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avura da Edoardo Ziletti e alla quale Franco Margola ha dato veste musicale. Trattandosi del primo lavoro teatrale, bisogna<br />

riconoscere che questo giovane musicista ha dimostrato del coraggio nell’affrontare un soggetto di tale natura, dove gli<br />

elementi simbolici sovrastano in un certo senso l’interesse drammatico della vicenda, di per sé semplice e scarna. Difficile<br />

sarebbe il tentare una definizione di questo Mito di Caino. Non è melodramma, e non è oratorio, nel senso tradizionale della<br />

parola. Lo direi piuttosto una visione scenica nella quale i personaggi biblici cantano il loro dramma in un’atmosfera di<br />

primitivismo, avvolti da un alone sonoro che li trasfigura e ne coglie l’intima essenza. Comunque lo si voglia definire, questo<br />

lavoro si stacca dal genere lirico comunemente battuto e costituisce un apprezzabile tentativo di un giovane che disdegna le<br />

facili vie e i comodi espedienti più o meno sfruttati, per elevarsi ad una concezione d’arte, discutibile fin che si vuole, ma<br />

degna del massimo rispetto. La partitura di Margola reca indubbiamente i segni di un talento musicale fuori del comune. C’è in<br />

essa un chiaro senso della costruzione, l’impronta di un musicista serio, tecnicamente agguerrito e preparato per altri più duri<br />

cimenti artistici. Solida e nutrita è la sua orchestrazione che si giova di complessi impasti politonici laddove deve esprimere il<br />

pathos drammatico e accentuare le caratterizzazioni dei personaggi. Vocalmente nel Mito di Caino prevale l’uso del recitativo<br />

secco con qualche raro accenno a distensioni liriche. Si capisce come tale procedimento, caro ai moderni autori, non lo possa<br />

essere altrettanto ai gusti correnti e insopprimibili della grande massa del pubblico, notoriamente trasportato verso le arie, le<br />

romanze a forma chiusa. Ma questo è un discorso che porterebbe troppo lontano. Comunque, a parte i difetti, che sono difetti<br />

di inesperienza, il lavoro del giovane musicista bresciano va considerato come un nobilissimo tentativo di un chiaro talento e<br />

di una salda coscienza artistica che dà bene a sperare. Lo attendiamo fiduciosi ad una novella prova. Tra le pagine meglio<br />

riuscite citiamo la ispirata preghiera di Abele: `Io to adoro, Signore, per la dolce vita che mi hai dato’, e quella di Adamo:<br />

`Padre, Signore, Iddio, il primo padre ascolta’, tutta pervasa da un senso di religiosità severa”; Corriere della sera, 30-9-1940:<br />

“le intenzioni del librettista ci sembrano molto nobili, anche se Caino ha del superuomo ed Abele del discepolo di San Filippo<br />

Neri. I nostri grandi operisti del Settecento e dell’Ottocento avrebbero fatto proprio cantare Adamo, Eva e i loro figli; e<br />

occorrendo, li avrebbero fatti ballare. Non parliamo del delizioso librettista Metastasio: stiamocene a un personaggio<br />

rossiniano più vicino di noi ad Adamo: Mosè. I nostri compositori contemporanei hanno scrupoli rispettabili che non sempre<br />

giovano all’arte lirica, che è arte di teatro e di folle. E così l’opera di Margola, di un musicista serio e colto da cui ci<br />

aspettiamo senz’altro qualche cosa di buono, riesce per ora piuttosto timida, e grigia per paura del colore. La prima parte è un<br />

severo commento orchestrale al dramma recitato. Soltanto nella seconda, ergendosi con aurorale maestà la figura di Adamo,<br />

primo re del mondo, l’opera acquista empito e venustà vocali. Viene perfino alla mente `Dal tuo stellato soglio’ del Mosè” (r.);<br />

L’Ambrosiano, 30-9-1940: “Ma ahimè, di quanto è disceso, nel libretto di Ziletti, il tragico racconto della Genesi! Dal delitto<br />

fosco e grandioso che per la prima volta tinse di sangue il mondo, si passa qui a una brutta bega tra familiari, cui non è<br />

estraneo il doppio giuoco di una femminuccia, Ararat, che accarezza il fratello feroce e fa l’occhiolino al mite. Così la<br />

tremenda gelosia di amor divino, che armò la mano di Caino nell’alba dell’umanità, cede il posto a un fatto ricorrente nella<br />

cronaca nera di ogni giorno; mentre il disperato rimorso dell’uccisore, che riempe di sé i tre quarti della narrazione biblica, si<br />

affloscia in una scena di pietà finale, in cui si trovano riuniti dinanzi al cadavere di Abele i genitori del caduto e la discendenza<br />

di Adamo. Diciamo subito che la musica di Margola è superiore al libretto. Se non la grandiosa forza di un mondo primitivo,<br />

in cui uomini e cose si fondono in un possente anelito naturale, si respira tuttavia nella partitura un certo solenne e puro alito<br />

pastorale, che non manca di nobiltà e di sincerità. Vi sono pagine da cui tralucono promesse, che il Margola certamente<br />

manterrà, quando più propizie - e forse meno temerarie - condizioni drammatiche gli si offriranno. Ma è soprattutto alla<br />

plastica virtù del ritmo che egli deve tendere per distanziare in teatro personaggi, sentimenti, situazioni”; La Stampa,<br />

30-9-1940: “Questo primo saggio teatrale del giovane maestro è lodevolissimo. La musica è vivace, calda, con una melodia<br />

eloquente al pari dell’armonia e della strumentazione, e, ciò che più importa, aderente alle situazioni sceniche. Il rilievo degli<br />

stati d’animo dominanti nei singoli episodi è sicuro e comunicativo. La aspirazione a scendere nel cuore del dramma è<br />

evidente. E al giorno d’oggi questo è da segnalare in un giovane. Ararat, che vorrebbe essere l’elemento motore del dramma,<br />

risulta secondario. Le sue espressioni non precisano la sua essenza satanica; sembra una semplice donna incerta fra Abele e<br />

Caino, e una vittima più che una dominatrice. In primo piano vengono invece i due fratelli, e son ben caratterizzati, seppur<br />

genericamente, e i genitori, che hanno un che di austero e di biblico. Il melodico recitativo varia con la diversità delle persone.<br />

Anche i momenti orchestrali si riempono di varie espressioni. Un saggio, insomma, da incoraggiare per la serietà, per<br />

l’impegno, per l’esplicito desiderio di `far teatro’, nel buon senso del concetto” (Andrea Della Corte); Giornale di Brescia,<br />

ottobre 1940: “il fratricidio, nel poema lirico di Ziletti, non avviene a quel modo che è descritto nel capitolo quarto della<br />

Genesi. Il biblico Caino è fratricida perché malvagio, mentre il Caino di Margola e Ziletti - pur essendo anch’egli perverso e<br />

rio - è un povero uomo tormentato. È scontento di sé medesimo, della vita, del mondo, è continuamente arso da una<br />

inestinguibile sete della conoscenza (ad Ararat che lo esorta ad amare sempre il Signore e `quando ci accarezza e quando ci<br />

percuote’ egli urla: `Io chiedo, sempre io chiedo il perchè delle cose’); ed è invidioso del mite, del buono, del savio Abele, di<br />

Abele sempre ridente e mansueto. Odia sì il fratello ma è soprattutto geloso di lui. Compie l’orrendo fratricidio per vero odio<br />

profondo? No: l’uccisione di Abele, nel melodramma di Margola e Ziletti, è un tragico errore. Quando, nella scena del<br />

sacrificio, l’irascibile Caino constata che soltanto il rogo acceso da Abele arde con bella fiamma, mentre sale dal suo una<br />

colonna di denso e nero fumo, allora - odio e gelosia si sono cangiati in furiosa demenza - s’abbatte sull’altare del fratello per<br />

distruggerlo. Abele che cerca di difendere il proprio altare, d’arrestare la devastazione, d’interrompere il sacrilegio è più volte<br />

colpito dalla clava dell’imbestialito Caino. Il mito della Bibbia è dunque più terribile; quello di questo Caino è invece la<br />

conseguenza d’un triste fato. S’è nobilitato il Caino di Margola e Ziletti? Non saprei dirlo: forse, ecco, s’è fatto più logico;<br />

starei per scrivere: più umano. Dopo quell’orrido delitto scende su Caino la maledizione di Adamo; Caino fugge nella foresta e<br />

va con lui Ararat, la bella Ararat che, già promessa sposa ad Abele, ora è attratta - è il richiamo dell’abisso - dalla cupezza di<br />

tanto male. Questa la materia letteraria che il poeta bresciano Edoardo Ziletti aveva donato al musicista bresciano Franco<br />

Margola. Cinque dramatis personae: e precisamente: un Caino cattivo ma non bruto che ammazza per tragico errore; un Abele<br />

docile, tenero e rassegnato; una ambigua Ararat (il personaggio è di mera fantasia perché ad esso la Genesi non accenna) che a<br />

me, nonostante le ispirate parole della preghiera a Dio - scena prima - appare ancora più mostruosa dello stesso Caino se sì<br />

spudoratamente sa tradire il dolce Abele, già suo sposo designato; una Eva ormai madre e non più donna: una Eva stanca ed<br />

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