rappresentazioni e pratiche tradizionali della castanicoltura in alto ...
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frumento era per eccellenza alimento da contad<strong>in</strong>i e da ceti superiori, gli alimenti preparati con la<br />
far<strong>in</strong>a di castagne, al di là del loro significativo potere nutritivo, venivano considerati cibi per poveri,<br />
<strong>in</strong> quanto ritenuti qualitativamente <strong>in</strong>feriori, alla stregua del pane nero 18 . Lo stesso vocabolario <strong>della</strong><br />
Crusca def<strong>in</strong>isce la castagna “una cosa vile” o una cosa “da nulla” e certe accezioni proverbiali citate<br />
da autori trecenteschi come Giordano da Riv<strong>alto</strong> e Antonio Pucci recitano: “vale meno che una<br />
castagna”, “gli rilevava men di una castagna” (CHERUBINI G. 1996 [1985]: 158). A testimonianza<br />
dell’onnipresenza di questo alimento nella dieta delle popolazioni rurali, <strong>in</strong> Alto Tevere erano diffusi<br />
motti legati alla oppressiva monotonia del regime alimentare: «a Mucignano ci son quattro vivande:<br />
brigi, baloci, mond<strong>in</strong>e e castagne» [<strong>in</strong>formatore n.11, Annibale, p. 1], a <strong>in</strong>dicare ironicamente che la<br />
“vivanda”, era <strong>in</strong> realtà unica. Già ne La secchia rapita del Tassoni, le popolazioni montanare<br />
venivano def<strong>in</strong>ite “mazzamarroni” o “mangiamarroni” e «nella così detta Rappresentazione di<br />
Giuseppe, un testo del teatro sacro fiorent<strong>in</strong>o del r<strong>in</strong>ascimento, così risponde un montanaro a un<br />
contad<strong>in</strong>o delle zone basse che lamentava la sua povera condizione: “Lascia dir noi, che stiam nelle<br />
montagne! / Voi ricogliete pur qualcosa al piano / Noi viviam il più del tempo di castagne / E gli è<br />
sei mesi ch’i non viddi grano”» (CHERUBINI G. 1996 [1985]: 157).<br />
18 «Per quanto già Pier de’ Crescenzi, secondo un’op<strong>in</strong>ione del resto già condivisa da altri al suo tempo, sottol<strong>in</strong>easse,<br />
sulla scia di Avicenna e di Galeno, che la castagna è «di buon nutrimento», «più nutritiva di tutti i granegli, <strong>in</strong>tanto che<br />
è proxima a’ granegli del pane», era naturale che i montanari cercassero di procurare dei cereali dal baratto o dalla<br />
vendita delle castagne e che lo staio di castagne secche costasse di regola, sui mercati, assai meno che lo staio di grano»<br />
(CHERUBINI G. 1996 [1985]: 158).<br />
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