cazione <strong>di</strong> una specifica forma <strong>di</strong> identità religiosa ha sollecitato ilrecupero, in maniera specularmente contrapposta, <strong>di</strong> un’altra identità:quella cristiana, appunto, da alcuni ad<strong>di</strong>rittura riven<strong>di</strong>cata, perfini politici, nello scenario, storicamente scorretto e politicamentepericoloso, <strong>di</strong> uno «scontro <strong>di</strong> civiltà». Sembra <strong>di</strong> conseguenza chela questione dell’in<strong>di</strong>fferenza religiosa possa ritenersi in qualchemodo già lasciata alle spalle, oppure che essa debba, in ogni caso,essere superata, nella prospettiva <strong>di</strong> una «chiamata alle armi», nonsolo virtuale, in nome <strong>di</strong> un cristianesimo riven<strong>di</strong>cato a fondamentodell’identità dell’Occidente. E le prospettive che apre una taleconcezione sono, purtroppo, sotto gli occhi <strong>di</strong> tutti.Le cose, tuttavia, non stanno neppure in questa maniera fin tropposemplice. È ben vero, infatti, che le religioni, riven<strong>di</strong>cando laspecificità della loro proposta sia rispetto alle opzioni non religiose(a quella prospettiva dell’ateismo che sembrava essersi impostadefinitivamente, seppure in forme <strong>di</strong>verse, tanto in Occidente, quantonei paesi del «comunismo reale»), sia l’una nei confronti dell’altra,hanno acquisito da tempo, nuovamente, un’evidenza pubblicae un’importanza decisiva nelle vicende storiche. Ma resteremmoalla superficie se ci attenessimo solamente a queste in<strong>di</strong>cazioni.Ciò a cui stiamo assistendo in questo tormentato periodo,infatti, non è solamente lo scontro, vero o presunto, fra tra<strong>di</strong>zionireligiose caratterizzate da una ben precisa identità e non <strong>di</strong>sposte atransigere su ciò che la costituisce. Quello che abbiamo sotto gliocchi è, piuttosto e soprattutto, la contrapposizione fra due piùgenerali e <strong>di</strong>verse concezioni del mondo: quella dominata dallospirito della tecnica e del consumo, e quella animata dai legamireligiosi. È appunto contro lo strapotere del mondo della tecnicache il religioso si ribella. Ed è su questo piano che un fronte comunefra le <strong>di</strong>verse religioni, al <strong>di</strong> là delle rispettive <strong>di</strong>versità, puòforse essere stabilito.Ecco allora che dobbiamo renderci conto che, molto spesso, ciòche chiamiamo «in<strong>di</strong>fferenza», oggi, risulta l’espressione <strong>di</strong>un’ideologia ben precisa: quella espressa dal mercato, quella capace<strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondersi ovunque, in maniera globale (in tal modo suscitandoquelle reazioni, da parte dei vari particolarismi locali, chesono sotto gli occhi <strong>di</strong> tutti).L’in<strong>di</strong>fferenza, in quest’ottica, <strong>di</strong>viene davvero la cifra <strong>di</strong> unmondo in cui non si ha rispetto per l’altro, in cui tutto è uniformato<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 7 - Giugno 2005Adriano Fabris99
dalla logica del profitto, in cui si può <strong>di</strong>menticare a cuor leggerociò che accade in altre parti del mondo. Non basta, allora, esortarea cambiare atteggiamento: è necessario, <strong>di</strong> nuovo, comprenderequesta situazione, questo ulteriore legame tra l’in<strong>di</strong>fferenza e ilritorno del religioso, se si vuole tentare, in qualche modo, <strong>di</strong> fare iconti con esso.Ma per fare i conti davvero con l’in<strong>di</strong>fferenza, e quin<strong>di</strong> per poterimpostare in maniera adeguata la questione del «<strong>di</strong>re Dio» inuna tale situazione, non possiamo neppure fermarci a una descrizionee a un’analisi dello stato vigente. Perché c’è un significatoancora più profondo del fenomeno dell’in<strong>di</strong>fferenza che può riproporsi,attraverso una semplice, legittima domanda, in ogni situazionedella nostra vita. Che può, ho detto, non necessariamenteche deve. Ma tanto basta per mettere in crisi ogni pretesa <strong>di</strong> risolveredefinitivamente un tale problema.Di fronte a ogni situazione, infatti, possiamo chiederci il perché.Ciò non vuol <strong>di</strong>re, solamente, interrogarsi sulle cause <strong>di</strong> undeterminato stato <strong>di</strong> cose, ricercandone una spiegazione adeguata.Ciò significa, anche e soprattutto, domandarsi il senso <strong>di</strong> ciò cheabbiamo <strong>di</strong> fronte. Si tratta <strong>di</strong> una domanda che può riproporsi anchequando l’istanza <strong>di</strong> spiegazione è stata appagata. E quando siripropone - legittimamente, lo ripeto - ogni legame, ognicoinvolgimento, ogni convinzione <strong>di</strong> fondo sono messi, almenotendenzialmente, in questione. Viene meno, cioè, il riferimento aquell’orizzonte preliminare, gerarchicamente sovraor<strong>di</strong>nato, che miconsente <strong>di</strong> dare senso a ogni mio rapporto con le cose e con glialtri uomini. E tutto risulta posto sullo stesso piano. Tutto può essere,davvero, omologato.Emerge in tal modo il motivo profondo che provoca l’insorgeredell’in<strong>di</strong>fferenza: è il venir meno <strong>di</strong> quel punto <strong>di</strong> riferimento, unicoo molteplicemente articolato, che consente all’uomo <strong>di</strong> orientarsinella propria vita. Questo punto <strong>di</strong> riferimento, se vuol esseretale, deve porsi a un livello ulteriore, ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>verso, rispettociò nei confronti <strong>di</strong> cui esso consente <strong>di</strong> orientarsi. Se dunque simette in questione un particolare orizzonte <strong>di</strong> riferimento, magariquello tramandato dalla tra<strong>di</strong>zione, se si mette in questione, ad<strong>di</strong>rittura,che vi sia un qualsiasi punto <strong>di</strong> riferimento, allora tutto èricondotto sullo stesso piano, in<strong>di</strong>fferentemente.Questa, a ben vedere, è la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ciò che, a partire dal-100Adriano Fabris<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 7 - Giugno 2005
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