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Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 33<br />
addormentava sera dopo sera, annoiato dalla tivù e svuotato da ogni<br />
pensiero.<br />
Dopo mesi di buoni propositi e tentativi precocemente naufragati decise<br />
che era meglio un’inut<strong>il</strong>e mezz’ora in giro per le strade <strong>del</strong> quartiere<br />
piuttosto che Bruno Vespa o Maria De F<strong>il</strong>ippi. Aria fresca, non importa se<br />
dal puzzo irrespirab<strong>il</strong>e, piuttosto che <strong>il</strong> tepore <strong>del</strong> suo riscaldamento<br />
centralizzato. Prese dunque a camminare senza meta per intere settimane,<br />
quando una sera, colto di sorpresa dalla grandine, non ebbe altra scelta che<br />
rifugiarsi all’interno <strong>del</strong> centro sportivo vicino al comune. A quell’ora la<br />
struttura era di dominio dei soli amanti <strong>del</strong>la pedata: i più romantici nel<br />
sempreverde campo a 11, gli appassionati nel campo a 7 e gli uomini che<br />
fingono ancora di essere ragazzini nella tensostruttura che <strong>del</strong>imita <strong>il</strong><br />
campo a 5. Volti diversi ogni sera, fino a che non iniziò a prendere<br />
dimestichezza con i colori <strong>del</strong>le maglie e con dettagli che richiamavano<br />
alla sua mente un gol particolarmente bello o un litigio per fut<strong>il</strong>i motivi.<br />
Iniziò a ricordare orari <strong>del</strong>le partite e giorni di solo allenamento e arrivò a<br />
selezionare i campi e i momenti che più parevano promettergli emozioni.<br />
Chiamalo caso oppure solo empatia, si trovò a non perdere nessuna <strong>del</strong>le<br />
partite di quella squadra che vestiva un completo rosso e blu. Una squadra<br />
di cui non conosceva <strong>il</strong> nome, ma che importanza aveva, <strong>il</strong> nome, per<br />
quell’uomo senza nome?<br />
Combattevano i ragazzi sul campo in erba sintetica e col cuore riuscivano<br />
sempre a sopperire agli evidenti limiti tecnici che tutto potevano far<br />
pensare tranne che loro fossero la capolista <strong>del</strong> girone. Combattevano e<br />
spesso discutevano animatamente con quell’omino sm<strong>il</strong>zo copia sputata di<br />
Caparezza, ma si abbracciavano felici in mezzo al campo alla fine di ogni<br />
partita.<br />
Tenendosi sempre a debita distanza, ma abbastanza vicino per ben<br />
intendere, quello che prima era l’uomo col cane e che adesso è quel tizio<br />
che è sempre appoggiato sulla porta a vedere le nostre partite riuscì a<br />
sapere <strong>del</strong> prossimo, imminente appuntamento: i quarti di finale. Ai quali<br />
non volle mancare.<br />
Giovedì 23 marzo 2006, ore ventidue. L’arbitro fischia e non passano due<br />
minuti che <strong>il</strong> biondino numero 4 ha già propiziato un gol e segnatone un<br />
altro. La partita inizia come meglio non potrebbe.<br />
I rossi, come d’abitudine, sono chiusi in difesa nella speranza che <strong>il</strong> loro<br />
capitano, la punta col numero 7, riesca a bruciare sullo scatto <strong>il</strong> centrale