il Bosco

ciapiede dove avrebbe giocato il bambino. La giovane moglie era una graziosa e minuta bruna, pettinata
à la garçonne, troppo fragile per i pesanti lavori domestici e lei, Caterina, era stata ben contenta
di andare a servizio dai signori di città.
Il bambino cresceva minuto e malaticcio, ma molto affettuoso e carino, e quando la madre andava a
riposare Caterina lo teneva in braccio, con l’ordine di tenerlo bene, ma soprattutto di non farlo piangere,
perché la signora doveva riposar molto.
Allora nel giardinetto delle margherite e dei gigli rossi, Caterina raccontava al bambino con voce
monotona e cullante sempre nuove storie della Bella Addormentata, la “sua” montagna, quella che lei
guardava dalla sua casa, ma anche dal giardino dell’ingegnere, brulla in estate e in autunno, bianca di
neve all’inverno, e con le bianche nuvole dei ciliegi selvatici fioriti, nelle lacrimose primavere. La Bella
giaceva vittima di una fata cattiva, o custodita da un drago, o semplicemente in attesa di un principe....
Quando il bimbo gattonava, la Bella cominciava a incappucciarsi di neve, Caterina sentì per la prima
volta la tossetta secca della signora. Una settimana dopo, tossiva anche il bambino, ma più forte:
Caterina, piena di paura per quel visino rosso e quella febbre, se lo teneva stretto, lo cullava, e a volte
piangeva. L'ingegnere veniva poco a casa, e la signora stava sempre più spesso chiusa nella stanza al
buio, con l'emicrania.
Ancora la sera, quando dondolava il lettino e curava che la pezzuola sulla testa fosse sempre ghiacciata,
Caterina raccontava al bambino mille storie sulla Bella Addormentata: ora era una principessina
malata, che a primavera si sarebbe destata guarita, o che a primavera una fata buona avrebbe liberata
dal maleficio.
Il bambino se ne andò una sera all'improvviso, mentre lei lo cullava e il dottore era appena andato via.
Ci fu una gran confusione di vicini, di amici, di preti, di dottori per qualche giorno, e poi tutto fu dolorosamente
calmo e vuoto. Caterina e la signora sembravano due spettri: Caterina usciva fuori per la
legna o il bucato, e diceva “è sempre là, è ancora là” e parlava della Bella Addormentata. Tossiva anche
lei. Tossiva anche la signora, che ora sputava sangue.
L'ingegnere non veniva quasi più a casa, non reggendo a quella tristezza. Del resto, il capo dell'impresa
lo aveva mandato a lavorare a una diga in alta montagna, rispondendo a un suo desiderio.
Un giorno morì anche la signora, e Caterina tornò a casa: era pallida pallida e aveva i pomelli delle
guance rossi rossi. Tossiva moltissimo, e quando smetteva di tossire era così stanca che non stava in
piedi. La primavera seguente, quando la neve si era quasi sciolta, Caterina che non lasciava più il letto,
si tirò su a sedere una mattina prendendo a gridare “si è svegliata! Si è svegliata!” poi ricadde sui
cuscini e cominciò ad agonizzare.
Dandosi il turno vicino al letto, le sorelle lasciate a casa dal lavoro perché malaticce scuotevano la
testa. “delira” dicevano “non si è svegliato nessuno”. E tutte e due tossivano e tossivano, e una già
cominciava ad avere qualche emottisi.
Sullo sfondo della finestra, mentre Caterina moriva, la Bella Addormentata sfolgorava delle ultime nevi
nel sole.
In quell'anno, dei duecentocinquanta abitanti del paese, trentacinque morirono di tubercolosi: la maggior
parte di loro aveva meno di trent'anni: e due delle case del paese furono chiuse e abbandonate
perché “avevano il male nei muri”.
il Bosco
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