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Andrea Lo Faro - il blog del Lofa

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Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 47<br />

Sedici<br />

<strong>del</strong> figlio <strong>del</strong> boss<br />

Non provò neppure ad addormentarsi: l’adrenalina che di volta in volta<br />

aveva trasudato nello scavalcare i cancelli di San Siro erano gocce di<br />

impalpab<strong>il</strong>e rugiada se confrontate all’esondazione nervosa che stava<br />

vivendo in quei precisi attimi. Le gambe, come argini divelti dalla furia<br />

<strong>del</strong>la natura, gli tremavano ancora. Impossib<strong>il</strong>e quindi prendere sonno,<br />

anche se dormire era la cosa di cui <strong>il</strong> suo corpo aveva più bisogno. Andò<br />

in bagno, chiuse a chiave per paura di ulteriori sorprese e si fece una<br />

doccia. Pensava a quello che gli era appena successo e si diceva che se<br />

anche quei tre mesi di Calabria si fossero consumati senza nessun’altra<br />

emozione, beh, qualcosa da raccontare ai suoi amici l’avrebbe comunque<br />

avuta. Non immaginava certo che la sua prima volta con una donna si<br />

potesse consumare proprio in quel modo, ma non è mai stato un cultore<br />

<strong>del</strong>la forma. Aveva scopato, finalmente. E questo era ciò che più contava.<br />

Quando riaprì la porta, fasciato da un asciugamano che avvolgeva una<br />

trentina di centimetri tra torso e cosce, si trovò di fronte un ragazzo. Non<br />

molto alto e pure piuttosto tarchiato; con una bottiglia di birra da tre quarti<br />

in mano, tenuta per <strong>il</strong> collo e nascosta non proprio così bene dietro la<br />

schiena.<br />

«E tu che cazzo ci fai qua dentro?».<br />

Dante gli porse lentamente una mano, in maniera molto cordiale. Con<br />

l’altra teneva l’asciugamano affrancato al corpo ancora bagnato. Quello<br />

doveva essere <strong>il</strong> figlio <strong>del</strong> boss. «Ciao, mi chiamo Dante». Non sapeva<br />

come spiegargli <strong>del</strong> ritardo <strong>del</strong> suo arrivo e <strong>del</strong>l’offerta d’ospitalità <strong>del</strong>la<br />

ragazza <strong>del</strong> motorino. Rimase sul vago. «Mi hanno sistemato qui, per<br />

stanotte».<br />

«Ma come parli? Di dove sei?».<br />

«Sono di M<strong>il</strong>ano».<br />

«Sei venuto qui in vacanza o cosa?».<br />

«No, sono venuto qui per lavorare. Al bar».<br />

«Ah, ho capito». L’espressione <strong>del</strong> volto <strong>del</strong> giovane cambiò<br />

repentinamente. «Tu sei <strong>il</strong> m<strong>il</strong>anese di cui mi ha parlato Germano».<br />

«Esatto, sono proprio io».<br />

Gli allungò la mano. «Ciao, io mi chiamo Pasquale. Lavoro anch’io al<br />

bar». Appoggiò la bottiglia per terra. «Chi è che ti ha detto di venire a<br />

dormire qui?».

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