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Andrea Lo Faro - il blog del Lofa

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86 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Il ragazzo si voltò verso gli amici e fece capire loro che <strong>il</strong> pazzo non<br />

voleva saperne. «Cazzi tuoi» fu la risposta che si sentì rivolgere in coro.<br />

«O torni con la palla o non giochi più» aggiunse qualcuno.<br />

«Ascolta Franco» Mauro non sapeva proprio cosa inventarsi «noi<br />

giochiamo e tu…» all’improvviso la frase gli venne fuori così, spontanea,<br />

senza neanche pensarla davvero «e tu… e tu fai l’arbitro, ti va?». Franco<br />

ebbe un sussulto. «L’arbitro?». Aggrottò per qualche secondo le<br />

sopracciglia e poi, soddisfatto <strong>del</strong>l’inattesa conquista, esplose in un sorriso<br />

raggiante, ingenuo e allo stesso tempo scaltro. Era la prima volta che non<br />

minacciavano di prenderlo a sassate se non avesse restituito loro <strong>il</strong> pallone.<br />

Si girò e senza dir nulla abbassò la parete basculante <strong>del</strong> chiosco. Era<br />

pronto. Mauro riprese la stradina che l’avrebbe riportato agli amici, attento<br />

a non pestare le merde di cane che farcivano i pochi ciuffi d’erba<br />

sopravvissuti al gelo. Franco dietro di lui, <strong>il</strong> pallone saldamente stretto al<br />

petto e la volontà di consegnarlo solo dopo aver comandato la ripresa <strong>del</strong><br />

gioco. Scoppiarono tutti a ridere nel sentire dalla viva voce di Mauro <strong>il</strong><br />

compromesso a cui era giunto per riavere <strong>il</strong> pallone, tuttavia da quel<br />

giorno Franco divenne l’arbitro <strong>del</strong>le partite che la piazza ospitava. Senza<br />

eccezioni, se non quando erano i più grandi a sfidarsi. Non sempre – a dire<br />

<strong>il</strong> vero quasi mai - le sue decisioni venivano accettate come si converrebbe<br />

di fronte all’autorità <strong>del</strong> direttore di gara, ma la sua presenza era<br />

comunque divertente, specie se ubriaco. Con quella radiolina<br />

perennemente attaccata all’orecchio destro e, nella mano libera, un<br />

fischietto a sancirne <strong>il</strong> sommo potere.<br />

Prese ad appassionarsi al calcio, uno sport che non lo aveva granché<br />

entusiasmato neanche in gioventù e, uditi gli otto rintocchi nel giorno in<br />

cui le campane <strong>del</strong>la chiesa si sostituivano alla sirene dalla Borletti, si<br />

metteva in marcia verso <strong>il</strong> campo a undici dall’altra parte <strong>del</strong>la<br />

circonvallazione, dove passava l’intera domenica in un susseguirsi di<br />

partite la cui unica costante era la maglia arancione di una <strong>del</strong>le due<br />

squadre. Seduto sempre in disparte, studiava minuziosamente <strong>il</strong><br />

comportamento degli arbitri e cercava di carpirne i segreti. Memorizzava i<br />

gesti e ne cercava di imitare le movenze. Li aspettava all’uscita dal campo<br />

e, dopo una pacca sulla spalla, rivolgeva loro sempre la stessa frase. Bella<br />

direzione di gara, collega, complimenti.

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