Abbiamo perso lo smalto - Macchina dei Sogni
Abbiamo perso lo smalto - Macchina dei Sogni
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Quel silenzio non cercato si interruppe troppo presto: «Tu devi essere<br />
K., Anita mi ha parlato molto di te». La figura elegante avvolta in un<br />
lino beige si avvicinò e prese sottobraccio la nuova arrivata. Le due<br />
ombre ormai intrecciate voltarono le spalle al cancel<strong>lo</strong> come a un pubblico<br />
immaginario ed entrarono finalmente sul palcoscenico della <strong>lo</strong>ro<br />
futura messa in scena, Villa Ghiandaia.<br />
Era un edificio <strong>dei</strong> primi del Novecento che nella facciata esterna conservava<br />
il fascino di una signora ultracentenaria i cui tratti rivelano l’antica<br />
bellezza: un intonaco rosa pallido da cui spuntavano grandi<br />
finestre come occhi dipinti di verde e un portico accogliente e intimo<br />
come un abbraccio materno. La casa era tenuta in perfetto ordine, nonostante<br />
da qualche anno rimanesse vuota per molti mesi consecutivi.<br />
L’ambiente non aveva niente di tetro, anzi, nonostante l’assoluta assenza<br />
di elementi d’arredo moderni e di una cura femminile, trasmetteva<br />
una freschezza e una disinvolta classe che le perdonavano le<br />
tarme sui tappeti e il miscuglio di stili e co<strong>lo</strong>ri delle stoffe e <strong>dei</strong> mobili.<br />
Dopo qualche minuto dal <strong>lo</strong>ro arrivo, Anita aveva già occupato la sua<br />
postazione preferita, la grande cucina al piano terreno, dove ogni cosa<br />
conservava il ricordo delle donne di quella casa. Canticchiava e rumoreggiava<br />
spostando piatti e pentolame e, come un’attrice sulla scena,<br />
ripeteva ad alta voce il nome di tutto quel<strong>lo</strong> che toccava, quasi a volerne<br />
definire la presenza, per paura di dimenticarsi qualche strumento<br />
fondamentale per la sua rappresentazione finale.<br />
Kazuko, attratta da quell’orchestrare di me<strong>lo</strong>dia, rumori e profumi, decise<br />
di rimandare l’esp<strong>lo</strong>razione <strong>dei</strong> piani alti e si lasciò condurre lentamente<br />
alla fine del corridoio per raggiungere la cucina.<br />
«Eccoti. Ti stavo aspettando. Perché ci hai messo tanto? Papà ti ha<br />
dato fastidio?» Anita scoppiò in una risata fragorosa e palesemente<br />
forzata. «Be’… benvenuta nel mio regno!» disse con tono stentoreo,<br />
«qui gli uomini non ci mettono piede. Non ci hanno mai messo piede.<br />
Papà <strong>lo</strong> sa, infatti se ne sta alla larga.»<br />
Come un direttore di giochi prese in mano il suo libretto d’istruzioni e<br />
<strong>lo</strong> lanciò sul tavo<strong>lo</strong>ne in marmo di fronte a lei, senza mai distogliere <strong>lo</strong><br />
sguardo dal viso immobile dell’amica.<br />
Era un quaderno comune dalla copertina verde consumata sugli angoli.<br />
Le pagine ingiallite erano riempite da una calligrafia blu sbiadita<br />
che aveva trascritto minuziosamente ricette, indicato misure, ingredienti,<br />
impreziosendo il tutto con qualche schizzo dal tratto infantile.<br />
Kazuko iniziò ad analizzare il contenuto del libretto cercando di na-<br />
> :-<br />
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