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Andrea Lo Faro - il blog del Lofa

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80 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

tranne che di provare pietà. Gli sconosciuti che accorrono richiamati dal<br />

tuo dramma. Ti senti soffocare. Preghi nella speranza di risvegliarti sotto<br />

le lenzuola <strong>del</strong> tuo letto. Ma non ti sei mai addormentato.<br />

Arriva l’ambulanza e non appena Marina viene distesa sulla lettiga,<br />

Franco crolla. Chiude gli occhi per l’ultima volta. Non riuscirà più a farlo<br />

nelle tre settimane a venire.<br />

In una quindicina di giorni l’ematoma si riassorbe e i medici risvegliano la<br />

bambina dal coma farmacologico nel quale era stata mantenuta per<br />

preservarne le residue capacità cerebrali. Cosa ne sarà di lei? Sopravvivrà,<br />

innanzitutto? Se sì, ritornerà ad avere una vita normale oppure, come più<br />

volte paventato, rimarrà paralizzata? I pensieri si accavallano e ogni<br />

giorno nasce una nuova preoccupazione. Marina reagisce però bene e<br />

dopo due mesi di costante miglioramento i medici ne autorizzano le<br />

dimissioni. Il tempo e la forza di volontà faranno <strong>il</strong> resto. Gli ultimi esami<br />

e poi un’ultima notte in ospedale. Il risveglio nel buio di una luminosa<br />

giornata di sole. La cecità, figlia di un’infezione che insorge improvvisa.<br />

La morte nel volgere di un tramonto e un alba.<br />

Franco sente di non essere in grado di superare <strong>il</strong> castigo che gli è stato<br />

riservato dalla sorte: non mangia, non dorme, non va più a lavorare. Passa<br />

giorno e notte camminando in giro per la città, non torna più a casa, non è<br />

nelle condizioni di realizzare che, così facendo, accresce ulteriormente <strong>il</strong><br />

dolore <strong>del</strong>la moglie e <strong>del</strong>la figlia maggiore. Franco si sta lasciando<br />

trascinare dalla disperazione. Franco non trova un solo valido motivo per<br />

sopravvivere alla sofferenza.<br />

In un momento di rara lucidità prova <strong>il</strong> suicidio lanciandosi dal tetto <strong>del</strong><br />

primo stab<strong>il</strong>e che incontra sulla propria strada dopo aver litigato per una<br />

panchina di cui arrogava irragionevolmente la proprietà, ma a pochi metri<br />

dal suolo <strong>il</strong> suo corpo rimbalza sulle corde <strong>del</strong>lo stendibiancheria <strong>del</strong><br />

primo piano e, attutito l’impatto, lo schianto gli procura solo alcune<br />

fratture. Il ricovero in ospedale serve giusto per restituirgli qualche ch<strong>il</strong>o,<br />

non certo la sanità mentale. Riprende a vagabondare, a frugare nei cestini<br />

alla ricerca di croste di pizza e bibite avanzate, a dormire dove più gli<br />

aggrada. Viene alle mani con altri barboni per un pezzo di cartone, prende<br />

calci pugni e bastonate da chi non lo vuole vedere seduto davanti alle<br />

vetrine <strong>del</strong> proprio negozio, diventa s<strong>il</strong>enziofobico.

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