Abbiamo perso lo smalto - Macchina dei Sogni
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città che mio nonno decantava per la sua architettura, ma soprattutto il<br />
luogo di cui avevo sempre ascoltato storie. Le ricordavo raccontate in<br />
una lingua indefinita ma che io capivo, che diventavano un gomito<strong>lo</strong> di<br />
lana calda, si confondevano in una coperta che scaldava pomeriggi invernali<br />
trasportandomi in un mondo che a un certo punto decisi fosse<br />
finto. Insomma, per me a Istanbul viveva Abba, la sua famiglia, mia<br />
madre ma anche Cappuccetto Rosso e il Gatto con gli stivali. Credo<br />
abbia smesso di essere un luogo magico quando a scuola ho studiato<br />
l’Impero Romano d’Oriente e tutte le guerre che la città ha visto e causato,<br />
per poi trasformarsi nella città del sultano, delle donne velate ed<br />
eleganti, <strong>dei</strong> baci appassionati tra marajà e principesse e infine una specie<br />
di ombelico del mondo come canta Jovanotti. Un luogo tra Occidente<br />
e Oriente in cui le <strong>perso</strong>ne hanno voglia di incontrarsi, di raccontarsi, a<br />
prescindere dal luogo di provenienza.<br />
«Sto aspettando l’aereo per Istanbul» dissi a Piero indicando con il mento<br />
l’uscita di fronte a noi. Il tabel<strong>lo</strong>ne indicava un ritardo di quasi due ore.<br />
«Quindi stai andando in Turchia a trovare i tuoi parenti?»<br />
«Accompagno Abba a casa» risposi.<br />
«Mi piacerebbe conoscere tuo nonno, dov’è?» Piero si stava guardando<br />
intorno. E mi accorsi di cercare anch’io una <strong>perso</strong>na anziana con la pancia<br />
che ci guardasse sonnacchioso.<br />
«Abba è morto, stiamo riportando a casa il suo corpo.»<br />
È la prima volta che vado in Turchia, non so se incontrerò qualcuno che<br />
sappia raccontarmi ancora storie avvincenti. Se così non fosse ascolterò<br />
quelle che stanno nella mia testa e le racconterò ad Abba per farmi compagnia.<br />
> :-<br />
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