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Andrea Lo Faro - il blog del Lofa

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74 <strong>Andrea</strong> <strong>Lo</strong> <strong>Faro</strong><br />

Giacomo, Egidio, Claudio, Alfredo, Federico, Mauro, Dante, Sergio e<br />

Masco hanno risposto alla chiamata di Lino Cavenaghi e <strong>il</strong> 9 novembre si<br />

sono fatti trovare puntuali in piazza. Davanti al bar, insieme a qualche<br />

decina, forse un centinaio, di persone. Tra cui Franco, <strong>il</strong> padre di Marina,<br />

letteralmente irriconoscib<strong>il</strong>e rispetto agli ultimi giorni che passò tra le<br />

lamiere <strong>del</strong> chiosco prima di riprendersi dallo shock <strong>del</strong>la tragedia. Una<br />

cicatrice sulla nuca è tutto ciò che gli rimane di quel paio d’anni di deriva,<br />

almeno all’apparenza.<br />

Gli abbracci, le strette di mano, i tanti ch<strong>il</strong>i, i pochi capelli. Le mogli, i<br />

figli e le domande sugli amici di un tempo che Lino non è riuscito a<br />

rintracciare. La cerimonia, le autorità e poi i tavolini <strong>del</strong> bar che non<br />

riconoscono più come <strong>il</strong> posto in cui avevano passato gran parte <strong>del</strong>la loro<br />

adolescenza. Tante parole e i racconti di tante vite. Poi, quando <strong>il</strong><br />

momento dei saluti sembrava giunto, Federico propone agli amici di<br />

partecipare a un torneo di calcio a 5 di cui lui è organizzatore. «Dai<br />

ragazzi, mi manca una squadra e non so proprio dove sbattere la testa.<br />

Sono sette partite, una alla settimana per meno di due mesi. Giochiamo<br />

tardi, anche alle dieci se non riuscite a liberarvi prima. Il calendario lo<br />

gestisco io e posso venire incontro a qualsiasi necessità».<br />

Si fecero tutti pregare. Alcuni anche troppo, specie Giacomo. Ciò<br />

nonostante, Federico riuscì a comporre la squadra. Una squadra che non<br />

poteva avere nessuna velleità, ma la loro squadra. Ognuno col proprio<br />

ruolo, un po’ come accadeva una ventina d’anni prima quando si<br />

incontravano per andare a giocare a Trenno la domenica mattina. Vestiti di<br />

una maglia rigorosamente rossoblu.<br />

«Hai già pensato anche al nome?» chiese qualcuno nell’eccitazione <strong>del</strong><br />

momento.<br />

«Ovviamente» rispose Federico. «O meglio: nel nome vorrei che fossero<br />

essere presenti una “M” e una “V”. E non c’è bisogno che vi dica a cosa<br />

quelle due lettere fanno riferimento. Se non riusciamo a trovare qualcosa<br />

che ci piaccia, beh, <strong>il</strong> nostro nome potrebbe essere MV». Fece una pausa.<br />

«Eh? Che ne dite?».<br />

Nessuno ebbe nulla da obiettare: MV oppure una parola composta<br />

contenente le due lettere. «Mine Vaganti» fece Giacomo, rompendo <strong>il</strong><br />

s<strong>il</strong>enzio in cui si era isolato da qualche minuto. «Mine Vaganti» dissero<br />

tutti, alzando in un brindisi quel che restava nei loro bicchieri.

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