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Anche Maradona ha sbagliato un calcio di rigore 47<br />
Sedici<br />
<strong>del</strong> figlio <strong>del</strong> boss<br />
Non provò neppure ad addormentarsi: l’adrenalina che di volta in volta<br />
aveva trasudato nello scavalcare i cancelli di San Siro erano gocce di<br />
impalpab<strong>il</strong>e rugiada se confrontate all’esondazione nervosa che stava<br />
vivendo in quei precisi attimi. Le gambe, come argini divelti dalla furia<br />
<strong>del</strong>la natura, gli tremavano ancora. Impossib<strong>il</strong>e quindi prendere sonno,<br />
anche se dormire era la cosa di cui <strong>il</strong> suo corpo aveva più bisogno. Andò<br />
in bagno, chiuse a chiave per paura di ulteriori sorprese e si fece una<br />
doccia. Pensava a quello che gli era appena successo e si diceva che se<br />
anche quei tre mesi di Calabria si fossero consumati senza nessun’altra<br />
emozione, beh, qualcosa da raccontare ai suoi amici l’avrebbe comunque<br />
avuta. Non immaginava certo che la sua prima volta con una donna si<br />
potesse consumare proprio in quel modo, ma non è mai stato un cultore<br />
<strong>del</strong>la forma. Aveva scopato, finalmente. E questo era ciò che più contava.<br />
Quando riaprì la porta, fasciato da un asciugamano che avvolgeva una<br />
trentina di centimetri tra torso e cosce, si trovò di fronte un ragazzo. Non<br />
molto alto e pure piuttosto tarchiato; con una bottiglia di birra da tre quarti<br />
in mano, tenuta per <strong>il</strong> collo e nascosta non proprio così bene dietro la<br />
schiena.<br />
«E tu che cazzo ci fai qua dentro?».<br />
Dante gli porse lentamente una mano, in maniera molto cordiale. Con<br />
l’altra teneva l’asciugamano affrancato al corpo ancora bagnato. Quello<br />
doveva essere <strong>il</strong> figlio <strong>del</strong> boss. «Ciao, mi chiamo Dante». Non sapeva<br />
come spiegargli <strong>del</strong> ritardo <strong>del</strong> suo arrivo e <strong>del</strong>l’offerta d’ospitalità <strong>del</strong>la<br />
ragazza <strong>del</strong> motorino. Rimase sul vago. «Mi hanno sistemato qui, per<br />
stanotte».<br />
«Ma come parli? Di dove sei?».<br />
«Sono di M<strong>il</strong>ano».<br />
«Sei venuto qui in vacanza o cosa?».<br />
«No, sono venuto qui per lavorare. Al bar».<br />
«Ah, ho capito». L’espressione <strong>del</strong> volto <strong>del</strong> giovane cambiò<br />
repentinamente. «Tu sei <strong>il</strong> m<strong>il</strong>anese di cui mi ha parlato Germano».<br />
«Esatto, sono proprio io».<br />
Gli allungò la mano. «Ciao, io mi chiamo Pasquale. Lavoro anch’io al<br />
bar». Appoggiò la bottiglia per terra. «Chi è che ti ha detto di venire a<br />
dormire qui?».