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individuo e insurrezione - Autistici

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Carmine Mangone<br />

da parte del singolo. Questa valorizzazione, questa consapevolezza<br />

delle qualità che si sanno proprie, porta l'uomo a rendersi<br />

in qualche modo “unicista” e a eludere l'idea storica che presuppone<br />

il mondo di pensieri che lo circonda, godendo così<br />

personalmente della propria naturalità.<br />

Con tutto questo, continuo a conservare dell'unicità una sensazione<br />

per niente riducibile al suo concetto: una sensazione<br />

come di pienezza, di soddisfazione, di validità nell'essere del<br />

singolo in un “certo” modo. In un modo che può essere il mio, il<br />

tuo, il suo, ma non il “nostro”; un modo che è fatto per unire<br />

alcuni uomini nell'affinità dei loro egoismi organici - e non certo<br />

per gestire la propria o l'altrui mediocrità.<br />

L'unicità è la qualità individuale di quel singolo che rende se<br />

stesso in ogni cosa che fa o che si propone. Unicità, dunque,<br />

come senso di pienezza e d'ineffabile godimento dei propri rapporti<br />

con il mondo circostante.<br />

L'esistenza non è soltanto un vuoto tormentato", scriveva Georges<br />

Bataille, e nemmeno un continuo mancare a se stessi, aggiungo<br />

io - se solo s'intuisse in modo positivo la possibile e luminosa<br />

sufficienza di quell'<strong>individuo</strong> che apre al mondo con il<br />

suo sorriso migliore. Questa apertura, questa piena partecipazione<br />

a ciò che si ritiene interessante attraverso l'esclusione<br />

di ciò che, interessante, non lo è affatto (cfr. Max Stirner,<br />

Scritti minori, Pàtron, Bologna 1983, p. 131) – in quanto parte,<br />

già essa, di un tentativo di superamento della religiosità residua<br />

che informa la vita quotidiana posta sotto il regime della sopravvivenza<br />

economica – è l'illuminazione che ci fa delegittimare<br />

il governo sociale della “mancanza” nel renderci la conoscenza<br />

di ciò che siamo: uomini unici per tutta una vita.<br />

Il rendere comunicabili delle sensazioni personali, confidando<br />

nella significatività di un bel mucchio di parole, rimane tutto<br />

sommato un compito ingrato ed estremamente macchinoso (in<br />

particolar modo per chi lo fa con la coscienza dei limiti insiti<br />

nell'uso del mezzo linguistico).<br />

I sofismi sul sentimento sono tra i peggiori, soprattutto quando<br />

le parole non riescono davvero a soccorrere chi ha voglia di<br />

farla finita con i miti oleografici dello spettacolo mercantile, con<br />

il “surrealismo” mediocre della vita di tutti i giorni e con il dover<br />

mostrare agli altri una faccia sempre così tristemente uguale<br />

alla loro.<br />

Parlare e scrivere di rivolta o <strong>insurrezione</strong>, concettualizzandole<br />

e rendendole dei termini quasi del tutto avulsi dai loro corrispettivi<br />

fenomenici che si hanno nel sociale, ne fa delle parole<br />

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