del limite (ogni volta “storicamente” diversi). In questo senso<br />

è importante il riconoscimento che Messner fa dell’importanza<br />

del “tentativo” di Maestri-Egger al Cerro Torre nel 1959.<br />

Ogni alpinista, che sia capace di confrontarsi con il mistero<br />

dell’“ignoto” o dell’“estremo”, sa valersi anche della ricostruzione<br />

“storica” di quel passato delle vette che è costituito dalle<br />

vie, tentate o riuscite, dei “precursori” e di cui si compone il<br />

significato “alpinistico” di una vetta. Di qui segue l’importanza<br />

della storia per fare alpinismo.<br />

Punto terzo: un aspetto cruciale della ricerca “storica”, quando<br />

di un fatto in questione non si hanno “documentazioni” che<br />

prescindano dal racconto di un singolo sopravvissuto, è quello<br />

che consiste nel riscontrare quel “racconto” con la realtà della<br />

montagna, per controllarne la coerenza con l’assetto dei luoghi,<br />

con quello delle attrezzature, ecc.<br />

In tale esame accade talvolta che la stessa versione dei presunti<br />

fatti, quale data da chi se ne propone come protagonista, diventi,<br />

essa stessa, la sua più decisiva smentita (così è accaduto<br />

anche nel “caso” più sopra ricordato del K2).<br />

È, questo, un aspetto “storico” non meno rilevante di altre questioni<br />

critiche, attinenti aspetti tecno-alpinistici che presentano<br />

più o meno evidenti “illogicità”.<br />

Con tali questioni “storiche” si intrecciano nel libro di Messner<br />

anche precise questioni “filosofiche”, propriamente di “filosofia”<br />

dell’alpinismo.<br />

Primo, cos’è una via di salita? Intenderla come un’“opera<br />

4 | 2010 62<br />

d’arte” è una delle modalità fondamentali per portare “rispetto”<br />

alla montagna, rifiutando qualsiasi pretesa di “conquista”<br />

e sostituendo, per contro, ad essa l’intento di realizzare un’“interpretazione”<br />

della parete rocciosa come una via da percorrere<br />

nel gioco di tentare di rendere possibile l’impossibile, in un<br />

confronto principalmente con sé stessi, con le proprie risorse<br />

vitali, spesso ignote o dimenticate, con la ricerca di un proprio<br />

“stile”, con la propria capacità di “reinventarsi” attraverso l’avventura<br />

nella natura.<br />

Non ci sono vincoli alla libertà di immaginare un’arrampicata,<br />

come accade in arte; ma c’è una radicale differenza: l’arte è<br />

auto-sufficiente con l’immagine, l’idea di un’arrampicata va,<br />

invece, confrontata con un concreto tentativo di realizzazione<br />

“a tu per tu” con la montagna.<br />

Secondo, quale è l’approccio adeguato a “interpretare” la sfida<br />

alla salita?<br />

La risposta è inequivocabile: è decisivo portare “rispetto” alla<br />

montagna; è decisivo escludere ogni pretesa di “conquista”,<br />

ogni “volontà di vittoria”, anche perché con esse svanisce il<br />

mistero.<br />

Di qui segue l’importanza del tentativo anche senza il raggiungimento<br />

(purché sia coltivato con una “speranza” capace di<br />

serietà di studio della sua concreta realizzabilità).<br />

Terzo, quale “etica” si richiede in coerenza con tale concezione<br />

dell’“alpinismo”?<br />

Non si può pretendere di imporre ad altri un’etica che sia staccata<br />

dalla diversa storia di ciascuno: tuttavia occorre, quanto<br />

meno, che chi per propria libertà sceglie una propria maniera di<br />

“scalare”, non cerchi poi di farla passare per un’azione ispirata<br />

all’“amore” alla montagna, se non ha le “carte in regola” del<br />

“rispetto” della montagna.<br />

Occorre non fare “idealismo” delle proprie ambizioni di successo.<br />

Occorre assumersi responsabilità nel proprio modo di agire.<br />

Di qui segue anche che, per coerenza con l’idea del “rispetto”,<br />

occorre far propria la scelta di “salire” “by fair means”.<br />

Tali aspetti “filosofici” ed anche “etici” si ritrovano palpitanti<br />

“al vivo” in tutte le pagine del libro di Messner: scritto con un<br />

ritmo che ricorda quello del suo passo, rapido, deciso, sicuro.<br />

Sono, questi, alcuni dei punti salienti di questo mirabile libro di<br />

Messner che credo di grande importanza per la cultura dell’“alpinismo”<br />

di cui il CAI deve farsi promotore e custode.<br />

Non tralascio, infine, di segnalare che alla figura d’alpinista di<br />

Toni Egger, una sorta di incarnazione della passione, vissuta<br />

nella sua concretezza attraverso la realizzazione di avventure<br />

“al limite”, senza “idealizzazioni” né “eroicizzazioni”, Messner<br />

dedica alcune agili, puntuali ed efficaci pagine di storia, ponendo<br />

in risalto alcune delle sue più importanti salite (come<br />

quella allo Jirishanca, in Perù, nel 1957, una montagna la cui<br />

immagine stessa è al limite della fantasticità).<br />

Mirabile anche la rievocazione della personalità di Toni Egger<br />

quale ricostruita anche attraverso la testimonianza di Lore<br />

Stötter, che condivise con lui anche alcune arrampicate: una<br />

fila di ricordi che risalgono fino a quando il giovane Toni faceva<br />

il boscaiolo in Tirolo, in Baviera, in Svizzera.<br />

Così Messner rende l’ossequio della storia a Toni Egger, che<br />

era stato ingiustamente per lo più dimenticato. Anche questo<br />

è un pregio prezioso del libro, che, appunto, a Toni Egger è<br />

dedicato. «

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